Giornale di Bordo. Va bene pensare ai carcerati, ma non scordiamoci degli anziani

Anziani in casa di riposo

Prima gli anziani

È sempre più drammatica la condizione delle case di riposo per anziani, residenze sanitarie assistite, nell’algido linguaggio dei burocrati della sanità. Le prime denunce risalgono a qualche settimana fa, ma oggi finalmente il problema è entrato nel dibattito politico. La condizione degli ospiti è paradossalmente analoga a quella dei carcerati. Si trovano da tempo reclusi nelle strutture, privati anche delle visite dei parenti, ma il contagio può venire loro dall’esterno. Invece che dalle guardie carcerarie, il coronavirus potrebbe essere portato dagli infermieri e dagli operatori sanitari. Ma come imporre al personale di vivere ventiquattrore al giorno nelle strutture, senza alcun contatto con le famiglie? Sarebbe stato possibile con le suore, che però ormai latitano, per la crisi delle vocazioni e anche perché da tempo espulse dalle strutture pubbliche e anche da quelle gestite dal cosiddetto terzo settore. Quante se ne sono sentite su di loro: “teste fasciate”, “ti danno l’aghetto per avere il polletto”, come diceva mia nonna, che pure era credente e abbonata al “Messaggero di Sant’Antonio”. Però in queste circostanze si rimpiangono.
A differenza dei carcerati, i vecchietti non hanno alcuna colpa da scontare (chi fra loro eventualmente ha avuto qualche debito con la giustizia lo ha già pagato). Non sono reclusi in un istituto di pena, ma in un pensionato nel quale, con rette il più delle volte superiori alle loro svalutate pensioni, avrebbero diritto a condurre un’esistenza serena. Non bruciano materassi, non si ribellano, accettano pazienti la mancanza di contatti con i familiari, ormai ridotti a collegamenti telefonici o, nelle strutture più tecnologicamente evolute, in videochiamata (e non è una consolazione da poco per loro e per gli stessi parenti: lo vedo nel volto di Rita, quando può vedere il volto della madre novantenne, magari un po’ assopita, nel cellulare). Chi si commuoveva per il sovraffollamento nelle carceri, dovuto in prevalenza al fatto che molti detenuti extracomunitari rifiutano di scontare la pena nelle prigioni del paese d’origine, come permetterebbero le convenzioni internazionali, pareva meno interessato alla sorte degli anziani. Ora la politica comincia a cogliere la portata del problema e tenta di correre ai ripari. Ma a che prezzo? Molti lutti si sarebbero potuti evitare anche solo effettuando in tempo i tamponi al personale assistenziale e paramedico.
Magro motivo di consolazione, il fatto che in altre nazioni la condizione delle residenze sanitarie per anziani si sia rivelata ancora peggiore. Nella Spagna post-franchista (e in questo caso anche post-umana) i militari inviati a controllare e “sanificare” i pensionati si sono trovati di fronte a una situazione terrificante, con i vivi lasciati soli accanto ai cadaveri in strutture abbandonate da chi avrebbe dovuto gestirle. Sono scoperte agghiaccianti ma non infrequenti in una società secolarizzata nella quale, smarriti gli antichi valori cattolici e anche laici, sull’etica dei doveri prevale il culto dei diritti. Difficile non pensare al titolo del capolavoro di un grande filosofo iberico del secolo scorso, José Ortega y Gasset: España invertebrada.

Una caccia alle streghe (per fortuna) mancata

Non c’entra nulla col Coronavirus, ma debbo dirlo lo stesso: sono contento che il cardinal George Pell sia stato assolto dalla Corte Suprema australiana. Era stato condannato in primo e in secondo grado per abusi sessuali che avrebbe commesso quasi trent’anni prima; l’accusa si basava su di una sola tardiva testimonianza e forse anche sul pregiudizio anticattolico di una nazione protestante in cui i “papisti” irlandesi sono stati a lungo deportati come criminali comuni. Unus testis, nullus testis, recita un’antica massima del diritto romano, ma il common law è un’altra cosa e nei primi due gradi di giudizio questo principio non è stato applicato. Il cardinale Pell, che aveva rinunciato all’immunità diplomatica per affrontare il processo, si è fatto un anno di ingiusta detenzione in carcere, a 78 anni. L’ultimo grado di giudizio gli ha reso tardivamente giustizia, con buona pace del “Guardian” australiano, che nei suoi titoli sembra dare voce soprattutto ai parenti delle presunte vittime. Non è un trionfo della Chiesa cattolica, ma del diritto e della giustizia australiana, cui si deve riconoscere il merito di avere evitato una edizione riveduta e corretta di quella caccia alle streghe che è stata e a volte sembra restare una specialità del mondo protestante.

@barbadilloit

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

Exit mobile version