L’esempio di Sergio Barbadoro: soldato italiano ucciso dagli americani

Il 4 Novembre del '46 la Repubblica italiana gli ha concesso la medaglia d'argento al valore militare

Sergio Barbadoro nasce in località Sesto Fiorentino (Fi) il 30 Settembre 1920, dal matrimonio del papà Francesco, ex combattente della 1^ G.M., con la ex crocerossina Pia conosciuta nell’ospedale da campo dove era stato ricoverato per ferite riportate in combattimento sul Carso. Sergio cresce a Roma nel quartiere Monte Sacro, con i fratelli Mario e Renzo, dove i genitori gestiscono un negozio di valigeria. Dopo la scuola dell’obbligo frequenta l’ Istituto per ragionieri “Aldo Manunzio”, studia, lavora e pratica diversi sport, come tutta la gioventù del tempo. Si dedica in particolare alla lotta greco-romana.

La formazione

Appena diplomatosi, si iscrive al primo anno della facoltà di Economia e Commercio dell’università La Sapienza di Roma per l’anno accademico 40/41. Gode del rinvio del servizio militare per motivi di studio ma, essendo scoppiata la guerra, parte come U.V. (universitario volontario) e viene arruolato come soldato semplice nel 27° Reg.to Art. pesante semovente di stanza a Milano. Per le ottime qualità dimostrate, viene nominato caporale e poi sergente e dalla fine di luglio ai primi di agosto del ’41 viene trasferito a Bari. Da quì raggiunge poi Durazzo, dove viene assegnato al 19° Reg.to Art. , 19^ Div. Fanteria “Venezia”.

Il 4 marzo del ’42 viene trasferito a Firenze dove ottiene l’ammissione al corso AUC di Nocera Inferiore. Nominato S.Ten di art., specialità d.f. (divisione fanteria), viene assegnato al 13° Reg.to art. da campagna d.f. “Granatieri di Sardegna” di Roma. Tra la fine del ’42 e i primi del ’43 raggiunge il fronte in Sicilia.

Arriva intanto l’invasione con l’operazione “Husky” che prevede lo sbarco in Sicilia e la difesa di Palermo, in codice “Difesa Porto N”. La missione è affidata al Gen. Giuseppe Molinero che ordina la “difesa ad oltranza” della città. Il S.Ten Barbadoro  predispone un caposaldo del 1° gruppo del 25° art. “Assietta” a Portella del Vento (o della Paglia).

Barbadoro dispone di un cannone ippotrainato da 100/17, pezzo di artiglieria austriaco impiegato durante la 1^ G.M., distribuito quale preda bellica alle unità di campagna del Regio Esercito. La postazione è sita in mezzo a due alte cime lungo una strada (l’attuale SP 20 “Di S.G. Jato”, chilometrica 6+500 circa) che congiunge S. Giuseppe Jato con Palermo.

Gli americani

Nella mattinata del 22 luglio ’43 gli americani, dopo incessanti e inauditi bombardamenti terroristici, provenienti da S. G. Jato intraprendono l’avanzata verso Palermo. Gli stessi, fanno prigionieri alcuni soldati italiani che stavano minando la suddetta strada e li legano ai propri automezzi come scudi umani al fine di annullare qualsiasi resistenza.La situazione è gravissima, il S.Ten. Barbadoro rincuora i serventi e con fede indomabile apre il fuoco che sorprendentemente inchioda l’armata americana.

Probabilmente in quei momenti Sergio rivede la sua vita, pensa alla sua Elvira Giuffrida, la sua ragazza, una istitutrice palermitana della Casa del Sole, insieme al Dott. Antonino Demma, medico della stessa istituzione, poche ore prima a Giacalone, la ragazza tenta invano di distoglierlo dal pericolo.

L’impari lotta dura alcune ore. Caduti i serventi e senza alcun rifornimento, Sergio, da “soldato dell’onore”, non fugge: rispetta la consegna affidatagli con altissimo senso del dovere e continua a sbarrare il passo al nemico come alle Termopili. Gli alleati, ripresisi dalla sorpresa, si riorganizzano. Non mancanti di risorse micidiali, decidono di impiegare un potentissimo cannone d’assalto che, differenziandosi dal carro armato classico per l’assenza di una vera e propria torretta il cui peso e ingombro viene integrato da un armamento più pesante, diventa un vero killer contro il misero 100/17.

E’ la fine. Dapprima ferito mortalmente, Sergio Barbadoro si difende con la sua pistola d’ordinanza e investito da una valanga di fuoco compie il suo olocausto. Gli invasori riprendono così l’avanzata e subito dopo “conquistano” la colonia estiva del Dott. Demma a Giacalone, superano la frazione di Pioppo e arrivano al cimitero di Monreale sul cui muro di cinta è scritta la frase mussoliniana «Bisogna agire, muoversi, combattere, se occorre morire».

All’indomani del sacrificio, il corpo dell’Eroe è ancora riverso sul pezzo ma, nudo, oltraggiato e privato degli stivali dall’immancabile azione di sciacallaggio di individui vili ed abietti. Viene sepolto, assieme ai commilitoni, nel cimitero di S.G. Jato da don Antonino Cassata con l’aiuto di altre pie persone.

Intanto il padre Francesco non riceve più notizie, tanto che, alla fine dell’estate del ’45, parte alla ricerca del figlio in Sicilia dove ne ritrova i resti mortali tumulati nel cimitero grazie alle informazioni ricevute da un anziano custode che ricordava l’episodio di alcuni anni prima. Il 2 settembre del ’45 Sergio Barbadoro viene sepolto nel cimitero monumentale del Verano a Roma.

La medaglia

Il 4 Novembre del ’46 la Repubblica Italiana ha concesso la medaglia d’argento al valore militare (alla memoria) con la seguente motivazione: «Comandato a sbarrare, con un pezzo, un passo di montagna all’avanzata di una colonna corazzata nemica, animava i suoi uomini trasfondendo in loro la sua fede. Durante l’impari combattimento durato nove ore e reso piu’ aspro dalla mancanza di ostacoli anticarro, senza collegamenti e senza speranza di aiuto, infliggeva gravi perdite all’avversario, aggiungendo nuova gloria alle gesta degli artiglieri italiani. Caduti o feriti i serventi, continuava da solo a fare fuoco sino a quando colpito a morte cadeva sul pezzo assolvendo eroicamente il compito affidatogli. Luminoso esempio di dedizione al dovere. Portella della Paglia (Palermo) 22 luglio 1943». 

Negli anni 50 gli fu dedicata la sezione dell’MSI di S.G. Jato. Nel 1961 l’Università degli Studi di Roma gli ha conferito la laurea ad honorem in Economia e commercio. Nel settembre del 1986, su iniziativa dell’Istituto del Nastro Azzurro, il Comune di Palermo gli ha dedicato uno slargo nel quartiere Pallavicino. 

Lo stesso Istituto si è interessato per commutare la medaglia d’argento in oro. L’UNUCI di Firenze con un ciclo di conferenze fra l”89 e il ’90 ne ha ricordato il valore. L’E.I., presso il Circolo Ufficiali di Palermo, durante una conferenza, ne ha onorato il ricordo. Su una parete della caserma dei “Granatieri di Sardegna” a Roma una lapide ne perpetua l’eroismo.

Si trovano articoli su: La “Rassegna dell’ Esercito”, ( supplemento 2/2003 della “Rivista militare”; La Gazzetta del Sud dell’11/8/2003 (F.P. Calvaruso, “Atto eroico in quell’estate del ’43”; Giornale di Sicilia 18/7/2003; Vespri d’Italia 1/2/53, (Ricordo di un eroe” di E. Moscato); G. Tricoli “A. Cucco”;  Rivista dell’ Isspe di agosto 2003, saggio di Francesco Paolo Calvaruso: “Sergio Barbadoro, un eroe dimenticato”; La Casa del Sole di Salvatore Demma (Ed. del 2007).

Alcuni anni fa le FF.AA., le Associazioni Combattentistiche e d’Arma, le Autorità, hanno tributato gli onori al Caduto sul luogo che ricorda l’atto di eroismo, un cippo sormontato da una croce metallica la cui lapide recita: «Qui eroicamente cadde il S.Ten. di compl. Barbadoro Sergio. Classe 1920 da Sesto Fiorentino». Qualcuno ha scritto che ormai nessuno ci fa più caso e che il gesto fu “eroico e inutile”. Se non fossero un reiterato e chiaro esempio di aridità spirituale, queste parole si potrebbero certamente bollare come oltraggiose (nda F.P. Calvaruso). Noi aggiungiamo: «Passante va e riferisci all’Italia che qui è caduto un suo figlio per Essa!». 

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Paolo Francesco Lo Dico

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