Giornale di Bordo. L’anno scolastico finirà con una sanatoria. Ma come sarà la scuola a settembre?

L’attimo fuggente

Sanatoria estiva, era scontata. Ma che faranno le scuole a settembre?
Anche se gli alti papaveri di Viale Trastevere cercano di salvare le forme, è ormai evidente che il corrente anno scolastico si concluderà con una sanatoria generale, tutt’al più coperta dalla foglia di fico di un colloquio a distanza per l’esame di maturità. Anche in Francia, dove il baccalaureato è un’istituzione come e più del nostro esame di Stato, paiono del resto rassegnati a sostituire le tradizionali prove con i risultati degli scrutini finali, cosa che non era avvenuta nemmeno al tempo dell’occupazione tedesca.
In Italia, invece, già l’ultima guerra era stata occasione per una semplificazione non solo della maturità, ma degli esami universitari. Molti studenti richiamati alle armi fecero un’esperienza ante litteram di 18 politico (anzi bellico), presentandosi agli esami in uniforme, magari palleggiando una bomba a mano. Non mancò nemmeno la possibilità di laurearsi con una tesi orale per i combattenti e reduci, che non avevano avuto né il tempo né la possibilità di condurre ricerche negli archivi o in biblioteca. Ne usufruì anche Geno Pampaloni, destinato a una brillante carriera di critico letterario e manager editoriale. Le schede che aveva raccolto su Melchiorre Cesarotti, primo argomento della sua tesi, erano andate disperse nel bombardamento della casa di famiglia a Grosseto e se la cavò, ancora sotto le armi, con una relazione sulla poesia giovanile di D’Annunzio (non fu fortunato, però: la sua boutade su D’Annunzio che fu dannunziano prima di essere D’Annunzio, a differenza di Carducci, divenuto carducciano solo in un secondo tempo, fece scandalizzare il controrelatore e calare il voto di laurea).
Quello che deve preoccupare sul serio è però qualcosa di molto più grave: il ritorno in classe a settembre. Si dà purtroppo per scontata l’impossibilità di un pieno ritorno alla normalità dopo la pausa estiva e le aule scolastiche non sono certo le più adatte a consentire un adeguato distanziamento degli alunni delle “classi pollaio”. Forse andrebbero ancora bene le scuole costruite in età giolittiana o littoria, quando l’esigenza di prevenire la Tbc e altre malattie infettive imponeva ariose volumetrie. Ma la maggior parte degli edifici realizzati nel dopoguerra, in cui era diffusa la preoccupazione di evitare ogni accusa di “monumentalismo fascista”, sembra pensata per favorire lo scambio di virus.
E poi, diciamocelo in tutta onestà, sarebbe comunque impossibile tenere a distanza di almeno un metro venticinque ragazzini con l’argento vivo addosso per cinque o sei ore al giorno, anche durante la ricreazione.
Molti dirigenti scolastici cominciano così ad attrezzarsi per ampliare e istituzionalizzare le esperienze di didattica a distanza avviate con risultati più o meno brillanti in questi mesi. Non è un’impresa facile, per motivi sia pratici sia culturali.
Da un punto di vista pratico, è necessario ricordare che non tutte le famiglie dispongono di un computer da fare utilizzare in esclusiva al figlio studente (e se poi i figli sono più d’uno?). A questo problema pratico potrebbe essere possibile ovviare fornendo, con i rischi che tutti i prestiti comportano, tablet in “comodato gratuito”. Resta il problema dei collegamenti internet, visto che la banda larga non copre tutto il territorio nazionale. E anche il fatto che negli istituti tecnici e professionali comunque rimarrebbe fuori l’esperienza di laboratorio.
Ma il problema maggiore è di natura culturale. A mio giudizio il cosiddetto e-learning non dovrebbe essere una caricatura telematica della didattica tradizionale, con l’appello mattutino sul registro elettronico, il “triste manuale” (come lo chiamava Marc Bloch) da studiare “da pagina 10 a pagina 20”, la campanella virtuale che scandisce il passaggio da un’ora all’altra e magari la richiesta degli alunni all’insegnante di potersi disconnettere per recarsi in bagno o far merenda. L’idea che un ragazzino o un adolescente rimangano per cinque o sei ore davanti al computer mi fa paura, per motivi sia igienici sia psicologici. Si commetterebbe, con risultati ancora peggiori, l’errore dei primi progettisti di vagoni ferroviari, che li concepirono come una somma di carrozze saldate l’una all’altra, ciascuna con le sue portiere: solo in seguito si capì che quella soluzione era antieconomica e pericolosa (le portiere rischiavano di entrare “a baionetta” nel convoglio che procedeva in senso opposto), e nacquero le “littorine”.
Nel caso della didattica online (parlo delle medie e soprattutto delle superiori, perché alle elementari la situazione è ancora più problematica, e delle discipline umanistiche) il professore potrebbe cogliere gli aspetti positivi di questa “vacanza” dalle regole usuali. Esonerato dall’incubo della disciplina da tenere, della classe che fa confusione se appena ritarda e del bidello che magari fa la spia al preside, dalla corvée delle giustificazioni da controllare, dei ritardi da registrare, del registro da compilare, delle paternali da fare ai ritardatari, potrebbe diventare più che un controllore o un ripetitore di nozioni facilmente recuperabili su internet un evocatore d’interessi. Dovrebbe certo tenere lezioni, più brevi, caricandole magari su youtube, ma anche consigliare siti attendibili (non c’è solo wiki: tutta la Treccani è disponibile online), programmi televisivi qualificati (Rai cultura ne offre una vasta gamma), libri, ovviamente, ma anche pellicole cinematografiche e ovviamente romanzi. Dopo aver parlato di Dante, potrebbe far seguire alla sua lezione le letture della Divina Commedia fatte da Vittorio Sermonti. Interrogazioni, valutazioni, giudizi verrebbero di conseguenza, ma solo in un secondo tempo.
Propongo un’utopia? Non credo. Cerco soltanto di cogliere gli aspetti positivi di una situazione senz’altro non ottimale, perché niente può sostituire il contatto diretto fra docente e discente (me lo disse, mentre ero in visita con una deputazione della Provincia di Firenze in California, un dirigente della Cisco; ma da allora, era il 2001, qualcosa potrebbe essere cambiato).
Certo in una classe virtuale il professor Keating dell’Attimo fuggente non potrebbe salire su una cattedra ad arringare i suoi discepoli, né il professor Dominici della Prima notte di quiete corteggiare la bella Vanina, e soprattutto non tutti gli insegnanti sono dei Robin Williams o degli Alain Delon. Ma perché non cercar di fare lo stesso, una volta tanto, di necessità virtù?

Epitaffi per una nuova Spoon River

Ero l’avvocato del popolo e mi recai dinanzi alla Suprema Corte Europea. Ma al momento di difendere i miei sessanta milioni di clienti non seppi che balbettare: “Mi appello alla clemenza della Corte”.
Non fu colpa mia se la Corte non ebbe clemenza.

@barbadilolit

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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