Focus Storia/2. Hitler e Stalin, l’Urss e le tentazioni imperiali sulla rotta Pechino-Mosca

Hitler e Stalin

La storia è per natura semper reformanda, ma i casi di Ernst Nolte, dell’ anglo-russo Nikolai Dmitrevic Tolstoy Miloslavsky (discendente di Leone) che criticò in alcuni saggi la decisione di Churchill di consegnare a sovietici e jugoslavi –  per essere uccisi – i loro connazionali prigionieri di guerra dell’Asse in violazione delle Convenzioni di Ginevra e di altri, como appunto Suvorov, mostrano quanto caro costi cozzare contro gli svariati muri di gomma delle ‘Vulgate’. La ricerca storica è tuttora monopolizzata dai cascami della propaganda della WWII, dalle ideologiche ‘verità ufficiali’ e virtù che non intendono cedere neppure un passo. La libertà di parola, di analisi e di scrittura soffre censure incessanti, ha prezzi alti, non solo in Italia. L’abbiamo visto con De Felice che ‘desacralizzò’ la Resistenza e non fu mai perdonato dalle attempate vestali della stessa.

Vale per l’Italia, ma più in generale per l’Occidente, ove ‘revisionista’ è diventata un’etichetta sinonimo di ‘nazistoide’ o ‘antisemita’, affibiata con abbondanza agli avversari  della ‘verità’ da un’intelligenza liberal o comunistoide, faziosa ed intollerante. L’opera di Suvorov su Hitler e Stalin, due personaggi infami, orrore e  vergogna dell’umanità, autorizzava sul piano  teorico una certa identificazione di marxismo e nazismo, che gli storici di sinistra non potevano accettare, convinti che la prima è un’ideologia, pur difettosa, per la liberazione dell’uomo dallo sfruttamento; la seconda del tutto condannabile, basata sul razzismo, su teoremi di schiavitù, sul predominio di una razza. Anche se all’epoca il razzismo era ovunque diffuso, a partire dagli USA.

Neppure  Suvorov poteva piacere a molti Oltreatlantico, non solo in quanto ‘revisionista’, ma perchè ridimensionava, in qualche modo, sia il ruolo dell’ ‘Arsenale della Democrazia’ della macchina propagandistica – sempre in attività a pieno regime – sia quello delle Forze Armate germaniche, che erano state ‘superbe e magnifiche’, impegnando duramente le coraggiose truppe statunitensi. A Washington sopravvive l’epica da Far West e la propria Realpolitik ha nome Etica.

Tuttavia, alcune recensioni  sono state dei veri contributi scientifici alla comprensione del ‘caso Suvorov’: non solo quella di Enzo Bettiza, ma pure quella di Massimo  Caprara su il Giornale del 6 novembre 2000,  più le anticipazioni di Lia Wainstein su La Stampa (del 1° aprile 1986) e di Vittorio Strada sul Corriere della Sera del 10 agosto 1996, il quale introdusse e tradusse un documento pubblicato con due titoli inequivocabili. Cioè, ‘Stalin: si sbranino pure, poi arriveremo noi’ e ‘È interesse dell’Urss che scoppi la guerra fra il Reich e gli anglo-francesi’. La dottrina del ‘comunismo in un solo Paese’ era valida nel breve periodo; sul medio e su quello lungo, gli scopi finali di Stalin si spingevano molto più lontano, a tutta l’Europa ed a parte del mondo. Il resto sarebbe venuto poco a poco, grazie all’azione dei partiti comunisti locali: ovunque essi erano pronti a eseguire qualunque ordine di Stalin. A Barcellona per fucilare gli anarchici, a migliaia; a Città del Messico per assassinare Trockij. I Togliatti, gli Ulbricht, il polacco Bolesław Bierut, la rumena Ana Pauker, il bulgaro Georgi Dimitrov ecc., quasi tutti i dirigenti dei futuri ‘Stati Satelliti’ o aspiranti tali, erano cittadini sovietici o avevano risieduto per molti anni in URSS, diventandone parte integrante. Se l’Unione Sovietica non è poi riuscita a conquistare l’Europa ed il mondo, ha però occupato metà del continente europeo, fino all’Elba ed ai confini austriaci, e una parte consistente di quello asiatico, almeno come lealtà iniziale o transitoria, politica ed ideologica. Non male, se si pensa che, fino all’ultimo, i comunisti occidentali hanno sostenuto, anche in sede storiografica, che Stalin non aveva mai avuto scopi che non fossero di natura puramente difensiva, che il patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 aveva unicamente queste finalità…

           Per contro, la vitalità del mito staliniano, allora già cinquantenario, della “Grande Guerra Patriottica del popolo sovietico”, è continuamente oggi evocata sui siti ufficiali o ufficiosi del Governo Russo, da Sputnik a Madre Russia, dall’ex Direttore del FSB  (ex KGB) Vladimir Putin, da oltre 20 anni uomo forte dell’impero, da quando egli ha ripristinato la Guerra Fredda e, con una chiara finalità di restaurazione futura, reso molteplici omaggi all’URSS, soprattutto nella ‘Grande Guerra Patriottica’: “quando il popolo sovietico fu in grado di sconfiggere un nemico crudele e molto forte. Tutto il popolo sovietico, tutte le regioni che componevano l’immensa Unione Sovietica contribuirono al raggiungimento della vittoria finale”. La tesi di Viktor Suvorov che “Stalin stava preparando la Seconda guerra mondiale e l’assalto all’Europa” risulta pertanto sacrilega, non solo eretica, agli occhi di Putin, nonché di molti ‘sovranisti’ europei antiatlantici, oggi sedotti dallo specchietto ‘Dio, Patria, Famiglia’ dell’inquilino del Cremlino.

Suvorov poneva anche un’altra questione: chi, dunque, ha vinto la Seconda Guerra Mondiale? Secondo lui, Stalin l’aveva persa: aveva ricevuto sotto il proprio dominio ‘solo’ una parte d’Europa (a partire dal bottino del 1940: le Repubbliche Baltiche, Carelia, Bessarabia, i territori già annessi dalla Polonia dopo il conflitto del 1919-’21),  l’occupazione dell’Est europeo nel ’45, il Patto di Varsavia, il che ha reso impossibile l’assalto al resto del mondo ‘non sovietico’. Il mondo democratico sopravvisse, e questa è stato, infine, la causa della fine inevitabile dell’Unione Sovietica. “La tesi centrale del mio libro” – disse – è che “fino all’Operazione Barbarossa, Hitler e Stalin erano percepiti diversamente da come ora ci s’immagina: il primo l’uomo nero, il secondo la sua povera vittima. Erano invece due uomini perfettamente uguali”. 

In La mentalità comunista (Spirali, 2001) antologia di ex dissidenti, Viktor Suvorov aggiungeva:

“Se siete davvero intenzionati a salvare il vostro Paese e l’Europa dal totalitarismo, dovrete prima di tutto mutare radicalmente il vostro atteggiamento nei confronti del comunismo sovietico. Ma questo potrà avvenire soltanto se ci sarà un processo, se si apriranno gli archivi e il  mondo potrà finalmente vedere per intero la vastità dei crimini del comunismo”.

Il giornalista Marco Respinti intervistò Viktor Suvorov nel novembre 2000, ricavandone un articolo per Tempi: ‘Perché difendete ancora l’inferno terrestre?’

“Se il ‘revisionista’ è un ex agente dei servizi segreti militari dell’URSS. E  dalle nostre parti, per timore di incorrere nelle scomuniche della religione (dell’antifascismo), si dubita ancora dell’opportunità di correggere certi manuali di falsificazione della storia. ‘L’arte in cui eccellevamo noi sovietici’, rammenta  Suvorov.  Stalin voleva tutta l’Europa, Hitler lo ha battuto sul tempo. Il’ rompighiaccio’: ovvero, Hitler usato da Stalin come grimaldello per divellere l’Europa (mentre l’America guarda inane) e poi chiudere il cerchio. Stalin temeva l’intervento angloamericano, ma sperava di dissimulare le proprie vere intenzioni. Gli USA gli credono, e in poco tempo il ‘piccolo padre’ conquista tutta l’Europa dell’Est e mezza Asia. Gli Stati Uniti hanno agito in maniera soft prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il presidente Roosevelt era letteralmente succube di Stalin. Affascinato, stregato. È chiarissimo fino a Yalta compresa”. (https://www.tempi.it/perch-difendete-ancora-linferno-terrestre).

Certo, Roosevelt odiava visceralmente i tedeschi, in modo poco razionale, ma assoluto.

L’8 Ottobre 2012 Alberto Rosselli, un giornalista e saggista di storia che  collabora con numerosi quotidiani italiani ed esteri e su svariati siti internet, scriveva in Storia Verità ‘Le verità  scomode di Viktor Suvorov. Ad iniziare la guerra fu Stalin’:

“Nella storia dell’URSS c’era da sempre un capitolo particolare, quello del 1941-45. La sconfitta del nazismo non permise che in URSS sparisse dal linguaggio comune il termine ‘patria’. Resterà per sempre che Hitler ha invaso l’URSS e Stalin è entrato a Berlino da vincitore. È possibile però analizzare i fatti spogliandoli dell’abituale confezione ideologica. Per farlo, essendo sovietici come Viktor Suvorov, essendo militari di carriera e figli di un eroe di quella guerra, soltanto il coraggio forse non sarebbe bastato: ci voleva la ferma convinzione d’essere scelti dal destino. Viktor Suvorov è l’uomo dal destino particolare: la sua missione gli è venuta incontro. Ha captato il marciume come l’Amleto nel regno della Danimarca. Ha scoperto non solo scheletri, ma anche cadaveri nell’armadio. Le prime domande, nate all’epoca della scuola militare, hanno determinato poi la fuga del brillante ufficiale dei servizi segreti sovietici nel 1978. Nel 1985 vede la luce il suo primo articolo ed oggi, a distanza di 15 anni, i cinque saggi fondamentali di Suvorov sono tradotti in 20 lingue ed hanno superato le decine di edizioni.  Leggerli è estremamente interessante. Militare di professione, l’autore carica il testo di fatti come caricherebbe una mitragliatrice di proiettili, di cui non c’è uno a salve e tutti quanti centrano l’obiettivo. L’analista dei servizi segreti, l’autore prende i fatti da sempre conosciuti, pubblicati sotto l’occhio vigile della censura sovietica, e li colloca in cronologie stereometriche, a scacchiera”.

E giunge alla spiegazione logica delle catastrofiche sconfitte dell’Armata Rossa nel ’41:

“Di quell’armata per costruire la quale il popolo del paese più vasto del mondo e ricchissimo, in soli 20 anni è stato ridotto al cannibalismo. Il libro di Suvorov è un libro aperto in tutti i sensi, perché tutto il materiale con cui opera l’autore è sugli scaffali, è accessibile e verificabile. L’epigrafe al metodo con cui opera Suvorov potrebbe essere ‘elementare, Watson’. È una lettura coinvolgente, anche solo con questo materiale, perché per Suvorov rimane tuttora chiuso l’intero l’archivio della Wehrmacht, che era trofeo di guerra ed è tuttora custodito gelosamente dalle autorità russe nel deposito di Podolsk.Qualcuno, per vari motivi, prima di tutto per capovolgere le teorie di Suvorov, ne ha avuto l’accesso, ma finora non si è realizzato nemmeno un tentativo di dare un quadro storico diverso da quello costruito da Suvorov. (…) Le pubblicazioni di Suvorov hanno dato vita ad un fenomeno straordinario: da decenni lui riceve un numero astronomico di lettere da tutto il mondo, scritte dai partecipanti alla seconda guerra mondiale, nonché dai loro figli e nipoti, le lettere che aggiungono dettagli e particolari alla scacchiera storica ricostruita da Suvorov,un contributo enorme e prezioso alla storia del nostro secolo”.

(http://www.storiaverita.org/2012/10/08/le-verita%E2%80%99-scomode-di-viktor-suvorov).

Francesco Lamendola, nato ad Udine nel 1956, autore di saggi storici e filosofici, in Hitler manovale di Stalin (“Nuova Italia”, 4.IX.2015), tornava più tardi sulla tesi di RezunSuvorov. Il dittatore decise di puntare su Hitler – sbarazzandosene nel progetto alla fine – favorendo il riarmo tedesco e stipulando il patto di non aggressione del’39 che di fatto diede avvio alla seconda guerra mondiale. Egli vedeva lucidamente, da buon erede degli Zar, che mai come allora, dai tempi della campagna contro Napoleone del 1814, la Russia aveva le carte buone per spingersi fino all’Atlantico e porre l’intero continente sotto il suo protettorato. Nel 1939, più ancora che nel 1914, era questa la posta in gioco. E nessuna potenza come l’Unione Sovietica vi si stava preparando, silenziosamente, ma  metodicamente, inflessibilmente: 

“Sono ormai note, ed estremamentecontroverse, le tesi del russo Viktor Suvorov circa le origini e gli sviluppi della seconda guerra mondiale, che si possono riassumere in una formula tanto semplice quanto brutale: Hitler non fu affatto un leader della statura di Stalin, ma semplicemente il suo utile e inconsapevole ‘manovale’. L’obiettivo di Stalin, secondo Suvorov, era quello di conquistare l’Europa. Hitler, nei piani di Stalin, doveva avanzare verso Ovestportando l’affondo contro le democrazie; dopo di che l’Armata Rosa lo avrebbe colpito alle spalle e si sarebbe spinta fino alle rive dell’Atlantico, trovando la Germania indifesa e la Francia, forse anche l’Inghilterra, già messe fuori combattimento dai Tedeschi. Avrebbe preso tutti lui, con il minimo di rischio e di fatica: l’Europa sarebbe stata sua e del comunismo. Ora, se già le tesi ‘revisioniste’ di Nolteavevano mandato fuori dai gangheri la maggior parte degli storici benpensanti e politicamente corretti, perché sembravano sminuire, in qualche modo, l’unicità del Male Assoluto nazista e, peggio ancora, mettere sullo stesso piano nazismo e comunismo, facendo del secondo una semplice ‘risposta’ al terrore suscitato dal primo, quelle di Suvorov hanno suscitato, se possibile,reazioniancorpiù negative,perché,facendodiHitlerunsemplicemanovalediStalin,fannodelbolscevismo il vero, Grande Male del XX secolo: un Male che non solo precede, cronologicamente eideologicamente (come voleva Nolte) quello nazista, ma subordina il secondo al ruolo di marionetta”.

Il fatto è che molti storici contemporanei, soprattutto quelli occidentali, hanno una lunga, ma inconfessabile coda di paglia, proseguiva Lamendola:

Vengono, ideologicamente, dalla sinistra marxista, dunque non possono in alcun modo accettare l’equivalenza fra nazismo e comunismo; anche dopo la caduta del Muro di Berlino, pur se non osano più dirlo apertamente, in cuor loro sono rimasti ancorati, nostalgicamente e sentimentalmente, alla loro visione del mondo, salvo qualche adattamento di facciata; Stalin è diventato, sì, il ‘cattivo’, ma il comunismo, in se stesso, era buono, e anche l’Unione Sovietica, dopo tutto, ha svolto un compito utilissimo, anzi, indispensabile per la costruzione della moderna democrazia: ha dato un contributo fondamentale alla sconfitta del nazismo. E questo permette loro di lavare tutti i panni sporchi in casa. C’è solo un piccolo particolare che non quadra: Suvorov non è un fascista, ma un ex alto ufficiale dell’Armata Rosa e un ex alto dirigente dei Servizi segreti sovietici; uno, insomma, che ha conosciuto molto bene, e dall’interno, i meccanismi politici e militari dell’Unione Sovietica; uno che ha le competenze per affermare che, nell’estate del 1941, quando scattò l’Operazione Barbarossa, ossia l’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito tedesco, lo schieramento sovietico non era affatto difensivo, come sostiene la vulgata storiografica oggi dominante, a Est come a Ovest, ma offensivo; e che proprio per questo Stalin fu preso in contropiede e ci mancò poco che i suoi machiavellici piani andassero all’aria. Non possiamo dire quanta parte di verità vi sia in questa ricostruzione della genesi della seconda guerra mondiale; molta, crediamo, in ogni caso” (http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/storia-e-identita/storia-moderna/3224-hitler-il-manovale-di-stalin).

Nel 1939 gli attori del grande gioco erano tre, non due: il bolscevismo sovietico, il nazismo tedesco (con l’appendice del fascismo italiano e del militarismo giapponese) e le democrazie occidentali, compresa la più potente di tutte, che però fu abbastanza astuta da non intervenire subito direttamente: gli Stati Uniti d’America, la cui opinione pubblica era neutralista in maggioranza. Stalin non pensava alla pace nell’estate del 1939, né a collaborare con le democrazie occidentali contro la Germania nazista; non gli importava nulla del destino della Polonia, al contrario voleva vendicarsi della sconfitta nella guerra sovietico-polacca del 1919-21 (Katyn lo dimostrerà) e riannettersi territori. Stalin è russofilo e slavofilo come lo zar Alessandro II (ed oggi Putin). Con una sete inesauribile di territori, da possedere o da dirigere come protettorati. Ma in più ha a suo favore l’arma del bolscevismo, i partiti comunisti locali, l’internazionalismo proletario ecc. Nel ’39 Stalin aveva appena terminato una sanguinosa  ‘purga’ contro molti ufficiali ed il vertice dell’Armata Rossa era stato decapitato. Ha ora bisogno di tempo per mettere in campo un esercito poderoso (con fabbriche oltre gli Urali, praticamente a salvo dall’aviazione nemica), non vuole un conflitto contro la Germania, né togliere le castagne dal fuoco a Francia ed Inghilterra, ma vuole soprattutto riprendersi i territori persi a Brest-Litovsk nel 1918 e dopo la guerra coi polacchi.  Stalin era privo di scrupoli e sanguinario come Ivan il Terribile, ma anche intelligente, scaltro, opportunista, non fanatico. La guerra contro la Finlandia gli dice che ha un maledetto bisogno di tempo e più di comandanti che di armi. Ne prende atto, realisticamente. 

Prima del Patto Molotov-Ribbentrop l’URSS trattò con Francia e Regno Unito per una possibile alleanza contro la Germania, è vero, ma i negoziati fallirono presto sia per la ritrosia di Stalin a concretizzarla, sia del pregiudizio antibolscevico, sia della Polonia che non voleva concedere il diritto di passaggio sul suo territorio all’Armata Rossa. La Polonia non poteva accettare di far transitare le truppe sovietiche, anche perchè i polacchi – spesso imprudenti, eccessivi – capivano bene che l’Armata Rossa li avrebbe intanto occupati per poi, forse, mettersi d’accordo con la Germania! Nel 1939 Mosca non era in grado di far  guerra a Berlino. E perchè poi? Per far vincere l’anticomunista Inghilterra che si era servita di Germania ed Italia per schiacciare i ‘rossi’ in Spagna? Per consentire ai francesi, ancora memori dei massacri della WWI, di starsene tranquilli dietro la Maginot? Ed infatti si vedrà presto, con l’interrogativo popolare “Mourir pour Dantzig?”, la “Drôle de Guerre” a cavallo tra ’39 e ’40,  la catastrofica sconfitta nella primavera del 1940, che il popolo francese non aveva voglia di un altro bagno di sangue.

Come accennato, Stalin trae il massimo vantaggio dall’accordo Molotov-Ribbentrop. Ma i suoi enormi investimenti bellici fan capire ai tedeschi che hanno una chiara finalità offensiva contro di loro. Cercano allora di prenderli sul tempo con l’ ‘Operazione Barbarossa’, cioè una guerra preventiva (pur se sbagliata, dato il precedente napoleonico, ed infine rovinosa). Dopo il conflitto ci fu il ‘Blocco di Berlino’ del ’48 e l’inizio Guerra Fredda, ma essi sono opera del Presidente Harry Truman, di una diversa visione della politica americana rispetto a quella di Roosevelt, deceduto il 12 aprile 1945. Truman da Vicepresidente ‘ruppe’ con il circolo áulico di Roosevelt (in gran maggioranza ebrei) proprio perchè lui, ‘camiciaio del Missouri’, massone, aveva un fiuto geopolitico superiore a quello del radical-chic di New York, Roosevelt; che pensava alla ‘ruralizzazione’ della Germania vinta ed aveva sposato il ‘Piano Morgenthau’. Per Truman era meglio che Hitler e Stalin si logorassero reciprocamente, invece di affrettare le operazioni militari contro il Reich, che avrebbero consegnato almeno mezza Europa a Stalin, come poi effettivamente fu. E buon per noi che,  dopo la guerra, il comunismo non vinse in Grecia ed Italia (grazie all’azione della regina Federica ed a Pio XII, semplificando, non ci fu la ‘quarta defenestrazione di Praga’…), altro che rispetto degli accordi di Yalta! Roosevelt da buon liberal stravedeva per Stalin, come i borghesi di casa nostra per ‘Lotta Continua’ e ‘Potere Operaio’, un tempo. Dopo la Guerra di Corea (e la diacronica propaggine indocinese), invece di rollback militari, gli Stati Uniti inizieranno un programma di lungo termine, di guerra psicologica per delegittimare comunisti e regimi filo-comunisti, appellando ai popoli oppressi, ai dissidenti, ai successi dell’economia di mercato, alla libertà di pensiero e di movimento.

Hitler “manovale di Stalin” è ovviamente una frase ad effetto, da non prendere alla lettera. Ma Suvorov-Rezun ha complessivamente ragione: Stalin cercò in tutti i modi di ritardare le ostilità con Hitler, per logorarlo, riorganizzare le proprie Forze Armate,  disporre  della sua superiorità in armi e materie prime. Egli sperava che gli Stati Uniti si accontentassero di avere la meglio sull’Impero del Mikado e dominare il Pacifico. Più ingordo, Franklin D. Roosevelt pensava, invece, che mai più la sua Nazione avrebbe  avuto l’occasione di stabilire la propria egemonia contemporaneamente sia nel Pacifico, sia nell’Atlantico, portando la guerra a casa altrui senza subirla nella propria. Washington non accettava i progetti di ‘Nuovo Ordine’ europeo e di ‘Sfera di coprosperità della grande Asia orientale’ in quanto cozzavano con gli interessi commerciali degli USA che, infatti, a guerra finita, si preoccuparono di organizzare il mondo sulla base del liberismo e del dollaro. 

Ma il  successo innegabile di Roosevelt fu pure un errore geopolitico: schierandosi contro Germania e Giappone, in una lotta all’ultimo sangue, criminalizzando i nemici, Washington non fece che favorire il destino futuro, a medio termine, di Mosca e Pechino, cioè delle due uniche Potenze imperiali che si apprestano  a succederle prossimamente nel dominio planetario, mentre Giappone e Germania avevano dei ‘limiti strutturali-Paese’ invalicabili, già ben visibili all’epoca. 

                                                                       

                                                                     NOTE

* Vladimir Bogdanovič Rezun (Suvorov) nacque nel 1947 in una famiglia di militari di carriera: all’età di 11 anni entrò nel collegio militare, per passare poi alle scuole militari superiori. Secondo il sito inglese di Wikipedia, “From 1965 to 1968, Suvorov finished the Frunze Kiev Red Banner Higher Military Command School a Mosca. In 1968, he served in the 145th Motorized Rifles Regiment of the Carpathian Military District in Ukraine, participating in the Warsaw Pact invasion of Czechoslovakia. In 1970 and 1971, he served in the Volga Military District Headquarters, and later with the 808th Independent Army Reconnaissance Company (Spetsnaz). After attending the Military Diplomatic Academy from 1971 to 1974, Suvorov joined the Soviet mission to the United Nations Office at Geneva”, con copertura diplomatica, ove lavorò per il GRU, nominato Capitano (o Maggiore). Nel 1978 fugge, assieme alla moglie ed ai due bambini. Ripara in Gran Bretagna come rifugiato politico. L’URSS lo condanna alla pena capitale (in contumacia) per diserzione ed alto tradimento. Qualche anno dopo il tribunale sovietico condanna a morte, con la stessa accusa e sempre in contumacia, anche ‘Viktor Suvorov’ – l’ancora misterioso autore dei libri ‘di carattere diffamatorio’. Attualmente Rezun vive nel Regno Unito, ufficialmente a Bristol, dove insegna in un’accademia militare, sotto protezione. Né Mikhail S. Gorbacev, né Boris N. Eltsin, né Vladimir Putin hanno mai firmato revoche o grazie. Si è occupato in qualità di analista ed insegnante dell’intelligence locale. È conosciuto per i suoi controversi libri sulla storia sovietica, l’Armata Rossa, il GRU e lo Spetsnaz, i corpi speciali sovietici e russi. Rezun-Suvorov ha all’attivo diversi libri di denuncia del totalitarismo comunista o di argomenti militari, di cui è grande esperto, e romanzi ambientati soprattutto nell’ Unione Sovietica di Stalin. La sua sicurezza è diventata più rischiosa da quando Vladimir Putin, nel luglio 1998, fu designato direttore del Servizio Federale di Sicurezza (FSB), successore del KGB, prima di diventare Capo del Governo della Federazione Russa nell’agosto 1999. Nello Scavo ha scritto il 10.3.2018 su L’Avvenire, ‘Londra. L’agenzia segreta russa che non perdona le spie che tradiscono. Lo 007 russo vittima dei Servizi non riconosciuti’, a proposito del tentativo di avvelenamento di Sergej Viktorovič Skripal un ex agente segreto sovietico naturalizzato britannico dell’intelligence militare, e di sua figlia. “L’ultimo avvelenamento ha richiamato alla memoria l’eliminazione nel 2006 dell’ex agente dei servizi segreti russi Aleksandr Litvinenko. Secondo la procura britannica ad ucciderlo fu l’agente dell’Fsb Andreij Lugovoj, che lo incontrò per un drink al Millennium Hotel prima del suo incontro con l’italiano Mario Scaramella, che all’epoca era consulente della commissione parlamentare Mitrokhin. Il Gru è l’intelligence centrale militare russa da cui dipendono le intelligence militari ‘Ru’. Una struttura di altissima specializzazione e di élite, ufficialmente disconosciuta. Una delle maggiori fonti sull’esistenza della super agenzia segreta è Viktor Rezun-Suvorov, che ha defezionato nel 1978 – racconta Scaramella – a favore del Regno Unito. Suvorov è uno dei pochissimi ufficiali Gru che abbia collaborato con i Servizi occidentali, oltre ad Alekseij Lunev, che si consegnò agli Usa e che ed è sotto protezione in un programma congiunto Cia/Fbi. Nel 2006 Suvorov ha dichiarato a Scaramella ed all’allora presidente della Mitrokhin, Paolo Guzzanti, che lo Stato russo può anche perdonare, ma il Gru mai. Il colonnello Skipral tra il 1995 e il 2006 consegnò al Servizio segreto di Sua Maestà i nomi degli operativi in Europa, inclusa l’Italia, precisa Scaramella. Se Litvinienko è uno dei pochi del Kgb ad essere stato eliminato, i traditori del Gru invece devono essere tutti eliminati, lo dice lo statuto della organizzazione. Come ogni gioco di spie che si rispetti, nessuna pagina è mai veramente chiusa”. I timori di Suvorov non sarebbero infondati, proprio in ragione della personalità di Putin, della sua politica di restaurazione, del suo passato e di quanto successo a Skripal, un ex agente segreto sovietico, colonnello, collaboratore del GRU. Nel 2006 è stato condannato dalla Russia per alto tradimento a seguito di attività di spionaggio a favore dei Servizi segreti britannici ed è stato privato del grado militare. Dal 2010, dopo aver ottenuto l’indulto ed essere stato incluso nello scambio di spie tra Russia e USA, vive nel Regno Unito da cittadino britannico. Il 4 marzo del 2018 Sergej Skripal e la figlia Julija sono stati vittime di avvelenamento doloso da gas nervino, con una sostanza che solo pochi laboratori al mondo sono in grado di produrre, secondo l’M19, fra questi quello di Iassenovo, vicino Mosca, dove ha sede l’Acquario, il camino in vetro ceramico all’interno del quale in presenza delle reclute vengono cremati i traditori e i defezionisti del Gru, il Servizio segreto militare, la cui esistenza non è mai stata riconosciuta dal Cremlino. Le autorità russe hanno, naturalmente, respinto sdegnate tutte le accuse. (Cfr. https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/gru-la-super-agenzia-segreta-che-non-perdona). 

**Vincenzo (Enzo) Bettiza nacque in Dalmazia, a Spalato, nel 1927 e morirà novantenne a Roma nel 2017. ‘La mia famiglia faceva parte della aristocrazia mercantile già dai tempi di Venezia’ racconterà. Il padre apparteneva all’allora nutrita minoranza italiana; con la guerra e l’occupazione jugoslava, perse tutto. Giunto in Italia su di un peschereccio pugliese di fortuna, il giovane Bettiza fuggì da un campo profughi in Puglia, sorvegliato dagli inglesi. Da Roma salì a Milano, dove aderì al PCI. Se ne distaccò in poco tempo per aderire a posizioni liberali ed anticomuniste. Poliglotta, di cultura e modi raffinati, di sconfinata passione per la lettura, nel 1953 è assunto dal settimanale Epoca e nel 1957 passa a La Stampa, corrispondente da Vienna e poi da Mosca, ove resterà fino al 1964. Bettiza si trasferì quindi al Corriere della Sera, ove rimase per un decennio, fino alla svolta a sinistra di  Ottone. Nel 1974  uscì con  Montanelli da via Solferino. Secondo Bettiza, la ‘zarina’ Giulia Maria Crespi, proprietaria, ed il direttore Piero Ottone volevano fare del Corriere un quotidiano di sinistra tipo Manifesto, con un comitato di redazione ‘giacobinizzato’. Bettiza fondò con  Montanelli il Giornale nuovo, di cui fu condirettore  dal 1974 al 1983. Il sodalizio si sciolse a causa di contrasti sulla linea politica: Bettiza era sostenitore del ‘patto lib-lab’, l’accordo tra i liberali di Zanone ed i socialisti di Craxi. Montanelli, dal canto suo, non credeva ad un socialismo liberale. Fu eletto senatore dal 1976 al 1979 per i liberali. Dal 1979 al 1989 li rappresentò al Parlamento Europeo, per poi essere rieletto nell’ 89 nelle liste del PSI. Nel frattempo, nel 1987, egli aveva iniziato a collaborare a La Stampa, fino alla morte. Dagli anni ’90 si dedicò alla scrittura, con vari testi dedicati alle vicende dell’Europa orientale ed alla fine del blocco sovietico. Nel 1997, in seguito alle dimissioni di Vittorio FeltriSilvio Berlusconi gli offrì la direzione del Giornale, che rifiutò. Bettiza fu tra i pochi intellettuali ad offrire sostegno alla Lega Nord, che nel 2010 rivelò di votare, scorgendo in essa una sorta di continuazione, ideale e conservatrice, della buona amministrazione asburgica del Lombardo-Veneto. (Estratto da: https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Bettiza).

@barbadilloit

Gianni Marocco*

Gianni Marocco* su Barbadillo.it

Exit mobile version