“Una Nazione” di Di Stefano: dove va la destra non istituzionale in Italia

L'antinomia sovranismo-populismo e il conflitto con le élite globaliste nelle linee guida del movimento che si ispira a Ezra Pound

Il libro intervista di Valerio Benedetti con Simone Di Stefano

In questa fase di “interregno” che stiamo vivendo – nel quale un mondo «vecchio muore, il nuovo non può nascere e […] si verificano i fenomeni morbosi più svariati» [1] –, è sopraggiunta «una guerra che non è più possibile evitare […] dichiarata dai globalisti ai popoli e ai lavoratori di tutta Europa» [2].

Un conflitto che non è più militare e non solo più economico, ma culturale. E che si configura in tre fasi: l’iniziale «silenzio tombale» che circonda le iniziative dei “non allineati”; la successiva «demonizzazione o ridicolizzazione» degli stessi e, infine, la “sottrazione” del pensiero forte al legittimo proprietario decentrando e banalizzando il primo privando, così, il secondo dello stesso» [3].

Delle prime due fasi è da tempo involontaria protagonista entro gli italici confini CasaPound – associazione di promozione sociale regolarmente costituita e riconosciuta – il cui «oscuramento dei media e le campagne di disinformazione» [4] subìte ben rappresentano le asimmetrie di una “guerra” che, per dirla con Aleksandr Dugin, «non è fra comunismo e capitalismo, ma fra élite liberal politicamente corrette, l’aristocrazia globalista, e contro chi non condivide questa ideologia» [5]. 

Per capire dove va CasaPound nel suo progetto che intende il “fare politica” come «operare per il bene della polis […] in nome di un’idea di comunità e di bene comune in cui non c’è posto per l’arricchimento personale o per una visione partigiana della realtà» [6], da qualche giorno è nelle librerie l’intervista di Valerio Benedetti a Simone Di Stefano (Una nazione, Roma, Altaforte, 2020) che offre molti spunti di approfondimento dando voce a chi «anche quando non pagava a livello elettorale» ha sempre affermato che «solo il recupero della sovranità – politica e monetaria – può garantire al popolo italiano il posto che gli spetta di diritto nella storia».

La storia di CasaPound – al di là delle strumentalizzazioni mediatiche –, è tutt’altro che recente: «nasce nei sogni, nei progetti e nella volontà di un gruppo di giovani provenienti dalle più disparate esperienze politiche e umane, che verso la seconda metà degli anni ’90 comincia ad animare le serate al Cutty Sark di Roma, storico pub dei più belli, liberi e ribelli della capitale» [7]; prosegue nel 1997 con la band Zetazeroalfa che in controtendenza inizia a concepire il fermento artistico e giovanile come pietra angolare; si polarizza nei primi avamposti di cultura, musica e socialità che, nel 2008, diventeranno CasaPound Italia, proiezione a livello nazionale dell’esperienza romana a cui ormai sono dedicate anche diverse tesi di laurea [8]. 

L’iniziativa editoriale si inserisce nell’attuale dibattito intorno al concetto di sovranismo, legittima istanza di “ri-nascita” – come ha scritto Paolo Becchi in Italia sovrana – di «uno Stato sovrano che difenda gli italiani contro lo strapotere dell’Ue, il ricatto dei mercati, il globalismo che cancella l’identità dei popoli». Un sovranismo, dunque, di cui si parla spesso, ma per demonizzarlo: Antonio Maria Rinaldi – nella prefazione al volume – individua nella crisi globale del 2008 il momento nel quale «è partita la demonizzazione martellante nei confronti dei concetti di nazione sovrana, sovranità di popolo, di identità e culture nazionali». Un attacco rinfocolatosi a ridosso della Brexit – considerata una «vittoria non del popolo, ma del populismo […] del “sovranismo” più stantio e del nazionalismo più stupido» [9] – e che non si è più fermato. Lo conferma l’uso ripetuto dei termini «come due facce dello stesso fenomeno» quando, in verità, essi rappresentano ben altro: «l’approdo pressoché inevitabile delle ricorrenti riflessioni in tema di crisi della democrazia e del processo di integrazione europea» [10].

Sul punto Di Stefano è chiaro: il sovranismo «è una visione precisa di quali sono i compiti dello Stato all’interno del mondo reale. Questa visione si concretizza in un programma politico, proposte di legge, iniziative, azioni» in antitesi, come fornisce la definizione Treccani del neologismo, «alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione delle politiche sovrannazionali di concertazione». Il populismo, invece, «è fare politica eseguendo ciò che inconsciamente il popolo desidera. Ma così non si va da nessuna parte: il populismo rischia di essere fagocitato dai proprietari degli strumenti d’informazione, perché sono loro alla fine che orientano le masse […] Il populismo naviga a vista, alla ricerca del consenso, il sovranismo ha una direzione e un obiettivo preciso». Che non è assolutamente quello della sospensione della democrazia, ma la sua piena attuazione tanto che essenzialmente la posizione sovranista «sarebbe la sola costituzionalmente ammessa, perché l’articolo 1 […] recita che la sovranità appartiene al popolo».

Veicolare tale proposito in ossequio alla convinzione di rendere concreti sogni e visioni «per il momento è il ruolo di CasaPound» che si rivolge a chi istintivamente si oppone «al globalismo percependolo come un fenomeno devastante che, oltre a stravolgere la nostra storia e la nostra identità ancestrale, non lascia scampo dal punto di vista economico e sociale».

E in questo ambito le proposte di Di Stefano e di CasaPound non si limitano alla pars destruens e si misurano coraggiosamente con la pars construens di baconiana memoria: «lo Stato deve spendere […] per far arrivare denaro nelle tasche degli italiani, per avere tenuta economica ed evitare lo sfacelo»; la moneta deve tornare «a essere un semplice strumento al servizio dell’economia e non il suo fine ultimo»; immaginare un’Italia «fuori da Ue ed euro paragonata a una nazione prospera e forte come il Giappone» visto che «abbiamo una forza industriale che ci permetterebbe di fare con la nostra moneta ciò che vogliamo» a maggior ragione del fatto che «il mondo è pieno di nazioni che stanno da sole, hanno una moneta propria e prosperano senza problemi».

Il problema della moneta

Sovranità monetaria, prima di tutto, insomma. Ma anche un cambio di rotta di «tutte le direttrici di politica economica della nazione» che dovrebbe «mantenere ben saldo il controllo pubblico di aziende strategiche» e «fare grandi investimenti produttivi» poiché «la grandezza di una nazione passa attraverso lo sviluppo armonico della sua economia» orientato, non più ai dettami imposti dalla globalizzazione e dal suo connesso neoliberismo, ma ad recupero di un concetto sparito dal vocabolario e dall’agenda politica italiana: la giustizia sociale. 

Il cambio di rotta preconizzato da Di Stefano, a ben vedere, trovava riscontro nell’Italia pre-Covid-19: già nel 2014 la Penisola «in fatto di assicurare eque opportunità di vita, di formazione, di lavoro, arrivava solo al 24esimo posto sui 28 Paesi, pari alla Lettonia e sotto la media europea» [11]. A maggior ragione oggi, dunque, serve «uno Stato dove sia chiaro a tutti che, giocando ognuno il proprio ruolo, tutti avranno la stessa dignità degli altri, tanto l’operaio e l’artigiano quanto il magistrato e il calciatore […] Uno Stato organico in cui le parole d’ordine sono armonia, giustizia, prosperità e soprattutto libertà».

D’altra parte, con buona pace dei detrattori, sovranismo rimane essenzialmente un sinonimo dell’estensione del concetto di libertà applicato a un popolo o una nazione «non soggetti a un potere estraneo» [12]: liberi, cioè, di ritrovare salde coordinate identitarie sulle ceneri di un globalismo che per troppo tempo ha calpestato l’identità e le coscienze facendo – proprio della libertà – «un pallone con cui giocare al football» [13]. 

La metafora è di Antonio Gramsci e probabilmente oggi l’intellettuale di Ales concorderebbe sul fatto che sia arrivato il tempo di riprendersi quel pallone e scegliere con chi giocare.

Note:

[1] A. Gramsci, «Ondata di materialismo» e «crisi di autorità», in Id., Passato e presente, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 48.

[2] V. Benedetti, Una nazione. Simone Di Stefano accusa l’Unione europea, Roma, Altaforte Edizioni, 2020, p. 13.

[3] U. Baccolo e E. Torresin, Rainaldo Graziani: da Meridiano Zero al Soggetto Radicale da Evola a Dughin, Parte 12. La guerra culturale e le sue asimmetrie, in Canale Youtube «Rainaldo Graziani», [minuti 4:15/6:55].

[4] CasaPound Italia, Questa è CasaPound Italia, Roma, CasaPound, 2018, p. 3.

[5] G. Meotti, “Europa mentalmente debole, la Russia è forte”. Parla Dugin, in «Il Foglio», del 2 marzo 2017.

[6] CasaPound Italia, cit., p. 3.

[7] Cfr., Chi siamo, in www.casapounditalia.org.

[8] Cfr., Ad Arezzo prima tesi di laurea su CasaPound, in «ArezzoWeb», del 17 febbraio 2010; S. Gabrielli, CasaPound, regole e valori condivisi all’interno di una sub cultura urbana, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, A.A. 2010/2011, Relatore F.R. Macri; F.M. Costanzi, Fascisti del Duemila: storia, Evoluzione e psicologia di CasaPound Italia, Libera Università Internazionale degli Studi Sociali LUISS Guido Carli, A.A. 2017/2018, Relatore A. Ungari.

[9] B.H. Levy, Così con la Brexit ha vinto un sovranismo ammuffito, in «Corriere della Sera», del 27 giugno 2016.

[10] M.G. Rodomonte, Il “populismo sovranista” e l’Europa. A proposito di crisi della democrazia e del processo di integrazione europea, in «Nomos», n. 2, del 2019, p. 1.

[11] I. Giuntella, Giustizia sociale, l’Italia in fondo alla classifica europea, in «IlSole24Ore», del 15 settembre 2014.

[12] Cfr. la voce «libertà», in Dizionario dei sinonimi e dei contrari Treccani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2011.  

[13] A. Gramsci, Punti per un saggio sul Croce, in Id., Quaderni del carcere, Q. 10 (XXXIII), § 51, Torino, Einaudi, 1977, p. 1341.

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Roberto Bonuglia

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