Ma il tema della sovranità degli Stati è più centrale che mai

L'analisi di Giuseppe Del Ninno: "Il sovranismo non è morto e la crisi da Coronavirus lo ha riportato in cima all'agenda"

Ho letto con interesse, come sempre, l’articolo dell’amico Malgieri sulla morte del sovranismo, ma non sono del tutto d’accordo con i suoi assunti – e con altri analoghi contributi apparsi su Barbadillo – e cercherò di spiegare il più brevemente possibile il perché. Intanto, credo sia il caso di risolvere in via preliminare una questione lessicale: il sovranismo è la declinazione ideologica di una categoria fondamentale della politica, e cioè la sovranità, un po’ come il populismo lo è del popolo; in quanto tale, andrebbe inteso, a mio parere, come tendenza, come criterio interpretativo di tutti gli accadimenti politici; insomma, è una specie di perimetro, al cui interno si succedono azioni e reazioni e s’immette questo o quel contenuto ideologico. Di sovranismo si è tornati a parlare – non soltanto in Italia – da quando si è fatta opprimente la pressione dell’Unione Europea, che con i suoi organi ha emanato una normativa vincolistica (soprattutto in materia economica, ma non solo); una situazione che deriva dalla sottoscrizione di trattati, mediante i quali ogni Stato, come l’Italia, ha devoluto quote della propria sovranità a questa istituzione sovranazionale.

 

L’Europa che barcolla

Ma l’Ue è ancora lì

E’ appena il caso di ricordare che, fra le prerogative di uno Stato, in primo piano c’è quella di battere moneta e che da più parti sono cresciute le critiche all’Unione, nata sulla base di comuni interessi economici, prima, e poi costruita a partire dall’unificazione monetaria, ma finora incapace di avviare un percorso di unificazione politica e di armonizzare, se non di omogeneizzare, funzioni cruciali della sovranità, quali la difesa, la sicurezza, la fiscalità, la giustizia e i protocolli sanitari. Insomma, l’Unione è rimasta sostanzialmente un’entità finanziaria, con una Banca Centrale priva del compito di prestatore di ultima istanza, e burocratica, con una pletora di funzionari, votati alla produzione di una miriade di norme in grado d’ingessare la vita quotidiana degli europei e in particolare dei produttori.

 

Questa sorta di preambolo era necessario, perché anche la sovranità si concretizza nella individuazione costante dell’Amico e del Nemico e non è un caso che proprio l’Unione Europea venga oggi percepita da un numero crescente di italiani come “Nemico”. Quindi, affermare che la declinazione politica della sovranità, cioè il sovranismo, è al tramonto, mi pare destituito di fondamento più che mai in questa fase storica. Si tenga presente che, anche prima della crisi da Covid, si erano profilate all’orizzonte misure – e relative contromisure – protezioniste (si pensi alla guerra commerciale USA-Cina), ma anche provvedimenti limitativi dell’abbattimento di confini (pensiamo alle sanzioni anti-russe e alla sostanziale sospensione di Schengen); un aspetto, quello del superamento dei confini, costitutivo dell’Unione Europea, ma riscontrabile anche in altre aree geopolitiche e, in genere, in un diffuso mainstream mediatico. Per inciso, che la sovranità si estenda anche al territorio – altra componente fondativa della stessa – è dimostrato dalle tante e differenti controversie, più o meno latenti, sull’intero pianeta, dalla questione israelo-palestinese ai contrasti russo-giapponesi per le isole Kurili, al conflitto, per ora sopito, tra India e Pakistan per il Kashmir, e via elencando.

Ora, proprio la crisi generalizzata conseguente alla pandemia, lungi dal decretare la fine del sovranismo, ne determina a mio avviso la reviviscenza, come del resto confermano i recenti atteggiamenti all’interno della stessa Unione Europea, Germania in testa; e non mi riferisco a partiti e partitini confinati all’opposizione, ma a compagini di governo (il caso della pronuncia della Corte tedesca a proposito dei provvedimenti della BCE è solo il più clamoroso, ma potremmo citare le misure “protezioniste” dell’Ungheria o l’atteggiamento dell’Olanda, ostile nei confronti dell’Italia e della sua propensione al debito). Quindi, siamo tornati alle frontiere chiuse – già prima del Covid, ce lo aveva dimostrato la Francia, con gli immigrati di Ventimiglia – anche per le merci: la questione delle mascherine e dei divieti incrociati di esportazione ne è l’ennesima riprova. Gli stessi provvedimenti di vari governi, per arginare il fenomeno della delocalizzazione, spingono addirittura verso un revival dell’autarchia: perfino in Italia, da più parti s’invocano i consumi e le vacanze assolutamente nostrani.

 

Dividersi è un errore

E veniamo appunto alla nostra situazione politica. Le critiche alla condotta della Lega e del suo leader sono talmente scontate che non varrebbe la pena insistervi: incapacità di tessere relazioni all’interno della compagine europea, sia quando era al governo che dai banchi dell’opposizione; limiti strategici – a fronte di qualche successo tattico – in materia d’immigrazione; mancanza di coraggio nel portare avanti i programmi sbandierati in campagna elettorale; incapacità di elaborare una cultura – prima ancora che dei programmi – atta a sostenere una strategia di lungo periodo, e potremmo continuare; ma va ricordato almeno un ultimo punto, ed è quello dei limiti mostrati da Salvini e dalla sua classe dirigente nel mettere a frutto i consensi riscossi nelle varie elezioni regionali e nei sondaggi di qualche tempo fa, specialmente nei rapporti con gli alleati del centrodestra.

Malgieri mette bene in evidenza come le tre forze – Lega, FDI e Forza Italia – siano divise nel Parlamento Europeo, e non solo per la rispettiva appartenenza a tre diversi gruppi, ma spesso anche su argomenti non secondari. C’era una vecchia massima del marx-leninismo che recitava “marciare divisi per colpire uniti”, ma una tale linea presuppone l’esistenza di un progetto comune, e questo non appare (specie rispetto a Forza Italia).

Detto questo, però, sarebbe a parer mio un grave errore non solo continuare a dividersi, ma anche rinunciare alla difesa della sovranità – e di quella realtà connessa che si chiama identità – più che mai messa repentaglio anche da forze nazionali come il PD e parte della Chiesa: dev’essere chiaro che se non si riuscirà a cambiare l’Unione Europea, con la sua cultura appiattita sul liberismo fattore di pericolose e inique disuguaglianze, sulla maniacale attenzione ai bilanci, sulla propensione all’austerità, sulla conservazione degli attuali assetti egemonici, sull’egoismo e la miopia in materia d’immigrazione, sull’esasperato laicismo, parlare di decisioni dei governi nazionali sarà una pura illusione.

 

Andare oltre

Il sovranismo, con la sua istanza primaria di difesa degli interessi nazionali – ripetiamo, non soltanto economici – non solo non può essere messo in discussione, ma rimette in discussione gli assetti della politica interna e spinge a guardare aldilà dei perimetri disegnati dalla politica “tolemaica”, imperniata sulle contrapposizioni destra/sinistra. In uno degli scritti apparsi ultimamente su Barbadillo si ricordava la decisione di Alain de Benoist di votare, alle presidenziali francesi,  per l’esponente della sinistra anticapitalista: una decisione forse sbagliata nel caso di specie, ma un’indicazione da non sottovalutare per l’immediato futuro post-Covid (si guardi all’atteggiamento anti-MES dei Cinquestelle, forse pentiti di alcune loro avventate opzioni europee, ma anche alle aperture palesate da alcune componenti dell’attuale maggioranza in tema di partecipazione dei lavoratori alle imprese). Il tutto, senza dimenticare che, per forza di cose, sul palcoscenico della politica possono recitare soltanto gli attori che su quelle tavole sono stati capaci di salire, e sono loro, e non un immaginario “deus  ex machina”, a recitare i copioni che ci piacciono e ci dispacciono.

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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