“A Ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia, la filologia del giallo

Nevrosi umane, epica e contraddizioni in un giallo dai rimandi filologici e filosofici

Leonardo Sciascia

Leonardo Sciascia descrive, con perizia analitica, l’intelaiatura che sottende l’anima un romanzo poliziesco che ha come oggetto un delitto a cui segue una risoluzione dal movimento intricato.

<< (…) Che un delitto si offra agli inquirenti come un quadro i cui elementi materiali e, per così dire, stilistici consentano, se sottilmente reperiti e analizzati, una sicura attribuzione, è corollario di tutti quei romanzi polizieschi cui buona parte dell’umanità si abbevera. Nella realtà le cose stanno però diversamente: e i coefficienti dell’impunità e dell’errore sono alti non perché (o non soltanto, o non sempre) è basso l’intelletto degli inquirenti, ma perché gli elementi che un delitto offre sono di solito assolutamente insufficienti. Un delitto, diciamo, commesso o organizzato da gente che ha tutta la buona volontà di contribuire a tenere alto il coefficiente di impunità.
Gli elementi che portano a risolvere i delitti che si presentano con carattere di mistero o di gratuità sono la confidenza diciamo professionale, la delazione anonima, il caso. E un po’, soltanto un po’, l’acutezza degli inquirenti. (…)>>. 

A più riprese, nel corso di diverse interviste, lo scrittore di Racalmuto incide su questo aspetto crea un parallelismo tra gli indovinelli della Settimana Enigmistica e il romanzo giallo. La risoluzione di un delitto è spesso un fatto razionale, ostacolato però dallo sgorgare emotivo dei personaggi, situazione non dissimile da quello che è il cuore di A Ciascuno il suo, terzo romanzo poliziesco, pubblicato nel 1966 successivamente al celebre e ormai classico Il Giorno della Civetta, entrambi oggetto di riduzioni e adattamenti cinematografici, rispettivamente ad opera di Elio Petri e Damiano Damiani (nel mezzo si trova anche Il Consiglio d’Egitto, romanzo storico, trasposto al cinema nel 2002).

La storia appare lineare, un affresco delineato e frequentemente tipico nella Sicilia degli anni sessanta. Due persone, professionisti rispettabili e ben inseriti nella vita cittadina, escono per una battuta di caccia e vengono uccisi. Oltre agli inquirenti, si affaccia sulle indagini anche un timido professore con inclinazioni psicanalitiche, il professor Laurana, che elabora e deduce una propria pista investigativa che si rivelerà, in diversi aspetti, azzeccata ed efficace. Le angolazioni umane subiscono pervicacemente l’influenza del contesto, come fosse un invisibile protagonista, direttore d’orchestra freddo e spietato, invisibile, vero ambiente di scena, protagonista occulto.

Sciascia è uno scrittore che della logica si serve il giusto, senza anteporla alla dimostrazione del torbido e del grottesco, elementi essenziali che compongono e descrivono una realtà sfatta composta da sfavillante formalismo sotto le cui spoglie è celato però un intrigo, ordito da una sintesi di passioni deviate e logica freddezza. È un’epica sempiterna che qui assume lo sfondo della Sicilia enigmatica, sibillina, dove ciascuno indossa il proprio vestito e calza con altrettanta perfezione il proprio ruolo sia esso Prete, Farmacista, Professore o altro. Ed è proprio attraverso questo tipo di epica novecentesca, narrata con gli schemi del romanzo giallo, in cui si tenta se non di risolvere, quantomeno di appianare le contraddizioni e le controversie.

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Stefano Sacchetti

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