Libri (di G. Del Ninno). “Atlante ideologico sentimentale”, Solinas l’ultimo dei flâneur

Da Limonov a Parigi, dalla Ekberg a Keller, da Kapuscinski a BB: il filo invisibile

Brigitte Bardot

Brigitte Bardot

Che cos’è un atlante? Forse anche i bambini d’oggi, quelli che già alle elementari hanno più dimestichezza con il mondo digitale che con quello cartaceo, saprebbero rispondere: è uno strumento di conoscenza, ma anche un punto di partenza per le nostre fantasticherie; ma che cos’è un “Atlante ideologico sentimentale” (GOG Edizioni, Euro 27)? Qui le cose si fanno più complicate. E allora cominciamo dal principio: è il titolo dell’ultima fatica, in ordine di tempo, di Stenio Solinas, che, se vivessimo in un Paese “normale”, sarebbe una delle personalità di spicco della cultura italiana.

Non mi nasconderò dietro il dito del distacco del recensore (e del resto le considerazioni che seguono non vogliono essere una recensione “classica”): Stenio è per me un amico fraterno, un compagno di antiche avventure, uno di quei rari spiriti liberi con i quali scopri ad ogni incontro un’altra faccia di quel poliedro infinito che rivela e conferma affinità di fondo.

Il filo d’Arianna

E’ quello che mi è capitato anche in questo nuovo incontro virtuale con le 838 pagine di questo suo “Atlante”, così difficile da definire. Baule di Pessoa? “Tesoretto” – alla maniera medievale – di figure, e figuri, luoghi e idee? Giacimento di emozioni ed elaborazioni, di memorie e visioni? Intanto, sgombriamo il campo da un pregiudizio – quello coltivato specialmente dagli editori nei confronti di una semplice raccolta di articoli – e seguiamo l’Autore, che tale pregiudizio priva di fondamento proprio nelle pagine in premessa, quelle che forniscono alcune “istruzioni per l’uso”: a comporre il volume, concorrono decine e decine di articoli, pubblicati in poco meno di un trentennio, e si sa come gli editori miopi storcano il naso di fronte ad operazioni siffatte; ma dov’è l’errore di una simile sottovalutazione? Come avviene nei casi migliori, l’Autore mantiene dritta la barra di una coerenza che sfida i tempi, lungo una rotta che coincide con la sua stessa esistenza, e mette a disposizione del lettore un tema conduttore forte ma non ingombrante, un filo d’Arianna in grado di orientarlo – ma in piena libertà – nel caleidoscopio della realtà passata e presente.

Così l’aggettivo “ideologico”, lungi dal rimandare a rigidità ormai rifiutate dalla sensibilità corrente, rinvia alla formazione e trasformazione di una griglia attraverso la quale vedere e interpretare il mondo; mentre l’altro aggettivo del titolo – “sentimentale” – fin dalle prime pagine immerge il lettore nel sentimento della bellezza e dell’avventura, del destino e della fine, che si tratti di un ciclo, di una civiltà, di un’epoca.

Irriducibile agli schemi

Il libro si divide in cinque sezioni: Italia, Francia, Donne (fatali), Vite (esemplari), Orientalismi, esotismi, snobismi. Diciamo subito che anche in quest’opera, è difficile avvicinare Solinas a questo o quell’autore, magari “per differenza”, come lui stesso fa con il Ronchey di “Atlante ideologico” o, per limitarci ad un’altra apparente somiglianza, con il Daniele Del Giudice di “Atlante occidentale”, dove, in chiave narrativa, ci si  pone un interrogativo sulla capacità della letteratura di cogliere la profonda complessità del reale. Meno ancora è possibile accostarlo ad una “scuola” o ad una corrente letteraria, anche quando il tema prescelto lo avvicina ad un genere, ad esempio, alla cosiddetta “letteratura di viaggio”, come nei suoi precedenti “Percorsi d’acqua”, “Vagamondo”, “Da Parigi a Gerusalemme”: Stenio infatti è sempre altro, ed è assimilabile, semmai, a quell’ultimo dei Mohicani, che ispira il titolo di un altro dei suoi saggi (“Gli ultimi Mohicani. Quel che resta della politica”), e proprio questa originalità – starei per dire unicità – è la chiave interpretativa di tanta parte della sua produzione, anche quando appare incasellabile in questo o quel genere.

Prendiamo le biografie: la regola di Stenio è quella di scovare e raccontare “vite esemplari” non solo di personaggi “consacrati”, ma di chi si trovò fra le seconde o terze file di questo o quel periodo storico, e di cavarne e illustrarne gli aspetti più affascinanti e nascosti, narrandole al lettore come fossero la trama di un romanzo avvincente. In questa galleria hanno avuto posti di rilievo avventurieri e artisti, fotografi e scrittori, attraverso i quali l’Autore compone affreschi d’epoca più efficaci e coinvolgenti di quelli che potrebbe dipingere uno storico di professione. Si va così da Werner Herzog a Ernst Jünger, da Eduard Limonov a Ryszard Kapuscinski, da Guido Keller a Patrick Leigh Fermor, e via raccontando.

 

Il dandy e l’avventuriero

E passando dai tempi ai luoghi, l’immagine della Francia e dell’amata Parigi in particolare, che salta fuori dalle pagine che parlano di Simenon e di Robespierre, di Dumas e di Balzac, di Proust e di Cartier-Bresson è vivida e profonda come raramente l’abbiamo ritrovata. Perfino le recensioni librarie, aldilà della profondità e raffinatezza da vero critico letterario, sono per Solinas l’occasione di rivisitazioni storiche, ideologiche e di costume: si leggano le pagine dedicate alla “Comédie humaine” o al capolavoro di Jonathan Littel, “Le benevole”, dove si colgono sintesi folgoranti, nel primo caso sulla Francia, tra la fine dell’era napoleonica e la rivoluzione di luglio del 1830,  e nel secondo sul nazismo e sul bolscevismo.

Nella sezione dedicata agli “Orientalismi, esotismi e snobismi”, il trovarobato di Stenio espone e commenta cimeli di Byron e di Esenin, di Jean Clair e di Jack Kérouac, essendo ancora una volta le sue stelle polari il tipo dell’Avventuriero e del Dandy (meglio se compresenti nello stesso personaggio).

Il lettore mi concederà poi la debolezza di esprimere la commozione provata nello scorrere i capitoli dedicati agli anni 50 del Novecento, nella sezione “Italia”: chi come me – e come Stenio – appartiene a quella generazione, vi ritroverà atmosfere, scenari, sensibilità, oggetti, film e libri nel bianco e nero di una nostalgia asciutta e senza cedimenti al più corrivo sentimentalismo.

Passeggiare con BB e la Ekberg

Ma vorrei chiudere queste note – forzatamente poca cosa, mi rendo conto, di fronte alla pregevole mole del lavoro di Stenio – col sottolineare due figure femminili che Solinas giustamente colloca nell’Olimpo dei miti: Brigitte Bardot e Anita Ekberg. Leggiamo alcune delle righe dedicate a quest’ultima, nel capitolo “Dolce vita”: “… Anche questa giovinezza (di Mastroianni ndr) dà un senso al film, così come la fisicità pagana della Ekberg, che non è un’attrice, ma un’apparizione, ciò che resta quando le illusioni sono cadute: la natura allo stato brado, impudica perché innocente”. E, a proposito della Bardot: “…nessuna come lei è riuscita a incarnare il senso panico di un erotismo amorale e impudico, naturale e innocente. Era un qualcosa che aveva a che fare con la felicità e l’indolenza, una punta appena di malinconia, l’allegra sfrontatezza di chi si offre perché così le va, senza sadismi e senza masochismi”. Questo per dare l’idea di cosa pensi Solinas di quello che una volta veniva definito “eterno femminino”.

Non so in quanti siamo rimasti a coltivare l’amore per la lettura, ma spero che il “livre de chevet” sia ancora presente su molti comodini, perché questo di Solinas è l’ideale per accompagnarvi, sera dopo sera, nel percorso che conduce fra le braccia di Morfeo, per farvi sognare di “flâner”, di passeggiare perdendovi per le vie del mondo reinventato dall’autore.

@barbadilloit

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

Exit mobile version