Giornale di Bordo. Le code ai market modello Urss e le tessere per il pane antifa di Parma

Carrelli colorati nei market

Il diario digitale di Enrico Nistri su Barbadillo.it

Una margherita può fare primavera

Per festeggiare l’esplosione della primavera vorrei comprare un mazzo di rose per mia moglie, ma i fiorai sono chiusi, come del resto le librerie. Sono aperti invece i tabaccai: sui fiori e sui libri (per ora) non c’è il monopolio di Stato. Ripiego su un supermercato aperto in prossimità di casa mia, ma sono sgomentato da una lunga coda sul marciapiede, pochi minuti dopo la sua apertura. Credevo che, passati i primi momenti di panico, la situazione si fosse normalizzata, e invece non è così. Mi viene da pensare ad altri momenti di panico, in occasione della prima guerra del Golfo, con gli anziani che facevano le provviste temendo una nuova emergenza bellica, presi in giro da figli e nipoti.

Oggi invece sono i figli e in nipoti a mettersi disciplinatamente in coda per la spesa. Certo, l’esigenza di entrare in un numero ridotto di persone per motivi igienico-sanitari amplifica l’effetto e sui banconi le merci non scarseggiano. Ma per quanto? L’accavallarsi di provvedimenti di non facile interpretazione, la ridda di voci incontrollate, la chiusura domenicale degli esercizi, un tempo aperti anche troppo a lungo, favoriscono la psicosi.

A me, però, la vista di tutte queste persone in coda per la spesa evoca altre immagini. Sono le immagini del socialismo reale, delle lunghe file di prima mattina dinanzi agli spacci per accaparrarsi generi di prima necessità prima che spariscano. Penso, scherzando, che i comunisti – ancora numerosi nella mia città – saranno felici, perché hanno finalmente attinto il paradiso sovietico. E mi rendo conto di quanto sono stato fortunato a nascere dalla parte giusta delle Cortina di Ferro.

Capisco anche, a più di mezzo secolo di distanza, le parole della mia insegnante di Lettere al ginnasio quando tornammo in classe senza giustificazione dopo uno dei primi scioperi studenteschi, cui avevamo aderito un po’ per spirito d’avventura, un po’ per il desiderio di un giorno di vacanza. “La Picchioni” era una brava professoressa, istituzionalmente severa ma senza eccessi; non faceva voli pindarici, ma in due anni, a noi che provenivamo dalla scuola media appena riformata fornì gli strumenti necessari per leggere all’impronta, al liceo, le odi di Pindaro. Quando rientrammo in classe non ci disse che avevamo perso un giorno di lavoro, che avevamo rischiato di metterci nei guai (all’epoca la Celere andava per le spicce), che eravamo in arretrato sul programma. Ci disse solo che avremmo dovuto apprezzare il fatto di vivere in un mondo in cui gli scaffali dei supermercati sono pieni di ogni genere alimentare. Anche lei aveva conosciuto la guerra.

Poi ci interrogò, con che stato d’animo si può immaginare. Chiamò anche me, in geografia, e ricordo che dovevo parlare di un maledetto fiume che straripava. Al momento di esprimermi però mi colse il dubbio se si dicesse “stràripa” o “strarìpa”. Nell’incertezza dissi “deborda” e mal me ne incolse: “Non abbiamo bisogno di gallicismi!” mi rimproverò con astio. Ma capii che in realtà ce l’aveva con me perché ero uno dei suoi migliori alunni e l’avevo delusa.

Lì per lì, quell’accenno da Sancio Panza agli scaffali pieni ci parve abbastanza gretto: ci sentivamo dei Don Chisciotte in erba (e proprio “Don Chisciotte” si chiamava il giornalino studentesco del nostro liceo). In realtà eravamo i rampolli viziati di una generazione fortunata che non aveva conosciuto la fame. Per questo non posso fare a meno di ricordare con rispetto, e con un po’ di simpatia, quelle parole della Picchioni, ora che in Italia il Coronavirus con le sue conseguenze deborda. Anzi, strarìpa.

p.s. Ho rinunciato alla fila. Non voglio sentirmi come nell’ex Urss: non soffro di Ostalgie. Però mi sono ricordato che un negozietto di prossimità aveva sempre in vendita qualche fiore. Non c’erano più rose né bouquet, solo delle piantine. Ne ho comprata lo stesso una: anche una margherita fa compagnia, in questo strano esordio di primavera.

La tessera del pane

Criticato dagli stessi esponenti del Pd, il sindaco di Parma Federico Pizzarotti ha deciso che potranno usufruire dei buoni pasto alimentari concessi ai non abbienti soltanto coloro che accettino di sottoscrivere un modulo in cui dichiarano non solo “di ripudiare il fascismo”, ma “di non professare e fare propaganda di ideologie xenofobe, razziste, sessiste” e “compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e/o nazista, anche attraverso l’utilizzo di simbologie o gestualità ad essi chiaramente riferiti”.

Quando ne ho avuto notizia, ho pensato che si fosse trattato di un pesce d’aprile tardivo, uno di quei pesci d’aprile del cui gusto i drammatici momenti che stiamo vivendo ci hanno privato, un po’ come la Rai democristiana  privava per il Venerdì Santo noi bambini della trasmissione di Carosello. Invece non si trattava di uno scherzo, ma di una delle tante manifestazioni del delirio di grandezza che coglie troppi primi cittadini, convinti di poter fare quello che vogliono con i fondi ricevuti dallo Stato..

Preferisco non fare commenti, anche perché tanti prima di me li hanno fatti. Mi limito a un riferimento storico e a una previsione. Anche ai tempi del fascismo si parlava per l’iscrizione al Pnf della “tessera del pane”, nel senso che consentiva la possibilità di accedere a impieghi pubblici o di conservarli. E anche il regime impose una pubblica professione di fede, in questo caso fascista, e non antifascista; ma invertendo i fattori la faziosità non cambia. L’esempio più noto fu il giuramento di fedeltà al regime imposto anche ai professori universitari.

Comportandosi in questo modo, il regime ottenne una vittoria (giurarono quasi tutti, compresi moltissimi antifascisti). Ma fu una vittoria di Pirro: tutti fascisti, nessun fascista. Il classico “tengo famiglia” valse da alibi e chi sottoscrisse obtorto collo il giuramento  divenne dopo il 25 luglio un antifascista ancora più convinto e vendicativo, desideroso di rifarsi dell’umiliazione di quel giuramento estorto per motivi alimentari.

Non so se dalla bella pensata di Pizzarotti usciranno molti neofascisti. La storia non si ripete, se non in farsa. E quella di Parma mi sembra solo una ridicola pochade: malinconico tramonto per una città le cui nobili tradizioni teatrali meriterebbero ben altri spettacoli.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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