L’intervista. Desiderio: “Il sistema scuola è scappato di mano al governo”

L'emergenza Covid ha peggiorato i drammi dell'istituzione: "I problemi nascono negli anni '70 ma a nessuno è mai importato davvero"

Finalmente riaprono le scuole. Ma non è un giorno di festa. Perché in molte zone d’Italia le classi sono rimaste deserte. Perché le famiglie restano confuse davanti ai calendari di lezioni dal vero e virtuali, perché i docenti si perdono tra test (sanitari…) volontari e obbligatori, perché la confusione sembra regnare sovrana e la situazione sotto il cielo, a dispetto di ciò che poteva pensare il famoso timoniere cinese, non è per nulla eccellente. Ma i mali della scuola italiana sono altrove, l’emergenza non ha fatto che acuirli. Per capire meglio cosa accada all’istruzione italiana, Barbadillo ha intervistato Giancristiano Desiderio. Giornalista, docente, scrittore e studioso di Benedetto Croce, Desiderio ha dedicato molto tempo e impegno alla questione della scuola. L’ultimo, solo in ordine cronologico, è “La Post-Scuola”, edito per la collana Fuori dal Coro de Il Giornale. Prima ancora ha scritto “La scuola è finita”, in cui immagina le linee guida per una profonda revisione del sistema scolastico, e ha curato “La libertà della scuola” dove ha raccolto testi redatti da Luigi Einaudi e Salvatore Valitutti. Inoltre è appassionato cultore del calcio.

 

Oggi riaprono le scuole (non ovunque) in Italia. Tanti selfie e molti bei post sui social ma le polemiche, infuocate da settimane, non accennano a placarsi…

Il problema della scuola italiana non sono i banchi e nemmeno il distanziamento sociale, che è una questione momentanea. Il vero problema con il quale oggi si devono confrontare le famiglie, gli studenti e gli insegnanti è stato creato dallo stesso governo quando ha insistito oltre misura sulla questione della sicurezza creando un mito, quello del “rischio zero”. E oggi è proprio l’esecutivo che deve sbracciarsi a dire che questo mito tale è, dunque non esiste. Ma è stato proprio il governo a crearlo.

 

Che sta accadendo alla scuola italiana?

È piombata in un labirinto da cui non si uscirà fino a che non le si riconoscerà una reale e non astratta autonomia. Ma per farlo bisognerà mettere in discussione tutto l’impianto della scuola, rigidamente statale e ancora legato a strutture napoleoniche. Questo sì che è un problema serio che però viene trattato in maniera superficiale da tutti, compresa la stampa.

 

Perché si parla da anni, e sempre con maggiore insistenza, della scuola come “diplomificio”?

La scuola italiana è diventata un diplomificio perché nasce come un diplomificio. Ossia come una distribuzione di diplomi, di pezzi di carta che, come diceva giustamente Luigi Einaudi, valgono meno dei fogli su cui vengono certificati. La storia della scuola italiana è molto lunga. Su questo aspetto, tutto ruota attorno a quando nasce la scuola di massa negli anni ’70 del ‘900. In appena un anno, il 1969, e con pochi interventi legislativi, viene letteralmente smantellato il sistema precedente, quello della cosiddetta scuola gentiliana, che si basava da una parte sulla funzione dei licei, classico e scientifico e, dall’altra, sulle scuole professionali. Quella riforma, dunque, nacque male e l’unica cosa che restò e resta tuttora in piedi è il valore legale del titolo di studio, dei diplomi che questi istituti distribuiscono affinché gli studenti possano accedere all’Università che, a sua volta, distribuirà altri diplomi, quelli di laurea.  Sia il valore educativo che quello formativo e ancor di più quello culturale è molto basso. In Italia bisognerebbe riportare la scuola…a scuola. A complicare tutto, come è facile rendersi conto sfogliando le cronache, c’è il fatto che il sistema scolastico sia fortemente ministerializzato e attorno al dicastero tutto sta girando in maniera maldestra.

Studenti in classe

Come mai?

Prendiamo il caso dei presidi. Una volta si chiamavano così, oggi invece sono diventati dirigenti scolastici. Si tratta di una figura relativamente giovane che nasce con quella riforma dell’autonomia scolastica voluta dall’allora ministro all’Istruzione Luigi Berlinguer e che rimonta alla fine degli anni ’90. Ma parlare di autonomia scolastica in Italia è difficile: si è trattato più una riforma linguistica che di una vera e propria riforma sostanziale. Tutto si riduce a una relazione tra il potere di dirigenza del preside e la sua assunzione di responsabilità. Tutto qua, e inoltre, per i dirigenti scolastici c’è ben poco da dirigere. Altro non è, nella prassi, che un funzionario di periferia dello stesso ministero attraverso cui il dicastero gestisce la scuola in questione. Ma il punto vero è che le scuole, che non sono autonome, sono cresciute enormemente sul territorio: abbiamo una popolazione scolastica che ammonta a più di otto milioni di studenti, contiamo oltre 40mila istituti e circa 800mila docenti. Come si può capire anche dai numeri, la scuola si è “allargata” e di molto nelle sue dimensioni materiali. Così il ministero non riesce più né ad amministrare e nemmeno a governare il sistema che, dunque, è sfuggito di mano.

 

E con l’emergenza tutto è peggiorato…

Coloro che dovrebbero governare il mondo della scuola, ignorano come quel sistema si sia costruito durante il lungo corso degli anni. E’ come se si trovassero all’interno di un labirinto di cui ignorano l’uscita. Così tutti i problemi insorti col Covid hanno scatenato quella forma di impazzimento del sistema scolastico italiano che ho definito post-scuola.

 

Le scuole private hanno lamentato un certo lassismo, se non una vera e propria ostilità nei loro confronti, da parte del governo…

In Italia non esistono scuole private ma scuole parificate che, come tali, sono istituti che fanno parte, a pieno titolo e secondo le norme di legge in materia, del sistema scolastico nazionale. Il sistema paritario le integra alle scuole gestite direttamente dallo Stato. Pur non essendo gestite direttamente da questo, sono pubbliche a tutti gli effetti e fanno parte, dunque, del sistema nazionale a tutti gli effetti. Se solo non fossero state considerate come scuole di serie B ma come autentiche risorse, forse il Ministero sarebbe riuscito a governare, con maggiore facilità, l’emergenza scolastica durante le fasi dell’epidemia. Purtroppo, per vari motivi (che siano politici, ideologici o “magici” che non conosco e che nemmeno voglio sapere), dal governo hanno fatto la scelta di non avvalersi dell’aiuto delle scuole paritarie. Facendo un autogol. La notizia di oggi è che ci troviamo di fronte a migliaia di studenti e di famiglie a cui non viene garantito il diritto allo studio perché il sistema scolastico italiano è, sostanzialmente, scappato di mano. Non è più governabile. E se la situazione è questa, con una bufera quale è l’emergenza Covid, rifiutare il sostegno del sistema delle paritarie è darsi la zappa sui piedi.

 

Condividiamo la passione per le metafore calcistiche. Se fosse una “sportiva”, a chi potrebbe assomigliare il ministro Azzolina?

Per rimanere in tema di scuola e parlando di pallone, di certo si può dire che il ministro Azzolina non sia una fuoriclasse. A lamentarsi del suo operato c’è l’opposizione, e questo rientra nel gioco delle parti della politica, ma soprattutto di lei si lamenta la stessa maggioranza di governo. Tant’è vero che si parla apertamente di rimpasto e di una sua sostituzione. Francamente, però, non me la sento di buttarle la croce addosso. Perché la scuola italiana viene da decenni in cui non soltanto è stata trascurata ma addirittura ignorata, sia dalla classe politica che dalla stragrande maggioranza della società italiana. Questo mondo interessa poco: gli italiani hanno l’idea della scuola come collocamento e parcheggio dei propri figli. Non le attribuiscono un grande valore. Sbagliamo tutti.

Perché una democrazia quale ancora vuole essere l’Italia non può permettersi di non avere un sistema scolastico moderno. Che punti non alla distribuzione dei pezzi di carta ma che invece abbia l’obiettivo del merito, dell’educazione e della formazione. Che si basi sulla distinzione chiara tra le conoscenze da una parte, e le competenze dell’altra. E checché se ne possa pensare, insegnare e impartire le competenze non è una funzione scolastica. La scuola, per conservare la sua autentica funzione, deve tornare a essere un valore culturale e puntare su educazione e conoscenza. Le competenze riguardano la fase successiva, seppure fondamentale, della formazione degli studenti e, quindi, dei cittadini.

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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