Il caso (di P. Isotta). L’intelligenza dei gatti in un viaggio a Lampedusa

La storia del felino tunisino e del suo giovane padrone

Questa storia l’ho letta su Rainews, narrata dalla bravissima giornalista Angela Caponnetto, e documentata da tre fotografie da lei scattate. Però manca un nome, e questa mancanza è per me essenziale.

Incomincia a Tunisi. Su una riva, c’era un barcone in partenza per l’Italia, portante i reietti verso una clandestina parvenza di speranza. Fra questi un ragazzo. Donde proveniva? Come si chiama?

Il ragazzo vede sulla spiaggia un cucciolo di gatto: abbandonato. Si toglie il cappello di paglia e ne fa una cuccia per il piccolino. La deposita ai piedi di un albero. Ma il gattino non vuole restare lì. Se n’esce dalla cuccia umana e segue il ragazzo. Questi allora recupera il cappello, ci rimette dentro il piccolo e lo porta con sé sul barcone. Sono arrivati insieme a Lampedusa, e solo lì separati per essere sottoposti a due diverse quarantene. Si ricongiungeranno un giorno?

Era stato abbandonato. Non potevo far sì che venisse abbandonato un’altra volta.” Così ha dichiarato questo giovane santo che vorrei conoscere per dirmi suo fratello.

Non so se la vicenda, oltre che narrata, sia stata da qualcuno commentata. A me, oltre che il sentimento del ragazzo, hanno fatto impressione il sentimento e l’intelligenza del gattino. Che i gatti siano intelligentissimi lo sanno tutti; che non abbiano alcuna vanità di mostrare la loro intelligenza, anche. Ma il cucciolo la sua intelligenza ha dovuto palesare, perché da palesare era la sua volontà. La volontà di non esser lasciato solo su quella spiaggia; e la volontà di restare con quel ragazzo, lui abbandonato, che s’era preso cura di lui. Il ragazzo era un reietto quanto lui.

Ma il cucciolo ha manifestato un’affettività che molti ai gatti non riconoscono, e che in quelli domestici è parte essenziale della loro personalità. Chi ne ha uno (una mia amica ne ha cinque che vivono sul suo letto) conosce, fra le loro manifestazioni d’amore, il loro desiderio d’infilarsi sotto le lenzuola per dormire insieme col corpo del padrone. È sì la ricerca ancestrale di una tana, di una grotta; ma è anche una manifestazione di affetto. Il gattino tunisino, così piccolo, ha capito che il suo solo amico doveva partire (come ha fatto?), e ha voluto restare con lui, esponendo un inequivocabile atto di volontà. Purtroppo questa storia (a differenza di tante altre) non è stata conosciuta dal cantore delle gatte amate, Torquato Tasso, il quale l’avrebbe trasformata in una poesia.

Io invece dedico questa piccola nota a Vittorio Feltri, il sommo gattaro italiano e il più gattaro fra i miei amici del cuore.

*Da Libero Quotidiano del 9.6.2020

Paolo Isotta*

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