Se la Germania, con la Corte costituzionale, difende la propria sovranità dall’Ue

A Karlsruhe in ballo (anche) l'affermazione del diritto dei popoli

Ue e Germania, scontro trasovranità

Non solo Karlsruhe

Ha fatto discutere la recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca in materia di interventi della Banca Centrale Europea sul mercato dei titoli di stato. I giudici di Karlsruhe hanno rivendicato ancora una volta la prerogativa di vagliare la conformità ai Trattati (e alla Legge Fondamentale tedesca) delle norme comunitarie e dell’operato degli organi dell’Unione. La pronuncia non deve stupire; considerata la natura dell’Unione, alla quale gli Stati membri hanno ceduto porzioni di sovranità con riferimento ad alcune materie specifiche, non ci troviamo in presenza di un compiuto stato federale – rimanendo tutt’ora le istituzioni nazionali come ultimi bastioni a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.

Infatti, anche il nostro Giudice delle Leggi ha avuto modo di ricordare, in più occasioni, che il diritto dell’Unione Europea, e le sentenze della Corte di Giustizia che ne specificano il significato ai fini di un’uniforme applicazione, non possono interpretarsi nel senso di imporre allo Stato membro la rinuncia ai princìpi supremi del suo ordine costituzionale. Così ha scritto la Consulta nell’ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017: “Il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte […]; questa stessa giurisprudenza ha altresì costantemente affermato che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia”. E se alla Corte di Giustizia è attribuito il compito di definire il campo di applicazione del diritto dell’Unione, non può ovviamente essere gravata dall’onere di valutare nel dettaglio se esso sia compatibile con l’identità costituzionale di ciascun Stato membro: “È perciò ragionevole attendersi che, nei casi in cui tale valutazione sia di non immediata evidenza, il giudice Europeo provveda a stabilire il significato della normativa dell’Unione, rimettendo alle autorità nazionali la verifica ultima circa l’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento nazionale”.

Nella sentenza n. 284 del 13 luglio 2007 la Corte, del resto, aveva già affermato che “nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, […] le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi in ordine all’esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona”.

Il processo di integrazione europea

Quanto finora esposto obbliga dunque il governo e il parlamento nazionale a sorvegliare il processo di integrazione europea, e in particolare l’adesione al sistema della moneta unica, affinché non risultino compromesse le supreme garanzie costituzionali, faticosamente raggiunte e codificate, quali ad esempio: il diritto del lavoratore “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36); il diritto di ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere “al mantenimento e all’assistenza sociale” (art. 38); alla possibilità che lo Stato, a fini di utilità generale, possa riservare a sé, con legge, l’esercizio di “determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale” (art. 43). Per non dire di come sia difficoltosa la preservazione del principio per cui “La sovranità appartiene al popolo” (art. 1) se questo è privato del controllo democratico su un’attività fondamentale come quella della politica monetaria.

Del resto, se l’Unione Europea non è una federazione di stati, né è probabile che lo diventerà nel prossimo futuro, è illogico misurarne le procedure secondo gli standard democratici in base ai quali vengono giudicati gli stati membri. Essa rimane, pur nelle sue caratteristiche peculiari, un’organizzazione internazionale che offre taluni vantaggi agli affiliati, con un parlamento eletto a suffragio universale che interviene in vario modo nei processi decisionali. Se negli ultimi anni si è avuta l’impressione che l’azione dell’Unione sulla politica interna degli Stati membri abbia minimizzato la rilevanza della sovranità popolare, spetta ancora alle istituzioni nazionali il diritto di reclamare la propria centralità democratica.

Gabriele Sabetta

Gabriele Sabetta su Barbadillo.it

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