Giornale di Bordo. Chiudono le discoteche: è giusto “morire” per la lap dance?

Il diario di Enrico Nistri su contributi a pioggia, chiusure delle sale da ballo e Covid-immigrazione

I giovani in discoteche

Morire per la lap dance?

Il governo ha deciso di chiudere le discoteche. Dopo Ferragosto, ovviamente, per non turbare l’estate dei nostri giovani, che per la maggior parte dell’estate hanno potuto “fare casino”. Era giusto, del resto, che fosse così: pensiamo ai poveri liceali, che dopo avere avuto una promozione quasi ope legis, come nemmeno in tempo di guerra, ora aspirano al meritato riposo.

I gestori naturalmente piangono miseria e invocano cassa integrazione e risarcimenti per quello che considerano un abuso. In realtà, se buona parte di loro avesse osservato o fatto osservare con un minimo di diligenza le prescrizioni in materia di registrazione dei presenti, di obbligo della mascherina e distanziamento, il provvedimento non si sarebbe reso necessario. Tutto lascia prevedere, comunque che otterranno quanto chiesto: nella nostra subcultura giuridica si tende sempre più a confondere l’interesse legittimo col diritto soggettivo e nella subcultura politica dei partiti di governo e di opposizione prevale l’imperativo a distribuire ricchezza, piuttosto che aiutare a produrla. Avremo così la cassa integrazione per i dj, per le cubiste e per i buttafuori. L’Italia è una repubblica democratica fondata sullo sballo.

In uno dei primi interventi di questo diario in pubblico (era ancora febbraio) scrissi che mi rifiutavo di morire per gli involtini primavera. Era l’epoca in cui la maggior preoccupazione dei partiti di governo sembrava che gli italiani disertassero i ristoranti cinesi. Oggi non mi vergogno a scrivere che mi rifiuto di morire per la lap dance.

La superstizione della causa unica

Dichiarazione dell’attuale ministra dell’Interno all’“Avvenire”: “Il problema non sono gli sbarchi, ma il Covid”. Dichiarazione dell’ex ministro dell’Interno: “I contagi arrivano per gran parte per colpa di chi arriva dall’estero”.

Purtroppo hanno ragione entrambi. Il Covid è un problema, moltiplicato però dagli sbarchi e dall’incapacità dell’odierno ministro di contenerli e di impedire che gli sbarcati (anche positivi al Coronavirus) evadano dai centri d’accoglienza. Gli sbarchi sono un problema, ma il comportamento irresponsabile di molti giovani, fra movida e discoteche, ha le sue responsabilità nella propagazione del contagio. Senza parlare di quegli italiani, non solo ventenni, che invece di rimanere in patria hanno preferito recarsi all’estero, in aree dove la pandemia infuria, contribuendo, oltre che a danneggiare la nostra bilancia dei pagamenti, anche a reimportare il virus. Governo e opposizione dovrebbero guardarsi da quella che lo storico britannico Edward Carr, nel suo saggio What is history, chiamava la “superstizione della causa unica”. Ma dubito che finirà così.

Ma lo scandalo sono i contributi a pioggia

Ho sempre diffidato di quei professori che si divertivano a raccontare agli amici o ai colleghi gli svarioni dei loro alunni; visto che insegnare era loro compito, se ne sarebbero dovuti piuttosto vergognare. Mi ricordavano quelle donne delle pulizie che si lamentano se la casa dove sono a servizio è sporca.

Per lo stesso motivo mi lascia perplesso lo scandalo esibito dalla maggioranza giallo-rossa per i deputati e anche per gli amministratori locali che hanno usufruito dei bonus previsti a favore delle aziende e dei lavoratori autonomi previsti dai decreti voluti dal governo Conte. Che il criterio di erogazione dei contributi fosse sbagliato era evidente. Le eventuali integrazioni non sarebbero dovute essere “a pioggia”, ma proporzionali ai redditi dichiarati, ponendo magari un tetto per i redditi più alti; altrimenti paradossalmente sarebbero stati avvantaggiati gli evasori, che in precedenza avevano denunciato molto meno di quanto guadagnato. Concedere il bonus a tutti i titolari di partita Iva era un assurdo, tanto più che, con gli odierni sistemi informatici, verificare le denunce dei redditi non sarebbe stato difficile.

Certo, i deputati e molti amministratori locali che hanno usufruito del bonus hanno in certi casi dimostrato uno scarso senso dell’opportunità, però bisognerebbe distinguere caso per caso: i semplici consiglieri comunali e anche i sindaci e gli assessori di piccoli centri non possono vivere solo di politica. Molti di loro hanno effettivamente sofferto del crollo degli introiti conseguente alla pandemia. Per i deputati nazionali o regionali il caso è ovviamente diverso.

Ma il vero errore è di chi ha elaborato e poi imposto a un Parlamento tenuto in scacco una legge palesemente sbagliata. Se qualche pubblico amministratore ha “scroccato” contributi di cui avrebbe potuto fare benissimo a meno, chi è al governo ha provocato una dispersione ben più grave di fondi pubblici, soccorrendo con provvidenze demagogiche anche chi non ne avrebbe avuto bisogno, politici e non. Ma è ben più facile fare della demagogia, approfittando di una rivelazione “a orologeria” dell’Inps, che ammettere di avere sbagliato.

@barbadilloit

Enrico Nistri

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