Comunali. La destra sogna Roma ma non deve trascurare Napoli (per ritrovare la centralità nel Sud)

Non solo la Capitale, l'anno prossimo ci sarà l'appuntamento fondamentale con le elezioni post-de Magistris. Immaginare una nuova Napoli sarà scrivere da protagonisti una nuova pagina del Mezzogiorno e dell'unità nazionale

Il calendario incombe e già è cominciato il dibattito sulle elezioni a Roma. Tiene banco l’ipotesi della ri-candidatura del sindaco uscente Virginia Raggi e il cascame che ne deriverebbe, con il M5s che finalmente uscirebbe dall’infanzia accettando non solo la necessità di superare lo steccato del doppio mandato ma pure di comprendere che, appunto, la politica è compromesso (magari alto, non per forza al ribasso), e le alleanze con le altre forze non sono peccati mortali, tutt’altro. Il confronto, però, inizia a bussare anche alle porte dello schieramento del centrodestra. Roma è la Capitale e per la destra ha da sempre un significato simbolico preciso e decisivo (fin da quando il segretario del Msi Gianfranco Fini andò al ballottaggio, poi perso, contro Francesco Rutelli nel 1993).

I contributi alla riflessione iniziano a fioccare data l’importanza, politica e strategica, della competizione elettorale che si terrà il prossimo anno. Ma quello di Roma non è, né può essere, l’unico fronte aperto su cui il centrodestra non può sbagliare.

Le comunali di Napoli

Il prossimo anno, infatti, si vota anche a Napoli. E sarebbe importante, per la destra, riprendere le fila di un discorso, che dall’amministrazione di quanto resta di una grande capitale del Mediterraneo si allarga fino a quello dell’unità nazionale da guarire e della centralità del Sud, che ha scandito alcune delle fasi più importanti della sua stessa storia.

 

Lo scenario

Napoli non è solo quella città. E’ una capitale che si trova a languire in uno stato di assoluta decadenza come tutto il territorio che politicamente e simbolicamente rappresenta. Meglio ancora: inchiodata prima all’oleografia e poi alla rivendicazione e alla stigmatizzazione, la città e il Mezzogiorno soffrono una perdita di centralità che li fa scivolare sempre più ai margini del dibattito nazionale. Che sia politico, culturale, economico. Colpa, forse, anche di una certa retorica che però s’è imposta per reazione: lo insegnava il grande Edward Gibbon che più un popolo avverte sulla sua pelle il peso della decadenza più si attacca ai fantasmi delle grandezze passate.

Dal punto di vista del consenso, Napoli – che ha dimostrato di essere quasi impermeabile alle sirene salviniane – è una prateria in cui non sembrano esserci più blocchi sicuri di riferimento. Le Regionali stanno però consegnando agli archivi una campagna elettorale basata sull’identità. Forse mal coniugata da alcuni esponenti del centrodestra che puntano molto sullo screditare il governatore Vincenzo De Luca non solo per le sue azioni politiche quanto per il suo essere “un cafone di Salerno”. Si tratta di una tattica col respiro cortissimo che ricorda, sebbene declinata altrimenti, quella stessa retorica leghista tanto odiata e mai perdonata proprio dai napoletani stessi. Per di più alimenta l’alterità e la divisione tra città e comunità legate, irrimediabilmente, dallo stesso destino.

 

Un laboratorio politico

Napoli  sarà laboratorio politico di rilevanza nazionale per i prossimi anni. Già era successo con la prima elezione di De Magistris, già ai tempi vicino all’ambiente di Casaleggio, che ha anticipato l’ascesa dell’antipolitica che oggi si esprime nel M5s. Ora la stagione arancione pare destinata a concludersi (non fosse altro che per lo spirare del secondo mandato consecutivo del sindaco che non potrà ricandidarsi) e un’altra andrà ad aprirsi. Con un Pd balcanizzato e a rischio irrilevanza. Pericolo che potrebbe concretizzarsi se si accoderà a un’alleanza con Cinque Stelle in primo piano. Stando così le cose, l’esperienza della sinistra di governo napoletana, liquidato Bassolino, pare definitivamente consegnata agli archivi. C’è, dunque, possibilità per un nuovo progetto a destra? Sì. A patto che ci sia una visione d’insieme, il coraggio di andare oltre i luoghi comuni e i miti incapacitanti, e la volontà di studiare a fondo una strategia nuova che abbia l’intelligenza di comprendere che se è vero che l’Italia non riparte senza il Sud, lo è altrettanto che senza Napoli il Mezzogiorno rimane fermo al palo. Insomma, è interesse di chiunque, da Formia a Monopoli, da Teramo a Oppido Lucano, da Reggio Calabria a Campobasso, che la destra ritrovi il coraggio di parlare con il Sud. 

 

Recuperare centralità da Sud

Sarà banale e noioso leggerlo, però a Napoli, così come a Roma, la destra deve recuperare la posizione di guida politica e progettuale. Si devono riempire non (solo) gli spazi della politica ma le menti e le carte, gli orizzonti.  Gli slogan vanno bene ma se sapranno profumare, una volta tanto, di contenuti e visioni. Non solo di continue recriminazioni. Le questioni napoletane sono quelle del Sud e, non passeranno altri dieci anni, di tutto il resto del Paese. C’è l’industria che scappa via (Whirlpool), le promesse incompiute (non vivremo tutti di turismo), l’agricoltura che faticosamente cerca di superare la crisi dovuta alla concorrenza globale. E poi i problemi e i limiti delle infrastrutture che, come un domino, travolgono le potenzialità di un terzo dell’Italia.

La destra può e deve ritrovare il coraggio anche di essere impopolare se serve, di smontare e capovolgere l’odiosa retorica che vuole il Mezzogiorno parassita e frignone. E di farlo proprio perché il Sud lo conosce e sa bene che è poco intelligente accomodarsi a una retorica ormai stantìa e, di sicuro, letale per quei quattro brandelli di unità nazionale che ancora rimangono.

Da questo bisogna ripartire per ricostruire una visione nazionale, senza la quale la destra – che del tricolore continua a ornarsi – non sembra poter avere ragione di esistere. Almeno, se vuol farlo da protagonista.

 

 

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

Exit mobile version