Destre. Addio a Peppino Salmeri, educatore e vera memoria storica del “polo escluso”

Peppino Salmeri

L’ultima volta che ci siamo incontrati era dispiaciuto perché in questi tempi di pandemia era purtroppo chiusa la copisteria. Voleva fotocopiare alcune pagine utili ai miei studi, le aveva cercate e messe da parte già da qualche giorno. Era fatto così, Peppino Salmeri, mio vicino di casa da tredici anni. Avvertiva sempre la necessità di aiutare studiosi, giornalisti o anche semplice studenti con i preziosi materiali che lui raccoglieva e archiviava sin da quando era giovane.

Ci conoscevamo sin dai primi anni Ottanta, frequentandoci prima in libreria e poi in alcune iniziative politiche legate alla rivista Proposta e alla componente che faceva riferimento a Domenico Mennitti. Su quella rivista aveva pubblicato qualche articolo, in particolare un bellissimo dossier su Giovannino Guareschi curato insieme a sua moglie Annamaria. Classe 1948, catanese, Peppino aveva frequentato il ginnasio e il liceo al Convitto nazionale di Tivoli, dove venivano ospitati i figli dei dipendenti pubblici. E già qui strinse amicizia con ragazzi che nei primi anni Sessanta si riconoscevano nella Giovane Italia. Poi, per l’università, torna a Catania e diventa un militante e dirigente del Guf (Gruppo Universitario Fuan) etneo. Sono gli anni attorno al ’68 e Peppino, seguace e amico di Adriano Romualdi, pensa che si debba puntare soprattutto sulla cultura e la battaglia delle idee. Inizia da allora il suo quasi compulsivo raccogliere e archiviare documenti, riviste, giornali, volantini e libri… Materiali che porterà con sé a Roma, dove arrivò nel 1973 e da dove, lavorando intanto come docente, al Convitto Nazionale, parteciperà alle vicende politiche e militanti dagli anni Settanta agli anni Novanta. Frequentando, contemporaneamente, in maniera assidua le librerie d’area, prima le Edizioni Europa di via degli Scipioni e poi l’Europa di via Pietro Cavallini.

Non c’era convegno, presentazione di libri, tavola rotonda in cui fosse assente… Sempre lo incontravi e sempre ti si avvicinava, conversando e fornendoti interessanti spunti di approfondimento. Più che scrivere amava leggere e pensare, individuare tracce di ricerca per gli studiosi. Collaborò infatti con l’Italiano di Pino Romualdi e con Proposta, così come curò una interessante rubrica di riletture – “Come eravate” – su Italia settimanale anche se la sua vocazione era quella del lettore e dello studioso di lungo periodo. Negli anni in cui la grande stampa cominciava a occuparsi del “polo escluso” della destra, Peppino assunse involontariamente il ruolo di “consulente” di alcuni giornalisti di primo piano, i quali lo sentivano spesso per sapere cose e avere materiali, primo tra tutti Filippo Ceccarelli. Il suo numero di telefono circolava tra le agende delle redazioni di Repubblica, La Stampa, Corriere della Sera…

Era tipico di Salmeri ritrovare la lettera a un giornale, un trafiletto o una breve, che spesso fornivano dettagli più importanti delle cronache ufficiale. Come quella volta che ci portò al settimanale l’Italia una lettera scritta nel 1968 da Beppe Niccolai appena eletto deputato, il quale si rivolgeva all’allora presidente della Camera Sandro Pertini protestando con il trattamento di favore riservato ai deputati per l’apertura di conti bancari presso il Banco di Napoli. “Non è tempo – scriveva Niccolai – per chi è al vertice della cosa pubblica come lo siamo noi, di lasciarsi cullare sull’onda di facilitazioni di questo genere. Il cittadino ci giudica soprattutto da queste cose. E sono questi episodi che fanno aleggiare sul Parlamento un’aria di sospetto e disistima”. Per me personalmente, Peppino trovò le fotocopie di due articoli eccezionali, rispettivamente di Ignazio Silone e Augusto Del Noce che, già nel 1945, invitavano a superare e archiviare l’antifascismo.

La storia contemporanea era del resto la grande passione di Peppino, che stava pensando da qualche anno uno studio sugli anni della strategia della tensione. Giudicava molto attendibili e documentati i libri degli ultimi anni di Giovanni Fasanella, con le cui tesi concordava. Nel quartiere romano di Balduina, dove viveva da 47 anni, lo conoscevano davvero in tanti, lo apprezzavano per la sua cultura e la sua umanità e lo chiamavano semplicemente “il Professore”. Dopo la pensione, purtroppo, soprattutto nell’ultimo anno una serie di malanni hanno messo alla prova la sua serenità e il suo simpatico disincanto. Era stato allietato dalla nascita di tre bei nipotini avuti da due delle sue tre figlie: Serena, Cristiana e Francesca. Suo rammarico degli ultimi giorni il fatto di non aver potuto vedere la sua ultima nipotina, figlia di Cristiana, nata durante questo atroce isolamento, solo qualche giorno prima della sua scomparsa. Ciao, Peppino: ci mancheranno i tuoi ritagli, i tuoi aneddoti, la tua saggezza tipicamente siciliana. 

Luciano Lanna

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Francesca e Peppino Salmeri

Il ricordo della figlia

Il 10 aprile 2020 mio padre Giuseppe Maria Salmeri – per molti Peppino Salmeri – se n’è andato. Lo ricordano con affetto la famiglia e tutti gli innumerevoli amici che hanno fatto parte della sua vita.
Mio padre era un uomo che per stringere amicizia con qualcuno aveva bisogno di due cose: una conversazione e cinque minuti del suo tempo. Da bambina l’ho accompagnato innumerevoli volte a fare la spesa, a passeggiare per il quartiere, in moltissime librerie e nella scuola dove ha lavorato per tutta la vita. Ogni anno durante la sua carriera gli alunni mandavano a casa doni belli e sentiti. Era impossibile non innamorarsi di un insegnante sempre pronto a schierarsi dalla parte dei più deboli.

Spesso ho riso con i miei amici di quanto fosse più conosciuto lui di me e delle mie sorelle per le strade. L’intero quartiere ha sempre avuto una parola buona per lui.
Si può dire senza ombra d’ipocrisia ch’è stato un uomo cordiale ed accogliente sempre con tutti. Chiunque sia entrato in casa nostra durante la mia infanzia o quella delle mie sorelle ha ricevuto da mio padre una carezza, una merenda, un pensiero gentile. Ha amato la storia, la letteratura e la cultura in un modo così profondo da far sì che queste cose facessero parte delle nostre vite senza che nessuno di noi avesse alcuna possibilità di sottrarsene.

Sempre con i giornali sotto il braccio, con gli occhiali sul naso pronto a scrivere innumerevoli pagine ricche di pensieri e argomentazioni che chiunque abbia dibattuto con lui almeno una volta stenta a dimenticare. Era un logorroico terribile, delle cose che conosceva bene era capace di parlare per ore, di quelle che conosceva meno parlava lo stesso, perché amava il linguaggio e il confronto con l’altro al di sopra di ogni altra cosa. Questo è un pregio e un difetto che ha formato il mio carattere prima di ogni altra cosa. Sul mio viso c’è l’impronta del suo mento, dentro di me quella della sua dialettica.

In questi giorni già moltissime persone hanno condiviso con me e la mia famiglia ricordi e dolcezza nei suoi confronti. Tra molti i più giovani non possono non ricordare l’accoglienza con cui papà ha sempre aperto la sua porta: ricordi che parlano di un uomo che faceva sentire tutti come a casa propria.
Giornali, sigarette, gassosa, parole crociate caffè e libri. Con una grafia elegante e spigolosa ha riempito milioni di pagine.

Lo ricorderemo sempre passare estati intere seduto al tavolino di un qualunque bar a scrivere saggi su Salgari che “Sarà sempre lo scrittore più grande di tutti perché capace di raccontare ogni cosa senza il bisogno di averla vissuta”. Anche lui, seduto sulla sua poltrona in uno sfondo di libri e giornali, ha continuato a scrivere e condividere opinioni per tutta la vita. Mi ha insegnato il valore del pensiero indipendente, a non cedere al più banale buonismo e a saper riconoscere l’onestà nelle persone prima di ogni altra cosa. Fino all’ultimo momento della sua vita non ha scordato il nome di un politico, un generale, un papa o un ministro che abbia partecipato alla storia del nostro paese. Non l’ho mai sentito esternare affetto a parole, gli sono sempre bastati sorrisi e sguardi. Ricordo con dolcezza il racconto di un giovane marito che era solito nascondere per la moglie fiori tra le pagine dei giornali.

La sua voce che mi racconta la storia di Roma mentre passeggiamo per i fori imperiali resterà il filo conduttore della mia vita.
Ricordate con un sorriso un uomo che alla domanda “Come va Professore?” ha sempre risposto “Ci si può lamentare e finché ci si può lamentare va tutto bene”.

Francesca Salmeri

@barbadilloit

Luciano Lanna

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