Addio a Nico Naldini, scrittore e poeta (non solo cugino di Pasolini)

Non ha mai mendicato notorietà per questa illustre parentela

Nico Naldini

A differenza dei tanti, pittoreschi e oramai vetusti “ragazzi di vita” o presunti tali che ogni 2 novembre puntualmente si ammassano all’idroscalo di Ostia in cerca d’un microfono, una telecamera o un telefonino per rievocare i loro trascorsi con Pier Paolo Pasolini, Nico Naldini, che del poeta era cugino per parte di madre, non ha mai sentito né il bisogno né l’esigenza di mendicare notorietà per questa sua illustre parentela.    

La bio                                                                          

Nato a Casarsa della Delizia (Pordenone) il 1°marzo 1029 e deceduto a Treviso il 9 settembre 2020, Domenico Naldini detto Nico, prima di diventare sic et simpliciter “il cugino di Pasolini”, ha ricoperto ruoli di primo piano nella cultura e nel cinema italiano. Poeta dialettale sulla scia di Pasolini, negli anni 60 e 70 del secolo scorso lavora come ufficio stampa presso la casa editrice Longanesi e la casa di produzione cinematografica P.E.A. (Produzioni Europee Associate) dell’avvocato Alberto Grimaldi.                                   

Naldini, oltre a curare il “lancio” di due grandi produzioni della P.E.A. come Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci e Il Casanova (1976) di Federico Fellini, firma per la società di Grimaldi il film documentario Fascista (1974), che all’epoca dell’uscita innesca, al pari del coevo Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936 di Renzo De Felice (Einaudi, 1974), un dibattito non banale sul larghissimo consenso goduto dal regime fascista.                                                                                            

Autore di biografie di scrittori (Vita di Giovanni Comisso, Einaudi, 1985, e Il solo fratello. Ritratto di Goffredo Parise, Archinto, 1989) e pittori (De Pisis. Vita solitaria di un poeta pittore, Einaudi, 1990, e Tamellini, 2013), collabora a lungo, sia sotto la direzione di Indro Montanelli che dei suoi successori, con le pagine culturali di “Il Giornale”. All’opera del cugino Pasolini si avvicina, con un pudore invero insolito, qualche anno dopo la morte, prima come curatore di scritti, poesie e lettere, poi come biografo (Pasolini, una vita, Einaudi, 1989 e Tamellini, 2014, e Breve vita di Pasolini, Guanda, 2009 e 2015) e infine come organizzatore di convegni dedicati alla sua arte.                                                                                                                

Non credeva ai complotti sulla fine di PPP

Tra (i pochi) parenti e (i troppi) amici di Pasolini, Naldini è l’unico che, sin da subito, rifiuta le vulgate che vedono nel feroce omicidio dell’intellettuale tenebrosi complotti attribuiti, di volta in volta, a soggetti diversi (i fascisti, Gladio, Eugenio Cefis, la banda della Magliana, eccetera). Nei suoi ricordi un po’ confusi, Pino Pelosi (l’assassino reo confesso di Pasolini) è, o potrebbe essere, una “marchetta” di sua conoscenza presentata al cugino o un’aspirante comparsa “provinata” per Il fiore delle mille e una notte (1974). La ritrovata memoria e i provini fotografici smentiranno ambedue le ipotesi.     

Con la garbata ironia che gli era propria, Naldini ha titolato la sua autobiografia Come non ci si difende dai ricordi (Cargo, 2005). Una filosofia di (lunga) vita più che un titolo.  

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Franco Grattarola 

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