Referendum. Il problema è la qualità della rappresentanza non il numero di parlamentari

Se la politica (di ieri e di oggi) avesse avuto il coraggio di mantenere le promesse su cui s'è fondata la Seconda Repubblica (in primis il presidenzialismo), gli italiani non sarebbero così arrabbiati e neppure così nostalgici

La testa dice no, la bile urla sì. Il busillis del quesito referendario (elettoralmente) più retorico della storia repubblicana è tutto qui. Conviene smontare, limare, svuotare le aule parlamentari per risparmiare qualche milioncino di euro? La pancia non ha dubbi: sì, tutti a casa. La mente, però, dovrebbe andarci piano e tentare un ragionamento.  Non sarà facile perché siamo alla fine di un ciclo e adesso si devono fare, per forza, i conti.

Abbasso la casta

Il taglio alla “casta”, l’odio profondissimo che (almeno sul web) i cittadini sembrano nutrire per la loro classe dirigente è un tema quasi stereotipale, sicuramente fondativo, della Seconda Repubblica. Questa nasce sulle ceneri della “partitocrazia” e il corpo elettorale italiano è abbastanza attempato per non aver alcuna voglia di rivalutare modelli vecchi e spazzati via dalla temperie politica e giudiziaria di quegli anni. Sarebbe un’ammissione di colpa, una palinodia inaccettabile perché toccherebbe al cuore l’ultimo caposaldo politico in cui quella generazione crede: quel luogo comune, cioè, secondo cui i politici sono tutti ladri, parassiti, bugiardi, venduti e via maledicendo.

Indebolire la periferia

Chi ha a cuore le ragioni del No farebbe meglio a non esprimersi troppo se non vuol passare, in questi tempi disadorni, per nemico del popolo. Che, a prescindere, ha sempre torto. Ragionare del vulnus istituzionale che si verrebbe a creare sarebbe troppo complesso: vaglielo a spiegare ai cittadini infuriati che i parlamentari sarebbero cancellati in provincia, che i territori avrebbero meno rappresentanza e non le grandi metropoli già sovra-rappresentate non soltanto dai deputati e senatori lì eletti ma anche (e soprattutto) da quei parvenu che, scordandosi il collegio di riferimento e sognando leadership impossibili, si danno un tono intervenendo nelle vicende delle grandi città.

Che fine ha fatto il presidenzialismo?

Chi vorrebbe difendere l’architettura istituzionale sostenendo il No farebbe bene a parlarne con parsimonia. La Costituzione, horribile dictu!, andrebbe riscritta da cima a fondo nelle sua seconda parte. Il bicameralismo non è (funzionalmente) perfetto. Occorrerebbe pensare una riforma, magari in chiave presidenzialista.  Ce lo diciamo da trent’anni. Riempire di contenuti costituzionali chiacchiere (per quanti fondanti) di movimenti d’opinione politica ultraventennali. Una nuova Repubblica, bene. Ma quale? Tagliare i parlamentari non risolve il dilemma: lascia tutto com’è, magari con meno persone a intascare assegni e finemese corposi. E senza alcuna assicurazione sul fatto che in Parlamento siederanno i migliori (su quali basi sceglierli?) e che ne vengano esclusi, per effetto dei tagli, i cretini.

I conti della serva

Chi potrebbe far di conto spiegando che i risparmi sarebbero davvero pochi rispetto ai tesori d’Oriente vagheggiati, stia molto attento. Perché dai tagli a pretendere di voler chiudere il Parlamento il passo è breve. Risparmio per risparmio, provocazione per provocazione, il vero guadagno (per i contabili) sarebbe di cancellare Camera e Senato. Sostituirli, magari, con una tavola rotonda a cui seggano – quando non hanno a che fare con social e selfie – i leader dei partiti nazionali. In differenti posizioni, a seconda di quelle donate loro dai sondaggi. Ciò consentirebbe di risparmiare anche sull’odioso sperpero che sono le elezioni: a che servono, se ci sono gli exit poll? Alain de Benoist ha ritenuto, non molti anni fa, che questo delle democrazie a base sondaggistica sia uno scenario futuribile. Ma di certo poco invitante.

Giorgio Almirante, segretario del Msi

Ricordi le Province?

I rendicontatori, i rinfacciatori , i fact checker al servizio della causa del No stiano calmissimi. Chiedano ai cittadini, ma con delicatezza, quale vantaggio abbia comportato, sui loro F24, l’abolizione delle odiatissime Province. I più accorti replicheranno che fu una riforma incompiuta. “Un altro imbroglio di Renzi”, lo stesso per cui – sulla furia iconoclasta e la fascinazione dei politici giovani – avevano investito due euro a quelle antiche Primarie piddine. Qualcuno dirà che andrà a votare Sì per non vedere più nelle sale del Parlamento gente del M5s. Gli stessi che su questo tema hanno investito l’intera immagine pubblica loro. Ognuno ha le sue ragioni personali con le quali inonda web e i dibattiti in famiglia. Ma quelle profonde, e inconfessabili, sono altrove.

Cuori delusi

La tentazione più pericolosa che chi sosterrà il No dovrà combattere sarà quella di trattare da scemi tutti coloro che nella massa indistinta del web si autodefiniscono popolo. La sinistra istituzionale, negli ultimi anni, ha dato sistematicamente l’impressione di aver fallito proprio su questo punto. Ora demonizza, ora stigmatizza, ora torce il naso. E’ come agitare il drappo rosso davanti al toro. I cittadini che sostengono il Sì chiedono un solenne auto-da-fé della politica degli ultimi anni. Chiedono il compimento delle promesse antiche, prima su tutte quella della messa al bando di quella “partitocrazia” sulle cui ceneri è nata la stagione incompiuta della Seconda Repubblica e che oggi pare tornare alla ribalta.

Enrico Berlinguer

Le radici della nostalgia

È così chiara la richiesta dei cittadini che solo chi vuole essere cieco non la vede: quello della rappresentanza non è un problema di quantità bensì di qualità. Gli italiani sono arrabbiati perché le promesse di radiosa rinascita politica e civile, a prezzo delle quali sia a destra che a sinistra s’è rinunciato a simboli, battaglie, labari e biblioteche ideali, sono rimaste frustrate. La Seconda Repubblica non s’è mai compiuta e quelli che c’avevano creduto ora si sentono delusi, come se tutti i loro sforzi fossero stati non solo vani ma addirittura controproducenti. Perciò ovunque è un fiorire delle retoriche nostalgiche, su tutte quelle che vedono Almirante e Berlinguer campioni di una politica che non c’è. Grandi capi di grandi comunità percepiti come uomini, oltre che onesti, di parola e di orizzonti. Cosa che manca alla politica di oggi che si nutre, secondo le ultimissime mode del marketing, di emozioni forti, cavalca ogni tigre sapendo che prima o poi la sbranerà. La politica come sagra del travaso di bile. Quella che dice sì, lo fa sempre. Ottenebra e ci impone di indignarci oggi per rifarlo domani. E intanto, mentre il fegato scoppia a rincorrere il rullo impazzito delle polemiche sempre nuove e sempre inutili, nulla cambia.

La qualità della rappresentanza, dunque, è il vero problema: idee, orizzonti e visioni da portare a termine, non da lasciare ad ammuffire su qualche vecchio database. Se fosse così la politica, altro che tagli: gli italiani si augurerebbero di averne tremila di parlamentari.

@barbadilloit

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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