Marina Valensise: “Il Teatro come espressione senza tempo della vita comunitaria”

L'intervista a tutto campo all'intellettuale e scrittrice, consigliere delegato dell'Inda alla fine della stagione teatrale a Siracusa

Marina Valensise

Marina Valensise è attualmente il Consigliere Delegato dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico ed è visibilmente soddisfatta dei risultati della stagione appena conclusa al Teatro Greco di Siracusa. “Per voci sole” è stata la sfida che l’INDA ha lanciato al Covid19 e all’emergenza, al vuoto dei palcoscenici e alle voci interrotte del teatro. Sfida vinta: per sette sere il Teatro Greco è stato riempito da un pubblico attento e ripagato con spettacoli importanti, nuovi, in qualche caso virtuosi. “Il teatro per noi dell’Inda non è divertimento, intrattenimento, spettacolo. Per noi il teatro è l’espressione in cui la vita comunitaria si dispiega come succedeva anticamente, soprattutto nel momento in cui i singoli che compongono una comunità si trovano di fronte a qualcosa che in scena mette la loro autocoscienza”, dice Marina Valensise, quando la invito a fare un bilancio della stagione INDA 2020: non sfugge la sottolineatura di quel termine, divertimento, che tanto ha pesato sull’orgoglio degli artisti.

 

 

Come non sfugge il piglio tosto di una donna dalla carriera singolare e importante. Singolare perché divisa tra management e scrittura (saggistica, letteraria, giornalistica). Importante perché è stata capo della Segreteria del Ministero dei Beni Culturali con Alberto Ronchey, poi Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi (con la Francia ha intessuto un rapporto speciale maturato con la cura e la traduzione delle opere dello storico François Furet) prima di approdare all’INDA. Determinata: difficile trovare un aggettivo diverso che la descriva. Sguardo diretto e sorriso aperto. Mi riceve nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Greco, sede dell’Istituto Del Dramma Antico, in una mattina caldissima e per lei impegnatissima. Le chiedo di fare un bilancio della stagione teatrale 2020, terminata domenica con la performance di Mircea Cantor. Ma finiamo anche per parlare d’altro. Anzi mentre parla, mi viene in mente una frase di Oriana Fallaci “Risponderò  in stile minigonna, cioè in modo abbastanza lungo da coprire l’argomento e abbastanza breve da renderlo interessante

Ho trovato un suo articolo molto delicato sul Foglio di qualche anno fa, che lei ha dedicato al nonno. Questo mi porta al valore della memoria e delle radici. Quali sono le sue radici e quanto si sente una donna del sud?

“Io non mi sento, io mi considero una donna del sud. Pur essendo nata a Roma, provengo da una famiglia calabrese e ho vissuto i momenti più belli della mia vita in Calabria, le estati soprattutto. Mi piace definirmi un’italiana meridionale. Il fatto di essere qui a Siracusa alla testa di un Istituto che da cento anni persegue la promozione della tradizione classica, è un’esperienza non solo interessante ma anche gratificante dal punto di vista umano. Per noi meridionali Siracusa è sempre stata la capitale culturale del Sud, la città dove tutto è iniziato. A Siracusa ho trovato l’ospitalità, l’attenzione, l’entusiasmo, la generosità, l’umanità che è il tratto comune di gran parte della società meridionale a dispetto di quello che si dice, si sente dire o si scrive sui giornali. Penso che in questo momento Siracusa stia affrontando una prova difficile e stia dando il meglio di sé, quantomeno è quello che noi, all’INDA, abbiamo cercato di offrire alla città”.

Difficile in che senso?

“Difficile perché è un momento di lutto e per molti di difficoltà economiche. E’ un momento in cui è necessario rafforzare il senso comunitario. E un’esperienza come quella dell’INDA, che mette in scena le rappresentazioni classiche nel teatro più antico dell’Occidente non può che andare in questo senso, cioè di riaffermare il valore del teatro per la vita della comunità.  Proponiamo una dimensione antica, teorizzata da Aristotele e prima di lui dai tragici greci. Anche se quest’anno abbiamo dovuto fare una scelta diversa: abbiamo dovuto rimodulare la stagione, rinviare all’anno prossimo le tre rappresentazioni in programma e inventare una formula ultracontemporanea in cui abbiamo dato spazio ad artisti e attori popolari contemporanei, a testi sul teatro classico o sulla mitologia della tradizione classica riscritti da autori del Novecento, a musicisti contemporanei. Un’edizione minore, in cui non avemmo mai potuto raggiungere a causa del distanziamento i 162mila spettatori della scorsa stagione ma che ci ha premiato e permesso di raggiungere una platea planetaria attraverso lo streaming che è stata la vera innovazione”.

La musica è stata il punto di forza e la vera sorpresa della stagione. Nomi molto importanti, con generi musicali anche sperimentali, hanno dato al pubblico una dimensione diversa di fruizione di questo teatro. Si continuerà ad aprire il teatro greco, al di là delle stagioni teatrali classiche, anche alla musica contemporanea?

“E’ stata una stagione speciale, però l’attenzione per la musica, per la partitura fa parte del DNA del nostro Istituto. Qui sono passati artisti e compositori di altissimo livello anche contemporanea. Per le tragedie hanno composto tra il 1921 e il 1970 artisti come Ghedini, Malipiero, Pizzetti, Mulè. Dunque, l’attenzione alla musica contemporanea c’è sempre stata. Con una formula completamente diversa e visto che non potevamo mettere in scena i drammi nella loro complessità abbiamo scelto quest’anno di privilegiare attori e musicisti contemporanei come Marcotulli, Teardo, GUP Alcaro. Sopra tutti Nicola Piovani che ha riscritto per noi una partitura importante.  La musica ha avuto un ruolo importate anche nella performance di Cantor che ha coinvolto i docenti e gli allievi della nostra accademia: un gesto artistico unico, straordinario, irripetibile che mira a dare un’espressione spirituale all’arte contemporanea in nome dell’antico; e lo abbiamo fatto con questa straordinaria prestazione dei nostri allievi che hanno formato il coro sotto la direzione di Simonetta Cartia e Elena Polic Greco, con le musiche di Simone Caserta per le partiture del coro e con le musiche del maestro alle campane Denis Latisev. Ha notato il gesto di Latisev? Alla fine si è fatto il segno della croce. Da cattolica, è stato il momento, a mio avviso, più sconvolgente e sorprendente”.

C’è in programma di accompagnare la stagione ufficiale con un altro tipo di proposta, alla luce del successo di questa formula?

“Questa è stata una stagione speciale e speriamo irripetibile, perché non vorremmo trovarci ancora nelle con i vincoli del Covid19. La dimensione musicale è costitutiva delle nostre attività, come hanno dimostrato gli attori che formiamo e come dimostra la ricchezza del nostro archivio musicale che verrà rivalutato, riattivato, riconosciuto, diffuso, studiato anche in collaborazione con il Conservatorio Bellini di Catania. Ma è prematuro adesso dire se sarà un cartellone da riproporre e finora resta una programmazione speciale. L’importante è mantenere la missione precipua, e unica al mondo, della Fondazione: mettere in scena drammi della tradizione teatrale classica, greca e latina”.

A proposito dell’Accademia Del Dramma Antico, bella fucina di talenti e creatività. Il futuro dell’ADDA?

“Il futuro di quest’Accademia è promettente. Domenica scorsa i ragazzi hanno dato prova di uno straordinario talento. Abbiamo chiesto a Mircea Cantor di affidarsi ai docenti e il risultato è stato quasi miracoloso. Il che conferma la grande capacità pedagogica dei docenti, la qualità e l’eccellenza della formazione di questa scuola e il potenziale. La nostra intenzione è di promuovere l’Accademia elevando il livello dei corsi al valore di laurea universitaria, cercando di ottenere il riconoscimento da parte dello Stato, affinché l’Accademia diventi una scuola di eccellenza riconosciuta in campo nazionale e internazionale. Vogliamo farne il centro propulsore di una specificità: Accademia che forma artisti che si cimentano con la tradizione classica dentro il teatro greco. Soprattutto, farne un elemento forte di promozione della cultura classica teatrale italiana e di centro del Mediterraneo”.

Valorizzare l’Accademia mantenendo gli stessi docenti o aprendo ad altri innesti?

“Sono questioni aperte che saranno affrontate nei prossimi mesi. Intanto martedì cominciano i corsi e ci saranno i saggi non andati in scena a causa del Covid. Un passo alla volta: definiremo con i nostri interlocutori ministeriali e con le altre scuole quali sono le scelte più idonee per realizzare il nostro progetto, la laurea di primo livello”.

C’è in programma di accompagnare la stagione ufficiale ( nel 2021 sono in programma “Nuvole”, “Ifigenia in Tauride” e “Baccanti”) con un altro tipo di proposta, anche alla luce del successo di questa formula?

“Questa è stata una stagione dagli schemi imprevedibili, perché non vorremmo trovarci ancora nelle con i vincoli del Covid19. La dimensione musicale è costitutiva delle nostre attività, come hanno dimostrato gli attori che formiamo e come dimostra la ricchezza del nostro archivio musicale che verrà rivalutato, riattivato, riconosciuto, diffuso, studiato anche in collaborazione con il Conservatorio Bellini di Catania. Ma è prematuro adesso dire se sarà un cartellone da riproporre: finora “Per voci sole” resta una programmazione speciale. L’importante è mantenere la missione precipua, e unica al mondo, dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico: mettere in scena drammi della tradizione teatrale classica, greca e latina.

Lei appare una donna determinata. Arrivata all’INDA a gennaio, nominata dal ministro Franceschini, ha impresso subito una sua cifra: ottenere risultati concreti e – per così dire-  senza perdersi in chiacchiere. Chi è Marina Valensise? La sua carriera nasce da una sorta di connubio tra la passione per l’arte, e la cultura, e gli incarichi ministeriali. Come riesce a coniugare le due cose che sembrano confliggere?

“Non ho mai fatto esegesi di me stessa. Ma posso dirle che nelle varie fasi e esperienze della mia vita mi sono sempre confrontata con lo stesso problema: cercare di dare un ordine nella realtà, di misurarmi dentro un perimetro possibile.  Nel lavoro culturale valgono gli stessi identici principi di messa in ordine della realtà, dell’attività di management e di gestione. Non so se in questo ci sia un metodo: so che io sono sempre la stessa persona. Pur avendo fatto molti mestieri e avendo avuto molte vite, ho sempre fatto quello che, secondo me, era la cosa giusta da fare: riflettere ponderare, decidere e cercare di trasmettere un messaggio inclusivo che avesse la sua finalità fondamentale nel benessere. Non so se ha letto il mio libro uscito dopo la mia esperienza a Parigi “La cultura è come la marmellata”: lì ho scritto che occorre partire dall’ordinario e arrivare alla straordinario. L’altra mia idea è lasciare una situazione in una maniera migliore di come l’hai trovata”.

E’ questa la sua mission per l’INDA?

“Qui ho trovato una situazione eccellente, con persone di qualità e un Consiglio d’amministrazione di fuoriclasse, personale non solo competente ma pieno di abnegazione e di amore per il teatro. Non ho fatto altro che dare carica a un orologio che si era un po’ allentato. Il nostro è un lavoro di confronto costante e intenso”.

 

All’INDA dopo l’esperienza a Parigi. Lì cosa ha contato?

“Mettere al centro la cultura italiana e promuovere un’idea integrata dell’Italia. Ossia federare grandi scrittori, musicisti, artisti, artigiani, industriali, sperimentatori di altissima qualità. L’Italia è una grande potenza culturale e molto spesso noi italiani non ne siamo consapevoli. Diamo per scontato ciò che all’estero diventa oggetto di una seduzione irresistibile. Nonostante gli infiniti difetti e le manchevolezze nel sistema italiano, le difficoltà e i disagi (non è il mio un elogio a tutto tondo), penso all’Italia come un Paese baciato dalla Storia e dalla cultura. Se solo riuscissimo – ecco perché per me Siracusa è un’esperienza chiave- a essere più consapevoli del nostro patrimonio, da questa miniera d’oro che è l’Italia  potremmo trarre prodotti di alta oreficeria”.

Qui potrebbero entrare in gioco dei finanziamenti privati. Quanto conta il rapporto con il privato, che spesso in Italia è visto con sospetto?

“Importantissimo. Intanto premetto che sono i privati che hanno fatto la cultura. L’iniziativa privata è sempre stata fondamentale. Di più in un momento come questo, quando l’idea dello Stato provvidenza è entrata completamente in crisi, perché le nostre società non sono più in grado di assicurare il tipo di intervento economico possibile negli anni del dopoguerra e fino agli anni ‘60-‘70. E’ il momento di dare ai privati la responsabilità di impegnarsi direttamente in un progetto collettivo. Per esempio, l’INDA non può che ringraziare gli sponsor ma anche i tantissimi mecenati che hanno sottoscritto la nostra campagna di donazioni, anche con piccole somme”.

Passiamo alla scrittura. “La temeraria” è il suo ultimo libro. Prima di leggere la storia mi sono fermata al titolo e ho pensato che Marina Valensise non poteva se non intitolarlo così. Lei è una temeraria?

“Quella di Luciana Frassati Gawronska è la storia di una donna che si è spesa enormemente per aiutare il prossimo, per trovare una sua voce e in una situazione di grande privilegio e difficoltà: umane, materiali, morali. Io non mi considero una temeraria, anzi sono molto prudente e cerco di non fare mai il passo più lungo della gamba.  Mi considero una persona che cerca di dare il meglio di sé. Penso che il nostro compito sia di lasciare una buona testimonianza di noi stessi. Di sicuro mi anima una grande ammirazione per le persone che hanno una visione, l’audacia di cimentarsi, di mettersi in gioco, di rischiare. Rischiare con le proprie idee e sulla propria pelle, scommettere su una visione inedita e magari anche più necessaria di quanto non sarebbe se fosse conosciuta”.

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Daniela Sessa

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