Leggere (alTempodelCorona).“La fine è il mio inizio” di Terzani, bellezza e rivoluzione spirituale

Tiziano Terzani

Ho rovistato nella biblioteca di mia moglie ed ho trovato un libro pubblicato nel 2006, che lei mi assicura «è davvero bello, è commovente, leggilo!». Ho cominciato a leggerlo e non me ne sono più staccato. È “La fine è il mio inizio” (Longanesi, 2011) di Tiziano Terzani, da cui poi è stato pure tratto un film. È una conversazione, una sorta di lunga e amorevole intervista che il figlio Folco fa nel corso di poche settimane al padre morente, Tiziano, su quel viaggio che è la vita, sul suo mistero e sul senso che può avere. L’infanzia, l’amore, la formazione, i viaggi in Cina, in Thainlandia, in Giappone, il mestiere di giornalista e poi di scrittore, la famiglia, il senso dell’avventura, il gusto della scoperta e gli aneddoti, gli incontri, i luoghi, le illusioni della politica (il fallimento del comunismo e delle rivoluzioni): tutto il racconto è tenuto da un filo che è il cercare. Cercare sé stesso nel mondo. Non c’è nella vita alcuna ricetta valida per tutti: «Sai, questo è il tema del Vecchio e di Krishnamurti e di tanti “la verità è una terra senza sentieri”. Cammini, trovi. Non c’è chi ti dice “guarda, il sentiero per la verità è quello”. Non sarebbe la verità.»
Né la politica (lui di temperamento anarchico è stato sempre diffidente nei confronti del potere), né la scienza (lui non è antimodernista o antiscientifico, ma non la sopravvaluta) hanno risolto i problemi dell’uomo: «C’è qualcosa di sacrilego nell’idea di voler creare l’uomo nuovo che è di tutti, tutti i rivoluzionari (…) Rivoluzioni, guerre, ammazzamenti, massacri, e poi tutto è come prima. La violenza, la paura, la disperazione, la miseria non si risolvono. E il mondo interiore non avanza. Per niente. L’ho già detto mille volte: pensa al progresso che l’uomo ha fatto nei millenni a partire dalla clava usando della conoscenza! Ma lui è diventato migliore? No.»
Davanti alla società moderna consumista, disumana, che uniforma stili di vita e culture, che distrugge la natura selvatica e ci dà soltanto «un’apparente enorme libertà di comprare, di scopare, di scegliere fra i vari dentifrici, fra le quarantamila automobili», dove l’uomo è succube dell’economia, ci prende un senso d’angoscia e fa capolino una domanda: «Dov’è la soluzione? È possibile salvare la bellezza del mondo che sta nella sua diversità?» Già. Perché soltanto nella bellezza della natura, in questo abbraccio, «che è il più bell’abbraccio di grandezza e di bellezza che puoi avere», si riesce a cogliere «una dimensione di qualcosa che non ti appartiene, ma che è anche tuo e di cui sei parte.» Forse allora la soluzione, ma è solo una “divertente idea”, potrebbe arrivare «da una congiura di poeti».

No, la soluzione non è facile. Non può che passare dal grado di consapevolezza che ognuno ha, da una rivoluzione interiore, da un rifiuto del consumismo, da un ritorno alla semplicità come quello che Gandhi e San Francesco seppero realizzare nella loro vite: «Il passato ha avuto grandi momenti. Noi oggi lo chiamiamo Medioevo, ma era uno dei momenti più interessanti della nostra civiltà. L’uomo aveva un rapporto con il divino molto forte. Poi la scienza ha preso il sopravvento e ha preso il posto della religione. E la scienza è bravissima, la scienza contribuisce enormemente a rendere la nostra vita più comoda. (…) Ma che altro ci dà? Niente.» Non è la scienza che ci può aiutare a “chiudere il cerchio”, ma soltanto la spiritualità, come nell’aneddoto del monaco zen: «c’era un famoso monaco zen e a un certo punto nella sua vita qualcuno gli chiede “qual è il senso di tutto questo?” Allora lui prende un pennello cinese, lo tuffa nell’inchiostro e fa un cerchio. Questo è anche il mio sogno. È bello, no? Chiudere il cerchio.»
In uno dei capitoli, a mio avviso, più belli e più significativi del libro, intitolato “Orsigna”, Terzani ci descrive questo luogo misterioso conosciuto fin da bambino, diventato poi luogo dell’anima, paesino d’elezione (61 abitanti!) che si erge in una vallata dell’Appennino tosco-emiliano, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita avventurosa: «Qui, in questo posto dove sono arrivato da bambino, ho sentito la magia della vita in generale e la magia della natura. (…) La gente viveva in case fatte di pietre, con finestre piccolissime perché non entrasse il freddo, molte addirittura senza camino. (…) Viveva di castagne, di funghi e del granturco che coltivavano, però erano tutti poeti. Prima di tutto perché erano pastori, gente che con un filo d’erba in bocca stava in cima ad una montagna a guardare il gregge e a pensare alla vita, a Dio, alla natura. La domenica in paese cantavano il contrasto in ottava rima, che io adoravo. Uno difendeva la donna bionda, l’altro la donna bruna. “Se tu vuoi amar la donna bionda, per tutta la vita le farai la ronda” e l’altro gli rispondeva “ma la donna dai capelli mori, quando le pare la ti butta fuori”. Ore e ore in piazza a cantare e bere vino. (…) Io ero affascinato dalle storie che raccontavano e che davano vita alla valle. Tutto qui era animato e chi cresce in un mondo così cresce in un mondo più ricco di quello in cui ci sono solo “le cose”».
Quella che ci appare al termine della lettura è l’immagine di un uomo libero, e finalmente felice. Ripongo il libro e mi segno una frase che mi ha colpito: «Questa sarà la grande battaglia del futuro: la battaglia contro l’economia che domina le nostre vite». Poi ascolto i tg, leggo i titoli dei giornali di questi giorni che parlano dell’emergenza economica, del MES, del PIL che perderà una cifra, anzi due, del fatto che (testuale) “le borse sono nervose”… beh, e mi scappa da ridere!
@barbadilloit

Sandro Marano

Sandro Marano su Barbadillo.it

Exit mobile version