Sansoni (CulturaIdentità): “Diciamo no al Referendum per ridare dignità alla politica”

Le ragioni dell'impegno: "La liquidazione della politica ha reso le istituzioni democratiche fragilissime e sottratto sovranità ai cittadini"

Nei giorni scorsi, in edicola, è uscito il nuovo numero di Cultura Identità. Che, questa volta, ha proposto ai suoi lettori un’importante riflessione sull’imminente referendum istituzionale sul “taglio” dei parlamentari. Il giornale, edito da Edoardo Sylos Labini e diretto da Alessandro Sansoni, s’è schierato senza indugi per il “No”. E proprio al direttore Sansoni, firmatario tra gli altri dell’appello proposto nell’area del centrodestra contro la riforma parlamentare, Barbadillo ha chiesto le ragioni di questo impegno.

 

CulturaIdentità ha assunto una posizione netta sul referendum relativo alla riforma per il taglio dei parlamentari. Quali sono le ragioni di questa scelta?

Siamo stati la prima testata collocata nell’area politico-culturale del centrodestra ad assumere questa posizione con chiarezza: sembrava un tabù e invece nelle ultime settimane molti hanno condiviso questa scelta, perché ne hanno compreso il senso profondo. Forse troppo tardi.

In ogni caso non entro più di tanto nel merito della questione tecnica: i paventati risparmi, il miglioramento del funzionamento delle camere sono baggianate tali da non dover essere nemmeno confutate. Il problema semmai è che non è possibile continuare a riformare la Costituzione cambiandone dei pezzetti: così si crea un pasticcio istituzionale che distrugge l’impalcatura dello Stato. La famosa riforma del Titolo V è lì a dimostrarcelo. Servirebbe una riforma complessiva della Costituzione a mio avviso, ma occorrerebbe affrontare il tema in modo serio convocando un’assemblea costituente… Ma il punto centrale non è nemmeno questo: il taglio dei parlamentari, come ha detto giustamente Angelo Panebianco sul Corriere, è l’ennesimo sfregio alla politica, l’ennesima umiliazione alla quale la si vuole sottoporre. E’ il frutto di una narrazione, quella dell’antipolitica appunto, che proviene da lontano, inizia con Tangentopoli, con la critica ai “politici di professione” degli anni ’90, prosegue con le inchieste a senso unico di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo contro “la casta” e lo smantellamento del “sistema dei partiti” e sfocia nel “populismo nichilista” dei grillini che sta dando il colpo di grazia alla democrazia e al paese. Questo processo di liquidazione della politica ha reso le istituzioni democratiche fragilissime e sottratto sovranità ai cittadini (che la esercitano, infatti, attraverso i propri rappresentanti) e dato il potere reale in mano a soggetti non condizionabili attraverso la partecipazione popolare, ovvero la Finanza, la Magistratura e la Burocrazia. Noi crediamo che sia venuto il momento per la Politica di mostrare uno scatto d’orgoglio e invertire la narrazione imperante.

Da dove può iniziare, la politica, a riprendersi il ruolo che le è proprio?

Innanzitutto essa dovrebbe essere consapevole di se stessa, delle proprie prerogative e di quanto, almeno in teoria, essa sia “la più nobile delle arti”, avendo la pretesa di plasmare la più pregiata tra le “materie” esistenti: l’essere umano. Quindi dovrebbe trovare il coraggio di spiegare ai cittadini come funziona davvero una democrazia, perché i  partiti sono importanti e come il suo presunto “costo” sia un fattore indispensabile al fine di consentire a tutti, e non solo a chi per estrazione familiare e ricchezza privata può permetterselo, di partecipare attivamente alla vita pubblica della Nazione. Ovviamente la politica dovrebbe trovare la forza di rinnovarsi per essere credibile: valorizzare le competenze, abbandonare la logica del “like” a tutti i costi, costruire visioni di lungo periodo e narrazioni ideali convincenti, sottrarsi al dominio delle leadership personali. Un lavoro immenso, molto difficile da realizzarsi in questo momento nel nostro paese.

La sensibilità della destra diffusa ha una tradizione più o meno recente che la colloca sul versante dell’antipolitica, o comunque più vicina al Sì che al No. Concorda? Se sì, come fare per capovolgere la situazione?

Ne siamo sicuri? O il problema è che non si è provato a proporre altro alla “destra diffusa”? Io ho l’impressione che la gente sia propensa a dare credito e fiducia a chi dimostra di avere capacità e competenze politiche (non “tecniche”) come dimostra la riscoperta di figure come quelle di Craxi, Andreotti e altre… E’ un processo di lungo periodo questo è vero, ma il “popolo del centrodestra” capisce istintivamente, e con molto buon senso, che sul taglio dei parlamentari si gioca il futuro di questo governo e la legittimazione dell'”anomalia grillina”.
Come sempre, questo “popolo” avrebbe bisogno di essere stimolato dai suoi “capi” o comunque dai suoi rappresentanti ad ingaggiare questa battaglia. La “destra diffusa” ha bisogno di essere motivata. Purtroppo su questo si è preferito intraprendere la strada più comoda (ma ormai  inattuale, per chi vuole sforzare di leggere certi segnali) e troppo tardi si sta cominciando a raddrizzare la rotta.

Nel nuovo numero di CulturaIdentità si è parlato anche di scuola. Quale è la fotografia di quest’istituzione oggi?

Sul tema scuola l’Italia sta vivendo un autentico psicodramma legato alle riaperture. L’inconsistenza del ministro della Pubblica Istruzione ha aggravato una situazione già confusa. Purtroppo l’evento pandemico ha soltanto fatto esplodere le criticità già ampiamente presenti nel sistema, senza però rendere pienamente coscienti gli italiani e chi li governa dell’importanza di questa istituzione. Solo con il trascorrere dei mesi con le scuole perennemente chiuse, a differenza degli altri paesi europei, la centralità sociale della scuola sta diventando
evidente. Purtroppo la scuola italiana paga la totale assenza di un’idea forte sia dal punto di vista didattico-pedagogico sia sotto il profilo della funzione sociale che deve andare ad assolvere, che la rende preda di mille, contrastanti, interessi corporativi.

Da cosa deve ripartire la scuola italiana?

Essa deve tornare ad essere il motore spirituale della Nazione, il luogo in cui gli italiani insegnano, imparano ed elaborano la propria identità. Se tutto si riduce alla “formazione in funzione del lavoro futuro” e al “parcheggio” dove i genitori lasciano i propri figli la mattina per essere liberi di andare in ufficio, allora l’istituzione scolastica non ha futuro ed è meglio chiuderla. Il problema materiale (stipendi più alti, strutture immobiliari adeguate ecc) viene un minuto dopo e sarà risolto con la dis-umanizzante, per dirla con Gianni Vattimo, digitalizzazione distanziante della didattica “da remoto”.

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

Exit mobile version