“When they see us”, la vergogna del razzismo nel sistema Usa

La serie pubblicata da Netflix ricostruisce un drammatico caso giudiziario che scosse New York. E fa luce su una questione che meriterebbe di essere tratta ben più seriamente rispetto all'iconoclastia cieca

In un momento in cui proteste divampano come incendi, dando origini a focolai di rivolte più o meno pacifiche che durano ormai da diverse settimane e che ci vengono riproposte in ogni dove dalla stampa (mi si permetta il termine) mainstream, la volontà di capire ciò che avviene è ammirevole e aiuta a centrare il problema, ricollocandolo correttamente (spoiler: Indro Montanelli in questa storia non c’entra niente). Si parta dal presupposto che il razzismo negli Stati Uniti è sistemico ed è qualcosa che noi europei, per la nostra storia e conformazione sociale, deficitiamo a capire. Non c’entra con gli episodi di razzismo ugualmente esecrabili che possono esperire le minoranze nostrane.

L’aggettivo sistemico serve a mettere in luce il fatto che esso nasca in seno al sistema sociale stesso, con atti e atteggiamenti inconsapevoli di persone che, probabilmente, nemmeno si accorgono di compierli. Per provare a capire qualcosa che noi giocoforza non conosciamo, è sempre cosa utile rivolgersi al passato perché historia magistra vitae recitavano i latini, con buona pace di chi ora il passato vorrebbe nasconderlo, cancellarlo, imbrattarlo perché è cosa scomoda e con cui è difficile fare i conti. In maniera né leggera né leggiadra, ci arriva in aiuto la decima musa. No, non parliamo qui di Via col Vento (ci si limiterà a ricordare che nel 1937 la Mitchell vinse un Pulitzer con un romanzo che tutto voleva e poteva, tranne che fare della critica sociale in un momento in cui le ferite del paese erano sin troppo fresche e lacerate).

 

La vergogna di ieri

Il passato in questione è ben più recente e non siamo nemmeno in uno stato del profondo Sud Confederato. Niente Sweet Home Alabama o Georgia.

Si parla qui del 1989 e dell’orrendo delitto che avvenne a Central Park: lo stupro e il tentato omicidio di una jogger, una vicenda che ebbe un notevole risalto all’epoca sulla stampa statunitense. Del crimine furono accusati cinque ragazzi, quattro afroamericani (Antron McCray, Kevin Richardson, Yusef Salaam e Korey Wise) e un latino americano (Raymond Santana Jr.). Come l’indagine venne condotta ve lo lascio raccontare dalla serie, che spiega benissimo il concetto di sistemico di cui sopra: non solo violenze della polizia, ma un insieme di ingranaggi in cui per forza di cose la minoranza non è schiacciata: senza o con pochi mezzi finanziari, di influenza e persino culturali (benissimo è rappresentata la barriera linguistica dei latinos), è un Davide contro Golia dove l’astuzia e la bravura non bastano.

Le mancanze dell’indagine sono tutte lì: linee temporali distorte in un modo che nemmeno il sistema quantistico più ardito, confessioni estorte con il raggiro, violenza e soprusi. E poi vite spezzate, interrotte dall’esperienza del carcere, un’ordalia che sacrifica famiglie, amori e amicizie.

 

Una critica totale

Il terreno su cui si muove When They See Us è scivoloso, ma questo la rende solo più bella e veritiera: la vittima principale, Patricia Meili, non deve essere mai scordata, ma a lei si aggiungono altre cinque vittime le cui vite sono fratturate in maniera diversa ma ugualmente irrimediabile ed è impossibile non empatizzare con i protagonisti o con i loro genitori, mostrati nella fragilità tipica di chi sa che qualsiasi cosa faccia sbaglierà. Non è il dilemma del prigioniero, è il dilemma del condannato.

La vicenda si snoda su quattro puntate , ora su Netflix, da poco più di un’ora l’una che coprono l’arco temporale tra il delitto e il momento in cui si scoprirà il vero colpevole, tredici anni più tardi. La denuncia della regista e produttrice Ava DuVernay (di cui ricordiamo anche il pregevole Selma) arriva forte e chiara e mira al sistema delle ipocrisie statunitensi: quelle dei giornalisti che si limitano a spiattellare una storia preconfezionate, buona a far vendere copie, quelle di un sistema giudiziario che deve vincere cause per guadagnarsi il consenso pubblico, senza fermarsi a pensare a quella che sarebbe la sua vera missione e per cui la giustizia vera diviene un accidente marginale. Serie come When They See Us allenano lo spirito critico e fanno bene per la loro qualità (un plauso va anche agli attori, sopratutto gli interpreti dei giovanissimi Central Park Five.

Verrà forse voglia di mandare avanti, tanto sono forti certe immagini, quanto frustrante sia guardare quello che avviene sullo schermo e pensare che è avvenuto davvero. Più volte, vi verrà in mente la frase di Frodo Baggins in conclusione del Signore degli Anelli, quando chiede: “Come fai a raccogliere le fila di una vecchia vita? Come fai ad andare avanti quando nel tuo cuore cominci a capire che non si torna indietro? Ci sono cose che il tempo non può accomodare, ferite talmente profonde che lasciano un segno”. Non solo in questo caso in chi le vive ma in un’intera nazione.

 

Runa Bignami

Runa Bignami su Barbadillo.it

Exit mobile version