Focus Storia/1. Bettiza, Suvorov e Hitler ‘rompighiaccio’ di Stalin

Hitler e Stalin

Viktor Suvorov, nome di battaglia, più che pseudonimo, di Vladimir Bogdanovich Rezun*, nato il 20 aprile 1947 nel villaggio di Barabash, nell’estremo oriente sovietico, da una famiglia russo-ucraina, in Wikipedia è definito un ‘romanziere russo’ (russian writer), già capitano o maggiore del Servizio Informazioni delle Forze Armate o Servizio Segreto Militare (GRU) dell’URSS, fuggito nel 1978 a Londra – paradiso di spie in attività o più o meno pentite – condannato a morte in contumacia, mai revocata dall’odierna Federazione Russa. In realtà molto più di un romanziere. Un dissidente ‘doc’, autore, tra vari altri, di un polemico testo, già famoso, Ledokol in russo, Icebreaker (Who Started the Second World War?) nell’edizione inglese del 1990, tradotto in quasi tutte le lingue europee, norvegese compreso, pure in giapponese ed in coreano; in italiano dall’editore Spirali, nel 2000, con il titolo:  Stalin-Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale. Viktor Suvorov, e non Vladimir Rezun, in omaggio, pare, al generalissimo Aleksandr Vassilievic Suvorov, conte di Rímnik, principe d’Italia, conte del S.R.I., principe di Sardegna ecc., che nel 1799 liberò Milano, Torino ed il Nord Italia alla testa dell’esercito austro-russo, sconfiggendo i franco-giacobini invasori. 

Il titolo del libro di Viktor Suvorov riconduce ad una frase attribuita a Stalin: ‘Hitler è il rompighiaccio della Rivoluzione mondiale’. Il Rompighiaccio esce per la prima volta in Gran Bretagna, nel 1986, quindi nel 1990 (ma l’intera tiratura di quell’edizione fu acquistata da ignoti e scomparve). Forse anche nell’URSS come Samizdat, originalmente una copia dattiloscritta, distribuita clandestinamente e riprodotta durante la Guerra Fredda, con grave rischio di condanna a lunghe detenzioni. L’autore ha rivelato pubblicamente, per la prima volta, il suo vero nome nel 1992, durante la presentazione dell’edizione polacca. 

Il libro ebbe un’edizione originale, in lingua russa, durante la Presidenza di Eltsin, nel 1993. Vittorio Strada ne parlò sul Corriere della Sera del 22 ottobre di quell’anno, come del maggior successo editoriale russo del tempo. Attualmente da noi quasi dimenticato, forse a causa degli anatemi e dell’implacabile censura del sinistrismo giornalistico radical-chic e di quello  accademico di matrice marxista, PCI o ‘benpensante’: alleati di ferro nella vulgata dell’unicità del “Male Assoluto” nazista e della inesauribile “Religione Olocaustica” sionista, strumentale agli interessi d’Israele, spesso criticata per la sua ossessiva presenza da seri esponenti e studiosi ebrei.  

In questi giorni di forzata reclusione domiciliara per il ‘coronavirus’, mi son messo a riordinare (si fa per dire) vecchie carte, pressochè dimenticate in grossi faldoni dall’avvento di Internet, che ha reso obsoleta, di consultazione scomoda, tutta una serie di ritagli e fotocopie accumulatisi durante anni ed anni. Un ritaglio de “La Stampa” – un intero paginone con tanto di caricatura dei due dittatori, di Ettore Viola – si è salvato dalla fine scontata. Un articolo di Enzo Bettiza** di domenica 29 ottobre 2000: “Hitler manovale di Stalin. Un libro russo sconvolge le convenzioni del revisionismo misurato: il nazismo fu il figlio programmato del bolscevismo”. In esso Bettiza informava della prossima presentazione della traduzione italiana del volume, di oltre 500 pagine, l’8 novembre 2000, al Circolo di Via Marina 1 in Milano, da parte di Vladimir Bukovskij (1942-1919), autore della Prefazione, grande indagatore degli archivi di Mosca a partire dal 1991 (il 18 dicembre 1976, mentre era in prigione, beneficiò di un accordo di scambio di prigionieri politici fra il regime di Pinochet e URSS, che portò alla contestuale liberazione, a Zurigo, del segretario Partito Comunista del Cile, Luis Corvalán):    

“La lineare logica di Suvorov resta in parte discutibile, ma in parte resta però anche molto avvincente: un’iperbole revisionistica che sa di grande verosimiglianza se non d’inoppugnabile verità. Ce lo spiegherà meglio l’autorevole garante del libro, Vladimir Bukovskij, uno dei padri  fondatori del dissenso sovietico, professore di Storia Contemporanea e di Slavistica all’Università di Cambridge nel New England. Egli presenterà la provocante opera di Suvorov, probabilmente in contumacia, a causa della condanna a morte non graziata dal Presidente Putin. Bukovskij parlerà tenendo a mente il titolo della sua prefazione:  ‘un monumento alla cecità umana’ “.    

Bettiza dava quindi contezza della tesi principale di Suvarov, cioè che ‘la Seconda Guerra fu progettata con cura a Mosca fin dal 1927. La Germania doveva fare da rompighiaccio: invasa l’Europa avrebbe aperto la via’:

 “Stalin riteneva che l’Europa era vulnerabile e conquistabile in caso di guerra. Fin da allora pensava che il ‘lavoro sporco’ contro le democrazie occidentali avrebbe dovuto essere affidato al ‘rompighiaccio’ in camicia bruna: Hitler, senza rendersi conto dei piani di Stalin, avrebbe dovuto sgomberare inconsapevolmente la via all’avanzata  del comunismo sovietico sul continente europeo. Ma, per arrivare a tanto, bisognava prima sgomberare la via all’avanzata del nazionalsocialismo in Germania. Stalin la favorì  con tutti i mezzi di pressione e di propaganda che il Komintern  gli metteva a disposizione. Naufragato il conato rivoluzionario tedesco del 1923, il Komintern, qualche anno dopo, ordinò ai comunisti germanici di dichiarare una guerra totale alla socialdemocrazia, di non ostacolare l’ascesa del movimento hitleriano, di combinare, anzi, situazioni di omertà elettorale con i nazionalsocialisti contro i traditori della classe operaia, etichettati ‘social fascisti’. Stalin sapeva bene che i comunisti, dopo la disfatta del ’23, non potevano più salire al potere in Germania.  Se si voleva che la guerra come nel ’17 diventasse ancora la madre delle rivoluzioni, se si voleva scardinare l’Europa prima di conquistarla, la strada poteva essere una sola: riarmare l’esercito tedesco, offrirgli in territorio russo spazi e munizioni per le manovre, appoggiare al tempo stesso Hitler nella scalata ai vertici del Reich, poi stringere un patto con lui, coprirgli le spalle dandogli via libera per l’aggressione contro la Polonia e le democrazie europee. Scopo di Stalin era la distruzione della Francia e dell’Inghilterra ad opera della Germania nazista e, infine, la distruzione della Germania ad opera dell’Unione Sovietica”. 

Continuava Enzo Bettiza:

“Qui, Suvorov finisce per riallacciarsi alle profetiche intuizioni  espresse più volte da Trockij fra il 1933 e il 1939: ‘Stalin in definitiva ha dato luce verde a Hitler e così ha sospinto l’Europa verso la guerra’. Siccome la storia non si lascia programmare fino in fondo, le cose andarono diversamente. Ma non del tutto diversamente. Hitler non capì il grande gioco che, forse, avrebbe potuto almeno in parte volgere a proprio vantaggio; violò i patti; prese l’URSS in contropiede; la aggredì a sorpresa. Iniziò a suicidarsi prima dei tempi calcolati e auspicati da Stalin per il suo suicidio. Quella follia suicidiaria teutonica doveva sconvolgere per due anni, fino a Stalingrado, i progetti a più lunga scadenza del maestro di scacchi sovietico. Stalin, che aveva impostato gli immensi arsenali dell’URSS per una guerra offensiva, per l’invasione della Germania e dell’Europa dissanguate dalla guerra, si trovò completamente sprovvisto di armi difensive con cui resistere all’attacco tedesco. Osserva il tecnico militare Suvorov: ‘Avevamo formidabili cacciabombardieri costruiti non per battagliare nel cielo, ma per colpire aeroporti e città oltrefrontiera. Avevamo i più veloci blindati del mondo, dotati però di una strana caratteristica: ripetevano in chiave tecnologica moderna la mobilità delle cavallerie leggere di Gengis Khan contro i centauri feudali catafratti, uomo e destriero, in panoplie di ferro. Quei carri armati potevano addirittura sbarazzarsi dei cingoli e proseguire su ruote, correndo a una velocità di cento chilometri orari. Quindi, come s’è poi dimostrato, del tutto inutilizzabili in una strategia difensiva sulle pessime strade sovietiche; ma potenzialmente utilizzabilissimi sulle ottime autostrade germaniche in una strategia offensiva’. Se Hitler avesse rispettato il Teufelpakt, il ‘patto col diavolo’, Stalin con la sua cavalleria veloce avrebbe forse potuto spingersi, al momento opportuno, dagli Urali all’Atlantico. L’ingenuo Roosevelt lo aiuterà ad arrivare comunque fino all’Elba; metà conquista, se non tutta, verrà realizzata”.

Le tesi di Suvorov sono state riassunte più diffusamente da Enzo Bettiza in Corone e maschere, Milano, Mondadori, 2001.

Nel 1985, il 16 maggio, il giornale Russkaja Mysl (‘Il Pensiero Russo’, che esce in lingua russa a Parigi dal 1947): 

“pubblica, con il  benestare dell’allora direttrice Irina Ilovajskaia,  il primo articolo di una serie di saggi dedicati ad alcuni fatti della Seconda Guerra Mondiale, firmati Viktor Suvorov. I titoli di quegli articoli sono sempre in forma interrogativa, ad esempio ‘Perché la linea di difesa sul confine dell’URSS fu eliminata alla vigilia della guerra con la Germania nazista?’,  o ‘Perché Stalin fece creare dieci corpi di paracadutisti d’assalto?’, o ‘Perché il compagno Stalin non fece fucilare il compagno Kudriavzev?’. E ogni volta la risposta che si deduceva nitidamente in base ai fatti esposti rivelava al lettore, senza lasciare alcun dubbio, che la vera storia della Seconda Guerra Mondiale finora non è mai stata scritta. Una breve annotazione redazionale comunicava che ‘l’autore è un ex ufficiale dei Servizi segreti sovietici, passato all’Occidente. Questo articolo è un capitolo del libro in preparazione, dove Viktor Suvorov prova che nel 1941 Stalin si preparava all’assalto dell’Europa e alla guerra offensiva”, 

notava Vardui Kalpakcian in Revisionismo illuminato:Viktor Suvorovil, il 6.5.2010, aggiungendo:

“In questo libro fatti storici noti, comprovati da documenti accessibili a tutti, sono esposti per la prima volta nella loro giusta sequenza e sotto l’ottica di un analista militare professionista, che non solo spiega tutti gli enigmi degli eventi succedutisi dal giugno del 1941, ma, soprattutto, non lascia dubbi circa il fatto che era Stalin a preparare la nuova  guerra mondiale e l’occupazione dell’Europa.  Prima di lui era già stato Marx a scrivere che ‘le guerre sono le locomotive della storia’ e Lenin a dire che il regime comunista, dopo essersi consolidato in un singolo paese, ‘si sarebbe diffuso in tutto il mondo’. Stalin passò direttamente ai fatti.  La tesi di  Suvorov ‘Stalin stava preparando la Seconda guerra mondiale e l’assalto all’Europa’ ha chiarito in un lampo il quadro storico.  Questa tesi ha reso unito il quadro a mosaico dell’epoca, la vita dello Stato staliniano in tutti i suoi aspetti compreso quello culturale. Questa versione della storia della Seconda Guerra Mondiale, e più ancora  del suo prologo, ha cambiato per sempre le nostre idee sul passato, perché spiega, senza alcuna contraddizione, praticamente tutto: non solo la catastrofe militare del giugno del 1941 (lo sterminio del primo scaglione d’assalto dell’Armata Rossa), ma anche le politiche della ‘collettivizzazione’ e dell’’industrializzazione’, con tutte le loro atrocità  e milioni di vittime, le repressioni, le riforme culturali, la politica interna e quella estera dell’URSS. Viktor Suvorov ha palesato quello che poteva essere capito da tempo, che è la sola spiegazione logica possibile degli eventi, che finora non è stata mai cercata: il regime totalitario sovietico non poteva sopravvivere se destinato alla coesistenza con altri paesi. Mirare alla ‘totale rivoluzione mondiale’ era per il regime non tanto lo scopo, quanto l’unica possibile politica per la sopravvivenza”.

(https://www.ricognizioni.it/revisionismo-illuminato-viktor-suvorov).

Tesi, quelle di Rezun-Suvorov, che a molti sembrano però troppo rivoluzionarie, indecenti, che fanno inorridire, sin dall’inizio. Per Aurelio Lepre (Il Mattino del 10.11.2000) ‘sono solo sciocchezze e delusioni’; mentre l’ultranovantenne Indro Montanelli (Corriere della Sera del 7.11), da sempre segreto ammiratore dei comunisti che pur combatteva, prende una cantonata, non l’unica della sua onorata carriera, privilegiando i dettagli sulla tesi essenziale:   

“Sedotto da Bettiza ho cominciato a leggere il libro. La tesi di Suvorov  non è del tutto nuova. Che Stalin considerasse il nazismo come un regime più vicino al suo di quanto lo fossero il mondo capitalistico e le democrazie che lo coprivano, è vero. Com’è vero ch’egli abbia visto con favore lo scatenamento della Germania contro l’Occidente sperando che si annientassero reciprocamente aprendo a lui la strada per una marcia su Lisbona. È la tesi sostenuta anche dall’inglese Bullock. Ma da questo a dire, come dice Suvorov, e come fa dire ai documenti (con la solita tecnica di riprodurre solo quelli che avvalorano la propria tesi), che fin dal 1925 (n.d.r 1927), quando Hitler era ancora uno dei tanti arruffapopolo che predicavano il loro Verbo nelle birrerie di Monaco, Stalin aveva visto in lui lo strumento con cui scardinare l’Occidente; è un passo che va oltre la portata delle mie gambe, cioè del comune buon senso.(…)  Ma poi come fece, questa Cassandra, capace di vedere così lontano, a non capire che Hitler stava per piombare addosso a lui e a farsene cogliere del tutto impreparato?Va bene: i libri, si sa, si scrivono per venderli: e per vendere quelli di Storia, bisogna raccontarla in modo diverso dagli altri. Ma c’è chi ne abusa”. 

“Duce e Führer ‘di sinistra’. Hitler e Mussolini, secondo lo studioso tedesco, vanno inquadrati nella tradizione rivoluzionaria insieme a Lenin. Denominatore comune fra nazismo e fascismo. Franco e Pinochet sono invece ‘nipotini’ di De Maistre”, titolava il 18.1.1976 La Stampa, presentando un bell’articolo (altro ritaglio salvato dal cestino!) di Marcello Staglieno (1938-1913), uno dei fondatori de il Giornale, su George L. Mosse (1918-1999). Storico ebraico-tedesco naturalizzato statunitense che si è occupato soprattutto di nazismo e del ‘900, ma che ha approfondito molti temi della storia contemporanea, unendo alla prospettiva storica anche quella sociologica ed antropologica. Il suo libro più celebre “La nazionalizzazione delle masse”, del 1975, è tuttora considerato il best seller della storiografia del nazismo, fra i contributi storiografici più importanti e originali degli studi che spiegano la sua origine.

Opportunamente, Staglieno in detto articolo ricordava: 

” ‘Il caso De Felice’ ha dimostrato che in Italia non è facile affrontare una discussione a livello realmente storiografico su Mussolini e sul fascismo. Legate a una bibliografia sterminata che continua peraltro a oscillare tra giustificazionismo e requisitoria (come disse Leo Valiani) le interpretazioni in proposito sono di rado fuori degli schemi della polemica politica, e per quelle eterodosse non c’è che il linciaggio morale. L’offensiva di Valiani contro ‘Gli anni del consenso’ sul Corriere e poi quelle di Tranfaglia e Ferrara sul Giorno e di Alatri sul Messaggero sembrano in effetti vincolate ancora alle interpretazioni ‘classiche’ del fascismo: identificazione del movimento italiano con quello tedesco, visti come ‘malattia morale dell’Europa’ (tesi liberal-crociana), come inevitabile fase ‘conservatrice’ dello sviluppo storico d’alcuni Paesi (tesi cara alla cultura azionista e radicale) e come prodotto della società ‘capitalistica’ (tesi marxiana, che fa coincidere il fascismo con una reazione antiproletaria borghese), il cui ripetersi è tutt’oggi latente”. 

Eppure da alcuni anni, notava Staglieno, soprattutto negli Stati Uniti ed in Germania, si stava sviluppando una corrente storiografica che considerava il fascismo ‘la seconda grande rivoluzione del secolo’ dopo il leninismo. Ad essa avrebbe dato un apporto determinante Renzo De Felice (1929-1996). Ricordando pure  Mosse, Bullock, François Furet, soprattutto Ernst Nolte, che  fu docente di storia contemporanea all’Università di Berlino, studioso dei rapporti e dei legami causali tra comunismo e nazionalsocialismo tedesco. Allievo di Martin Heidegger, Nolte (1923-2018) è rimasto un esponente di primo piano del revisionismo storiografico. 

Le sue tesi – secondo cui fascismo e nazismo van considerati risposte imitative speculari al bolscevismo russo-sovietico – furono centrali negli accesi dibattiti sulla contestualizzazione storica dei crimini della Germania nazista durante la WWII, ne ‘I tre volti del fascismo’ (Der Faschismus in seiner Epoche. Action francaise-Italienischer Faschismus-Nationalsozialismus, 1963), Milano, Sugar, 1966, ed opere successive. La tesi riguardava principalmente l’Olocausto e i crimini di guerra  e questi scontri animarono la storiografia tedesca, europea e mondiale degli anni ’80 culminando nella cosiddetta “controversia degli storici” (Historikerstreit). Nolte può collocarsi, come George L. Mosse e Renzo De Felice, nella corrente dello storicismo, anche se non di stampo neoidealista. Chi respinse le tesi di Nolte, tra cui Elie WieselDeborah LipstadtJürgen Habermas, lo accusò di giustificazionismo, minimizzazione della Shoah o addirittura di antisemitismo, mentre altri, come Andreas Hillgruber,  Stéphane Courtois, in Italia Francesco Perfetti, Giuseppe Parlato e Augusto Del Noce, apprezzarono la sostanziale equiparazione tra gulag e lager come la rottura di un tabù (l’unicità dei Lager dell’Olocausto e la nozione di “Male Assoluto”) presente tra gli storici fino ad allora. Del resto, Hitler ed il gruppo dirigente nazista, nonostante la “Notte dei Lunghi coltelli” del ’34 mai rinnegarono totalmente lo ‘strasserismo’, il ‘nazionalbolscevismo’ di ampi settori della base. Molti dirigenti avevano un passato di sinistra come Goebbels. Il nazismo non fu mai di destra, anche se usò, strumentalizzò istanze di destra della società tedesca, a partire dal militarismo prussiano, teorizzate dalla  Konservative Revolution. Di destra sarà, semmai, il fallito golpe di Stauffenberg, il 20 luglio 1944.

Come efficacemente sosterrà Bettiza nel citato articolo:

“Secondo Friedrich von Hayek le torbide parentele fra comunisti e nazisti provenivano addirittura dalle sentine della filosofia classica tedesca: da Hegel e Feuerbach allo scientismo di Marx e Lenin per un verso, da Hegel e Herder all’irrazionalismo di Nietzsche e Hitler per un altro. Se per Nolte il nazionalsocialismo sarebbe stato in primo luogo una ‘risposta’ al successo e all’espansione del bolscevismo russo, secondo Hanna Arendt (Le origini del totalitarismo, 1962) quei due mostruosi fenomeni  metapolitici avrebbero percorso strade inverse per giungere allo stesso risultato finale: ‘i bolscevichi, una volta instaurata la dittatura, si separano dal popolo e scoprono il bisogno di una finzione centrale (la congiura imperialista, l’eresia trockista, il cosmopolitismo senza radici) per mantenere e imporre la ferrea disciplina di una società segreta nell’ambito di un’organizzazione di massa’. Hitler, imitando, capovolgerà i tempi della manipolazione: ‘I nazisti cominciano con l’invenzione della congiura e della finzione (l’eresia di Röhm come lo scisma di Trockij, la cospirazione degli ebrei come il sabotaggio dei kulakj, l’accerchiamento delle democrazie occidentali draculizzate con le medesime tinte sulfuree della propaganda sovietica) e quindi si organizzano secondo il modello di una società  segreta’. La tendenza  all’indagine comparativa si rafforza in diversi storici e tocca il suo vertice in Bullock nell’alveo di un revisionismo articolato, scrupoloso, molto controllato: comunque attento a non superare certi limiti e rigori interpretativi. Stalin e Hitler vi si  configurano come entità rivali, simili e dissimili, convergenti e divergenti, ma pur sempre ben distinte l’una dall’altra e conchiuse nell’ambito delle rispettive ambizioni politiche e dei rispettivi interessi nazionali. Due colossi del male alla pari. Ma a questo punto  appare un libro ‘sovietico’ che sconvolge le convenzioni del revisionismo misurato, per così dire tracima in una sorta di revisionismo rivoluzionario. Hitler e Stalin non erano affatto colossi di primo grado: il capo nazista non sarebbe stato che una creatura artificiale inventata, quasi in laboratorio, dal più astuto e più luciferino capo bolscevico”.

Alan Bullock (1914-2004), docente di Storia e poi Vice Rettore dell’Università di Oxford, nominato Lord e barone, autore nel 1991 di Hitler e Stalin. Vite parallele. Tradotto nel ’95.

@barbadilloit

*già ambasciatore d’Italia

Gianni Marocco*

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