“1970: boia chi molla… a sedici anni”: la gioventù sulle barricate di Reggio Calabria

Una testimonianza in presa diretta raccontata da chi visse in prima linea i moti nazionalpopolari in Calabria

I moti di Reggio Calabria

Chi conosce l’autore di “1970: boia chi molla… a sedici anni”, non leggerà semplicemente questo “racconto” ma gli sembrerà di ascoltarlo direttamente dalle labbra di Enzo Rogolino. Ma tanta è la carica emotiva espressa da questo piccolo saggio che in ogni caso il lettore ne resterà coinvolto. 

“1970: boia chi molla… a sedici anni” è un importante contributo che comincia a colmare un vuoto, purtroppo, ancora molto ampio, ovvero offrire una saggistica sulla Rivolta che infiammò la città di Reggio Calabria negli anni ’70 raccontata da chi visse personalmente quegli otto lunghi mesi. D’altronde, quella dei “Moti di Reggio” è una pagina che ancora fatica a trovare posto e dignità nella “Storia” tant’è che la bibliografia in merito è molto scarna e troppo spesso annovera pubblicazioni che ancora cercano di mistificare quelle giornate fornendone una narrazione strumentale ad interessi politici che fanno riferimento alla sinistra. In realtà questo tentativo orwelliano di occultare e modificare la “Storia”, nel caso dei Moti reggini, potrebbe essere spiegato come una manovra per coprire una macchia di cui la sinistra prova rimorso e vergogna, ovvero aver tradito le legittime e spontanee aspirazioni di un popolo intero. È così che tutt’oggi si cerca di alimentare il falso “mito” di una Rivolta non popolare ma indotta e gestita dalla ‘ndrangheta e da apparati eversivi della destra italiana. Niente di più falso! Come ci racconta Rogolino nelle sue memorie di un ragazzino che invece di dare calci ad un pallone si è ritrovato a difendere una barricata a difesa del proprio quartiere, «se non fosse stata una rivolta di popolo difficilmente i manifestanti avrebbero potuto realizzare una barricata in prossimità di palazzine, id strade o di ponti. Senza il consenso popolare non sarebbe stato possibile sbarrare una strada o chiuderne l’accesso a tempo indeterminato, solo una straordinaria ondata di partecipazione popolare poteva consentirlo. Se non ci fosse stata una grande solidarietà e un sentire comune nessuno avrebbe potuto fare quello che ha fatto». Questa fu la verità di quelle giornate di grande tensioni che non hanno lasciato solo feriti sul selciato ma anche morti sia fra i manifestanti che fra le forze dell’ordine. Rogolino racconta le storie di tutti senza distinzioni, senza rancori perché, come dice una canzone degli ‘Amici del Vento’, «bisogna combattere senza odiare». Sulle barricate non si combatteva contro le persone, non si combatteva contro i poliziotti della Celere benché la loro repressione fu durissima e spesso insensata; i reggini lanciavano molotov contro la partitocrazia che aveva da sempre umiliato la città dello Stretto e che con la decisione di spostare il capoluogo calabrese a Catanzaro aveva inferto l’ultimo colpo. Decisione e sopruso che ebbe anche la complicità della sinistra, ecco perché non seppero e non vollero interpretare quella rabbia spontanea, e per coprire quella loro macchia ancora oggi a sinistra si cerca di infangare la storia di quella gente che sulle barricate portava il proprio amore per la propria città. Rogolino nella sua riflessione spiega che «Le vere vittime furono da un lato il civile popolo reggino, aggredito fin dentro le proprie case e sui posti di lavoro, ma anche le forze di polizia e gli uomini dell’Esercito, ben descritti come carne da macello, lontani dalle proprie case e dai propri affetti; giovani loro come gli stessi rivoltosi ma soprattutto in maggioranza figli del martoriato Sud. Mandati allo sbaraglio per mesi e mesi a difesa di un Governo che intese rispondere alle richieste legittime di un popolo con la repressione, l’inganno e le menzogne». Parole lucide ed al tempo stesso di tenerezza, di un uomo che a sedici anni ha sentito la chiamata della sua Terra e non ha esitato, nemmeno di fronte alle ansie del padre che poi – da socialista e sindacalista della Cgil – si è lasciato anch’egli stesso coinvolgere dal grido di dolore della sua città. Se è vero, come è vero, che i Moti furono sostenuti dalla destra è solo perché gli esponenti missini seppero interpretare quella rabbia e non perché strumentalizzarono una rivolta che resta popolare e solo di tutti i reggini, senza distinzione.

“1970: boia chi molla… a sedici anni” non ha la pretesa di offrire un’analisi storiografica né sociologica, ma sicuramente è un’opera personale ed appassionata che offre spunti per una ricerca storiografica e sociologica finalmente onesta! Chi legge i nomi ed i loro episodi, a volta tragici altri comici, raccontati in questo libro, non può non lasciarsi coinvolgere emotivamente e finalmente ridare dignità a quell’epopea dei “Moti di Reggio”.

Il saggio è auto edito ed è gratuito perché lo spirito che ha animato Rogolino è stato quello di offrire un regalo alla sua amata città. Per averlo bisogna rivolgersi direttamente all’autore. (da Stanza101.org)

Giorgio Arconte

Giorgio Arconte su Barbadillo.it

Exit mobile version