La lettera. La fine della quarantena, gli “Scapigliati” e la mancanza di visione

Oltre l'ideologia del mercato e della produzione poche o zero idee per ripartire

Un ritratto di uno scapigliato

La quarantena mi ha lasciato un po’ smunto, la pelle sbiancata. Lascio allo specchio il giudizio sul modo in cui ho passato questi due mesi di reclusione e mi sembra che la mia immagine sia molto simile a quella dei giovani Scapigliati: una compagnia disorganizzata di artisti, letterati, filosofi e pensatori del 1800, che, con le acconciature disordinate da cui prendevano il nome, rappresentavano il proprio senso di insofferenza e ribellione per i principi e i costumi in cui era scaduta la società borghese.

Oggi l’Italia, privata per oltre 70 giorni giorni della sua macchina produttiva, ha dimostrato l’assenza di un tessuto di valori politici su cui impostare la ripartenza economica del Paese. E così, all’alba della riapertura del Paese, i miei capelli arruffati coprono un nido di idee e di rabbia per questa società annebbiata.

È chiaro, la storia si ripete. Ripenso a quegli Scapestrati della seconda metà dell’800, il risorgimento aveva animato lo sviluppo del Paese e reso l’Italia una nazione unita. Ma le nuove possibilità di ricchezza avevano presto preso il sopravvento sugli ideali della rivoluzione – che era, prima di tutto, rivoluzione culturale – e gli Scapigliati si erano ritrovati da soli a criticare le tendenze di una borghesia dedita solo al culto dei beni materiali e disinteressata ad ogni dottrina morale.

Anche la società moderna aveva potuto contare in principio su un nuovo movimento ideologico che, in nome dell’egualitarismo o della tutela delle libertà fondamentali, aveva ravvivato la politica italiana del secondo novecento, riempendola di valori e principi. Poi è venuta la globalizzazione, ha promesso di riempire le tasche di tutti e insinuato nuovamente l’idea che ci si potesse preoccupare di massimizzare i profitti senza giustificare le politiche economiche con gli ideali. 

Ecco, oggi come allora, l’arte del governo si è liberata delle dottrine, delle filosofie e dei valori, ha sottoscritto la politica unica del mondo globalizzato perché ha creduto che non valesse la pena di perdere tempo a ragionare sui mezzi con cui raggiungere i propri obbiettivi. 

Sono bastati due mesi di arresto dell’attività produttiva del Paese per mostrarci questa realtà: una classe politica che aveva fatto della produzione e del mercato la sua unica religione, una volta privata dei propri altarini, non ha potuto colmare questo vuoto con un sistema di valori su cui impostare la ripartenza del Paese. E senza alcun riferimento ideologico o culturale, ha reagito alla chiusura delle imprese con un’accozzaglia di regole sconclusionate che, cercando di premiare un po’ tutti, non si indirizzano a nessuno.

Il dibattito sulla gestione dell’emergenza si è quindi tradotto come sempre in una serie di accuse tra il Governo e le opposizioni, che entrambi, non avendo più alcuna dottrina per differenziare i propri programmi elettorali, si identificano soltanto nel reciproco disprezzo (“morte ai Fasci e maledetti i Sinistri!”).

Vi riporto le prime due strofe di uno di quegli Scapigliati di cui vi dicevo all’inizio. So che la poesia ai nostri giorni non piace, ma abbiate pazienza, sono poche righe.

Noi siamo i figli dei padri ammalati:

aquile al tempo di mutar le piume,

svolazziam muti, attoniti, affamati,

sull’agonia di un nume.

Nebbia remota è lo splendor dell’arca,

e già all’idolo d’or torna l’umano,

e dal vertice sacro il patriarca

s’attende invano.

La poesia è di Emilio Praga e a me pare estremamente attuale: come gli Scapigliati, ci siamo accorti di essere figli di padri ammalati, eredi di una generazione dimentica dei propri valori. E non avendo ideali da perseguire, ci ritroviamo a svolazzare senza mete e punti di riferimento. Lo splendore dei principi che fondarono un’era di grandezza è nebbia remota e l’uomo, privo di idee, si rivolge agli idoli, al solo culto dei beni materiali che soppiantano ogni altra aspirazione. Ma questa generazione sventurata attende il ritorno degli ideali. 

Intendiamoci, chi scrive non è certo un nemico del mercato o del capitalismo moderno. Eppure, non riesce ad accettare che la politica abbia rinunciato alle sue giustificazioni. Che una volta svuotata di ogni principio ideologico e privata di modelli di riferimento, la scienza del governo abbia rinnegato la sua funzione pedagogica; che destra e sinistra siano diventate delle mere differenze terminologiche, che i radicali siano lo stesso che i moderati e che la mia gioventù abbia perso ogni propensione alla cosa pubblica.

Ho chiamato il mio barbiere, gli ho detto che domani andrò a tagliarmi i capelli. Ma so che un paio di sforbiciate non basteranno a liberarmi dal senso di insofferenza che ho covato in questi due mesi. E anche se sarò più pettinato, continuerò a portare nel cuore questa scapigliatura che ci fa sperare nella rinascita di una politica delle idee. 

Luca Morini 

Luca Morini  su Barbadillo.it

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