Ferrari: avanti un altro

Addio a Vettel, una scommessa persa. A Maranello arriverà Carlos Sainz jr

“La Scuderia Ferrari Mission Winnow e Sebastian Vettel comunicano la decisione di non prolungare il rapporto di collaborazione tecnico-sportiva oltre la sua naturale scadenza, prevista al termine della stagione sportiva 2020″.

È bastato lo scarno linguaggio di un classico comunicato, in data 12 maggio, per porre fine ad una lunga serie di illazioni e di indiscrezioni. Il mondo delle corse torna così ad infiammarsi: come insegna il colorato mondo calcistico, quando il pallone non rotola, o per meglio dire quando i motori sono spenti (la F1, che il 13 maggio ha spento le sue settanta candeline, sta ancora cercando di definire un calendario, dopo il caos Covid19), non vi è nulla di meglio del mercato per surriscaldare gli animi e per vendere qualche copia in più.

Le voci si rincorrevano già da un po’ ma Carlos Sainz jr. (il figlio del leggendario pilota rally e Dakar) sarà il nuovo pilota della Ferrari per le stagioni 2021-2022, andando ad affiancare Charles Leclerc; l’annuncio, nella mattinata del 14 maggio (anticipato dall’ufficialità del contratto pluriennale che legherà dal 2021 Daniel Ricciardo, altro pezzo pregiatissimo del mercato, alla McLaren al posto dello stesso Sainz): “La Scuderia Ferrari Mission Winnow è lieta di annunciare di aver raggiunto un accordo di collaborazione tecnico-sportiva con Carlos Sainz per le stagioni 2021 e 2022 del Campionato Mondiale di Formula 1”.

Il neoacquisto del Cavallino, che si è detto “molto felice di avere l’opportunità di correre per la Scuderia Ferrari dal 2021”, rinverdirà così la tradizione ispanica in quel di Maranello, dopo Alfonso Antonio Vicente Cabeza de Vaca y Leighton, marchese di Portago e Fernando Alonso. Sainz, classe 1994, in Formula 1 dal 2015 con all’attivo 102 gran premi e un podio (il terzo posto dello scorso Gran Premio del Brasile, primo podio per la McLaren dall’Australia 2014) è un pilota ancora da scoprire e che sicuramente avrà modo di mettere in mostra le sue grandi doti di regolarità da passista mostrate in questi anni; insomma, non un “animale della velocità” come Hamilton, Daniel Ricciardo o Verstappen ma un solido pilastro su cui costruire la scuderia del futuro e che agirà da seconda punta, alle spalle del capitano designato, quel Charles Leclerc, che così a neanche ventiquattro anni si ritroverà ad essere il punto luce della Ferrari; il tutto, ovviamente, condito da una serie di progressivi interrogativi cui solo il tempo darà una risposta. Dalla sua, il numero 55 ha anche uno stipendio relativamente basso, almeno rispetto a Ricciardo (mai seriamente in lizza per quel posto vacante e che a quasi trentadue anni non ha più così tanto tempo per tornare alla guida di una vettura competitiva, non volendo peraltro fare il secondo a nessuno), un altro motivo fondamentale nella scelta.

Su Vettel invece, non c’è molto d’aggiungere, in attesa di scoprire quale sarà il suo futuro (e pur avendo già fatto sapere di non esser disposto a restare in F1 a qualunque condizione) o che vengano casomai svelati i dettagli della rottura (presumibilmente il tedesco si sarà risentito di un ingaggio offertogli non consono al suo palmares ma anche delle incertezze sul progetto). Il tedesco, accolto nel 2015 con giubilo come l’erede di Schumacher o almeno per consacrarsi come tale (un paragone questo che lo ha condannato e da cui si spera possa essersi definitivamente liberato) e forte dei quattro titoli vinti in Red Bull, al primo anno non ha deluso le aspettative, con tre vittorie e tanti podi, nonostante una vettura che non era la prima della classe: commoventi, in quell’anno, la prima vittoria in Malesia, dopo un digiuno ferrarista di due anni e la pole a Singapore (sugellata dal successo della domenica), la prima dopo più di tre anni. Con il tempo però, i giudizi si sono fatti meno benevoli, complice qualche errore di troppo, soprattutto dopo le ottime prime parti di stagione al vertice, nel biennio 2017-2018; errori questi, che uniti alla supremazia Mercedes sorta alla distanza, sarebbero stati decisivi nella sconfitta finale, sebbene, a dire il vero, quei campionati siano stati complessivamente molto meno alla portata di quanto si potesse credere.

Pesa soprattutto l’incapacità di gestire il binomio mezzo meccanico-pilota sotto pressione e in molti dei momenti decisivi, assolutamente insofferente a qualsiasi duello ad armi pari con il compagno di squadra (vedasi il Brasile 2019 ma anche la partenza di Singapore 2017, per molti il vero inizio della fine) e completamente in balia di una serie di situazioni sempre più stressanti, anche per quella voglia di strafare che spesso ha portato a gravi definizioni (ad esempio, a Monza o Austin 2018): il ragionevole inizio della fine comunque, con i rapporti che cominciano ad inclinarsi, è quell’errore al cinquantaduesimo giro del Gran Premio di Germania del 2018  quando Vettel, in testa, complice la pista umida e dell’olio sulla carreggiata, era andato a sbattere alla Curva Sachs, insabbiandosi e buttando via una corsa che sembrava alla portata.

Certo che anche l’ultima stagione non ha aiutato, affiancato dall’astro nascente monegasco, così come deficitario era quel clima ormai esacerbato dalla stampa italica che in un ennesimo voltafaccia era ormai impegnata nell’esaltazione della nuova stella Leclerc, sul quale altare tutto si poteva sacrificare, anche un quattro volte campione del mondo che così finiva nel tritacarne mediatico (come Alonso a suo tempo, dopo anni di cieco e incondizionato appoggio), passando da campione a incapace-arrogante nello spazio di poche settimane.

Del tedesco (molto poco tedesco a dire il vero, soprattutto negli ultimi due anni) rimarranno comunque la grande e genuina passione “del bambino” verso le insegne del Cavallino, le mille comunicazioni alla radio (quel particolarissimo uso dell’avverbio inglese honestly, urlato nei momenti di tensione o quel “krazie rakazzi” in italiano un po’ tedesco, per ringraziare la scuderia) ma soprattutto i tanti istanti sportivi, a suggellare le gesta di un grande pilota: la già citata vittoria malese, quell’utopia collettiva dal sapore mondiale vissuta tra il primo 2017 e la prima metà del 2018, con quelle vittorie conquistate autorevolmente; su tutti però sono almeno tre gli episodi che si ergono, ottenendo uno status particolarmente privilegiato: la bellissima e fortunata rimonta di Hockenheim 2019, fino al secondo posto finale, con le tribune in visibilio e le urla roboanti dei tifosi a sottolineare ogni suo sorpasso, così forti da sovrastare il rombo dei v6 Turbo-ibridi, tanto da esser ben udibili dalle casse delle televisioni nei nostri salotti; l’ultima vittoria di Singapore 2019 che suggellava una bellissima doppietta con Leclerc ma soprattutto, fuori concorso, la pole position di Singapore 2017 (il giorno prima del “fattaccio”), ottenuta grazie ad un ultimo giro al cardiopalma e nonostante un contatto con la posteriore sinistra, e poi festeggiata come una vittoria con quel pugno fatto sventolare fuori dall’abitacolo, quasi fosse un tifoso qualunque davanti al monitor.

Insomma, gli spunti di riflessione non mancano, anche perché c’è ancora, presumibilmente, un 2020 da correre in attesa dello scoppiettante 2021: se le gerarchie in casa Ferrari appaiono così segnate in partenza (al di là delle classiche dichiarazioni di facciata a mezzo stampa), meno lo saranno le strategie e le tattiche in pista, caratterizzate a questo punto da un numero ancora maggiore di variabili, prima delle quali la nuova alchimia dell’esordiente coppia ferrarista, la più giovane negli ultimi cinquant’anni di storia della scuderia, come ha tenuto a sottolineare a più riprese il team principal Mattia Binotto, tra i principali artefici della trattativa. Di più, al memento, non è possibile dire e perciò bisognerà soltanto aspettare.

“Quando un amore finisce, uno dei due soffre. Se non soffre nessuno, non è mai iniziato. Se soffrono entrambi, non è mai finito”.

Marilyn Monroe

 

 

Lorenzo Proietti

Lorenzo Proietti su Barbadillo.it

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