Taccuino (di G. Del Ninno). Che futuro per gli anziani al tempo del Coronavirus?

“Quali metamorfosi la vedo operare ogni giorno in parecchi miei conoscenti! E’ una malattia potente che s’insinua naturalmente e impercettibilmente”. Di quale malattia si stratta? Stiamo parlando della vecchiaia, anzi ne sta parlando Montaigne, nei suoi “Essais. Di diverso parere era Cicerone, ma al suo “Cato Maior de senectute” torneremo. Qui le riflessioni sulla vecchiaia sono indotte da un provvedimento preso in questi giorni dalle autorità spagnole, per fronteggiare l’emergenza ospedaliera a seguito  della crescente diffusione dell’epidemia del coronavirus: per le terapie intensive, si darà la precedenza ai soggetti “con maggiori aspettative di vita”, ipocrita eufemismo per dire: ai soggetti anziani e magari con malattie pregresse, insomma ai vecchi. Di un’ipotesi del genere si vociferava in Lombardia, dove più devastante e diffuso è il Covid-19; poi, a mezza bocca, sono venute le smentite…

 

L’eliminazione degli anziani è al centro di molti romanzi e film di fantascienza, spesso ispirati a una certa filosofia utilitaristica, specie britannica, e in qualche modo legata alla visione evoluzionistica di Darwin. Il cinismo di quel provvedimento spagnolo, aldilà delle conseguenze pratiche, ne implica una di ordine esistenziale, negli interessati. L’anziano, che già riflette quotidianamente sul continuo abbreviarsi del suo futuro, è infatti indotto a chiedersi, dal fondo del suo attuale  isolamento: a chi sono utile fra le mie quattro mura? Già mi fanno pesare la mia pensione, che, mi ripetono, grava sulle spalle di chi produce, e ora che non posso neppure dare una mano coi nipotini?

 

Ma torniamo alla fantascienza, anzi, alle visioni distopiche in procinto di avverarsi, qua e là; qui mi limito a ricordare “La fuga di Logan”, una pellicola del 1976 con Michael York e Farrah Fawcett, dall’omonimo romanzo di William F. Nolan e George C. Johnson.  E’ la storia di una microcomunità di sopravvissuti a un’ecatombe nucleare, che vivono lietamente sotto una cupola controllata da un potente computer e dove la continuità delle generazioni, fermo restando il numero chiuso dei componenti la comunità, è assicurato da procedimenti di clonazione. In uno spazio circoscritto, è ovvio che il numero dei cittadini non può e non deve aumentare, e infatti è tenuto sotto un rigido controllo: allo scoccare dei trent’anni (!), si viene ammessi al Carousel, una cerimonia collettiva periodica, ambientata in un anfiteatro gremito di folla, dove i predestinati vengono eliminati in modo spettacolare. Nel libro e nel film non manca il lieto fine e il protagonista ne sarà il Logan del titolo, guardiano pentito della Legalità. Al termine di un percorso di autocoscienza che lo porterà alla scoperta delle agghiaccianti realtà che si nascondono dietro il perfetto funzionamento di quella macchina della sopravvivenza “felice”, riuscirà a sottrarsi alla clausura e a ritrovare il mondo esterno, con le sue devastazioni, ma anche con le sue libertà, inclusa quella d’invecchiare.

 

Accennavamo a Cicerone, che nel suo “Cato maior de senectute” illustra le prerogative positive della vecchiaia, iniziando col confutare quelle negative: la debolezza e la decadenza del fisico, l’attenuarsi delle capacità intellettive e della memoria, l’impossibilità di godere del piacere dei sensi, il deterioramento del carattere, nella direzione dell’ipocondria, dell’avarizia, degli sbalzi di umore.

 

Cicerone si serve di un vegliardo eccellente come Catone, che imparò il greco passati gli ottanta anni e che qui dialoga con l’amico Lelio.  L’argomentazione principale, che l’Autore fa illustrare al suo protagonista, consiste nell’importanza del modello di vita che si è praticato e che, rispondendo a un’obiezione del suo interlocutore, non dipende dalle condizioni materiali: certo, il saggio avverte il peso della vecchiaia nella povertà, ma anche lo stolto, pur nella ricchezza, non è esente dai mali dell’età avanzata.

 

Quanto all’utilità sociale degli anziani, essi possono insegnare ai giovani ciò che hanno imparato – e che devono continuare ad imparare – secondo un proverbio francese che Cicerone non poteva conoscere, pur esprimendone il senso nella sua opera: Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait… Tanto per ricordarci che all’uomo non è data la perfezione. Anche noi potremmo citare numerosi esempi di “grandi vecchi”, che hanno continuato a dare tanto alla società, ma non è questo lo scopo delle nostre riflessioni di oggi, che riguardano invece le persone comuni, schiacciate fra il Moloch del Potere e la dura legge della calamità planetaria.

 

E a proposito di perfezione, il pensiero vola a quello per antonomasia nella nostra cultura: il Cristo. Barba e capigliatura fulva o bruna, corporatura atletica o smunta, sguardo sofferente o fiammeggiante, l’iconografia plurisecolare del Cristo non ci ha mostrato nessuna languidezza, nessun sintomo di decadimento, tipici della senescenza. Cristo infatti sembra porsi come trionfo, anche tragico, della giovinezza corporale, e per noi, soggetti all’inesorabile e insondabile dono della vecchiezza, questo è un motivo in più di sconforto, sul cammino della sua imitazione. Eppure, proprio il Risorto ci ricorda la promessa della rigenerazione dei nostri corpi, liberati dalle pene della vecchiaia. Insomma, torneremo ad essere carne e spirito, nel trionfo del corpo di gloria; ma questo sentimento del sacro, questa visione escatologica non può autorizzare alcuna iniziativa delle autorità terrene, volta a interrompere la vita che ci fu donata da Quella celeste.

 

 

Giuseppe Del Ninno

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