La forza della poesia. L’amore per l’Italia e la ricerca di un nuovo ordine per Ardengo Soffici

La riflessione di Sandro Marano su un verso tratto dalla poesia "Arcobaleno" dell'artista toscano

Un quadro di Soffici

«Ma il canto più bello è ancora quello dei sensi nudi»

La lunga poesia Arcobaleno, da cui è tratto questo semplice e incantevole verso fa parte di un volumetto che Ardengo Soffici, in procinto di arruolarsi come volontario per la grande guerra, pubblica nel 1915 per le edizioni della Voce dal titolo inequivocabilmente futurista: BifSzf + 18. Simultaneità. Chimismi lirici. L’amore per l’Italia, l’insofferenza per il vecchio sclerotizzato mondo politico e sociale, la ricerca di un nuovo ordine personale e comunitario si mescolano in Soffici e si trasfondono nelle sue composizioni, che insieme a quelle delicatamente impressioniste di Luciano Folgore, a quelle giocose di Aldo Palazzeschi e ad alcune rutilanti di Marinetti sono quel che di più valido il Futurismo ci ha lasciato nel campo della poesia. «La poesia del Futurismo è stata però meno dei Manifesti. Ma ha una sua storia appassionata. È l’unica poetica rivoluzionaria che abbia avuto la letteratura italiana» (Francesco Grisi, I futuristi, Newton, 1990). Soffici usa magistralmente tutte le innovazioni linguistiche teorizzate dal Futurismo: dallo stravolgimento delle regole grammaticali e logiche, all’uso a piè sospinto dell’analogia, all’assenza di punteggiatura. Rimescola sensazioni del presente e momenti di vita vissuta, sposa il quotidiano alla storia, l’oggi al sempre. Spigoliamo qua e là: «I bianchi colombi volteggiano per l’aria come lettere d’amore buttate dalla finestra». Ed ancora: «Tu ti ricordi insieme ad un bacio seminato nel buio Una vetrina di libraio tedesco  Avenue de l’Opera E la capra che brucava le ginestre Sulle ruine della scala del palazzo di Serse a Persepoli». 

Ma a che cosa allude quel canto dei sensi nudi che per il poeta è il più bello? Senza dubbio alla giovinezza, all’amore, alla vitalità, che l’eccesso di cultura, di norme sociali e giuridiche mortifica. La cultura, insegnava Ortega y Gasset, con l’andare del tempo, da risposta vitale si converte in luogo comune, da soluzione ai problemi che la vita pone in fardello, da fede viva in fede inerte. L’uomo, scrive il filosofo in Intorno a Galileo, uno dei suoi saggi più significativi,  «corre il rischio di perdersi nell’intrico dei suoi saperi» e la vita si svuota, si fa inconsistente e instabile. Ed allora non resta che il ritorno alla natura, all’autenticità del vivere: «l’uomo deve periodicamente scrollarsi di dosso la sua cultura e rimanere nudo». È il tempo delle crisi storiche e delle rivoluzioni. Allora al poeta è affidato un compito: svelare la storia a chi la vive.   

                        

Sandro Marano

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