Focus. Pasolini visto dall’area non conformista, tra Msi e Voce della Fogna

Pier Paolo Pasolini e Ezra Pound

Si può rileggere Pier Paolo Pasolini a destra senza sorprendere nessuno, benpensanti o eretici che siano? La risposta è sì. La pubblicazione della ristampa di Scritti corsari per la Garzanti (pag. 248, € 16,60) permette di constatare l’attualità delle riflessioni del poliedrico artista romano.

L’omologazione giovanile, il potere della televisione sulla cultura di massa del paese, l’aborto come sfizio consumistico, la deriva edonistica dei rapporti sociali sono alcuni dei temi che P. aveva sviscerato sulle pagine del Corriere della sera, con articoli pungenti dal 1973 al 1975, insieme a pulsioni reazionarie e, forse un po’ scontate, contro i capelloni. 

A destra l’attenzione per PPP non è cosa nuova. Nel 1988 la federazione romana del Msi organizzò una serie di incontri sul regista. Titolo? “Ripensare Pasolini… scandalosamente”. Il ricordo di quella iniziativa culturale, che creò un positivo controcircuito nella destra e fu oggetto di dibattito sulla grande stampa, è affidato alle ricostruzioni dei protagonisti. Racconta lo storico Adalberto Baldoni, ai tempi cronista politico del Secolo d’Italia: “Il 3 dicembre organizzammo una tavola rotonda su Pasolini nella sezione di Acca Larenzia. Il nostro obbiettivo era confrontarci con un autore scomodo per la sinistra, che spiazzava tanto i borghesi con fascinazioni nazionalpopolari”. “Volevamo dire la nostra anche su autori non della nostra parte politica – rincara Lodovico Pace, allora responsabile culturale del coordinamento missino romano, e tra gli organizzatori insieme a Teodoro Buontempo – perché ci ritrovavamo nella denuncia pasoliniana del conformismo, malattia delle nuove generazioni di italiani”.

Oltre al convegno nella sezione del Tuscolano, il Msi replicò l’evento con la proiezione nella Trieste Salario del film “La Rabbia”, diretto a quattro mani da PPP e Giovannino Guareschi nel 1963, opera boicottata dall’establishment culturale. Riguardo questa pellicola, Pasolini nel settembre 1962 su Vie Nuove la inquadrò storicamente nella quiete dell’Italia democristiana. “Cos’è successo nel mondo, dopo la guerra e il dopoguerra? – scrive – La normalità. Già, la normalità. Nello stato di normalità non ci si guarda intorno: tutto, intorno si presenta come “normale”, privo della eccitazione e dell’emozione degli anni di emergenza. L’uomo tende ad addormentarsi nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l’abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è. È allora che va creato, artificialmente, lo stato di emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale, della furia filosofica. Ci sono stati degli avvenimenti che hanno segnato la fine del dopoguerra: mettiamo, per l’Italia, la morte di De Gasperi. La rabbia comincia lì, con quei grossi, grigi funerali. Lo statista antifascista e ricostruttore è “scomparso”: l’Italia si adegua nel lutto della scomparsa, e si prepara, appunto, a ritrovare la normalità dei tempi di pace, di vera, immemore pace. Qualcuno, il poeta, invece, si rifiuta a questo adattamento”. Si ritrova in queste pagine il fascino indiscreto che animava l’irrequieto Pierre Drieu La Rochelle, quando indicava la missione dell’intellettuale nell’andare oltre, dove non c’è nessuno, a esplorare strade impervie rispetto ai rassicuranti orizzonti dei benpensanti. “Anche il segretario nazionale del partito, Gianfranco Fini approvò l’iniziativa che segnava un momento di forte rilancio di immagine e proposta – analizza Baldoni – rompendo schemi precostituiti e soprattutto l’accerchiamento dell’arco costituzionale. La visita di Fini ai campi immigrati di Colle Oppio, insieme foto in prima pagina sul Secolo d’Italia con in braccio una piccola negretta, indicano la direzione culturale del movimento. Sulle colonne del giornale del partito la polemica divise redattori e dirigenti, a favore della rilettura critica di P. si schierarono anche Gennaro Malgieri e Giano Accame”.

Beppe Niccolai

Anche negli anni ’70 a destra, pur con le difficoltà che gli steccati della guerra civile a bassa intensità, ci fu chi fece proprie le tesi pasoliniane. “A novembre del ’74 lo scrittore romano sul Corriere della sera prese posizione sul tema rovente delle stragi che avevano insanguinato l’Italia – ricostruisce ancora Baldoni – e nel Msi coraggiosamente Beppe Niccolai riprese la polemica forte sul ruolo dello stato in queste dinamiche, nella strategia della tensione, per chiedere verità su pagine oscure della storia patria”. “Io so i nomi – scrive nell’invettiva sul quotidiano milanese Pasolini – che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda antifascista (Brescia e Bologna 1974)”. E sempre nel gennaio 1975, sul numero 2 del La voce della fogna, si ritrovano echi degli Scritti corsari: “E il suo grido di disperazione (di Pasolini n.d.r.) sulle pagine del benpensante Corriere, non è – scriveva un redattore della più diffusa rivista underground della destra giovanile – che il rantolo di una moribonda speranza di una sinistra che, citando Marx e sognando il Paradiso, aveva creduto davvero di illudere e di farsi illudere che un suo successo avrebbe risolto tutto”.

La morte dell’artista romano nel 1975 spesso viene associata a un complotto ordito da ambienti di estrema destra. Baldoni non ci sta e replica: “Negli ultimi tempi anche Walter Veltroni e Gianni Borgna hanno dato credito a questa ipotesi campata in aria – conclude – perché se c’era qualcuno in difficoltà per la libertà culturale di P. non era certo la destra. Ma il partito comunista. E proprio in quella direzione si dovrebbe guardare per dipanare certi misteri”. (dal Secolo d’Italia 2007)

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Michele De Feudis

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