Tra Referendum e Regionali i veri sconfitti sono i partiti (tutti)

L'analisi di Giuseppe Del Ninno: la vittoria degli "invisi" alle gerarchie e la sfilza clamorosa di errori messi insieme dal centrodestra,

L’esito del referendum per la riduzione dei parlamentari e delle elezioni regionali ci ha confermato che siamo il paese dei paradossi e delle contraddizioni. Dai nostri mugugni, sembra che ci sia un diffuso desiderio di cambiamento, poi si va a votare e gli spostamenti sono minimi e comunque tali da non comportare alcun mutamento. Prendiamo il referendum: il 97% dei parlamentari si è espresso per il taglio di 345 rappresentanti del popolo; ebbene, il 30% di questo popolo ha invece manifestato il proprio disaccordo con i suoi pretesi rappresentanti.

 

Questo aspetto non è stato l’unico a denotare la (inarrestabile?) decadenza dei partiti e il loro arroccarsi in una torre d’avorio lontana dalla realtà: De Luca ed Emiliano, trionfatori nelle regioni che già governavano, sono notoriamente invisi alle gerarchie del PD, e quanto a Zaia – altro trionfatore, stavolta in casa Lega – lui stesso ha ribadito che non intende spendere questo suo successo in campo nazionale. E poi c’è sempre quel 35/40% di astenuti, molti dei quali nauseati dalla politica dei partiti.

 

Dal voto, si è detto, è uscito rafforzato il governo, ma ricordiamo che, per una volta, i sondaggi lo avevano previsto: ben prima delle consultazioni, aldilà delle beghe e delle illusioni – vere o solo conclamate – interne ai partiti, l’indice di gradimento del presidente Conte era già altissimo. Complici e forse determinanti, la pandemia e il burrascoso orizzonte economico: in tempi di tempesta, meglio star fermi e stringersi intorno a chi, bene o male, ha il compito di proteggerci. Del resto, questo fenomeno si era già visto in Europa, in quella Unione che tutti dicono di voler cambiare, ma che ha fatto tremar le vene e i polsi a quanti, nel chiuso delle cabine elettorali, da Bruxelles a Varsavia, da Vienna a Roma, da Parigi a Francoforte, da Madrid ad Amsterdam ad Atene, hanno rinunciato alle velleità sovraniste e populiste, per confermare l’establishment di sempre.

 

Alla radice delle rivoluzioni sta spesso la disperazione, e nel nostro continente, malgrado le crisi, si sta ancora troppo bene per scendere in piazza o anche soltanto per votare i sedicenti alfieri del cambiamento. Insomma, la vischiosità – caratteristica peculiare dell’elettorato italiano, appena scosso dalla ventata pentastellata – va di pari passo con la paura, specie quando la pancia è piena. Se poi c’è da dare uno schiaffo ai politicanti – la “casta” che, unica, si sottopone a periodici esami – tanto meglio, e questa è la spiegazione di quel 70% che ha confermato il taglio dei parlamentari.

 

E l’opposizione? Qui interessa poco sapere se abbia vinto, perso o pareggiato. Sta di fatto che, dopo la vittoria mutilata delle europee, è riuscita solo a conseguire successi marginali seppur significativi (l’Umbria e le Marche), fallendo gli assedi contro le roccaforti nemiche più agguerrite. E sono patetici i tentativi di ottenere elezioni anticipate, con la pretesa delegittimazione dell’attuale parlamento: a parte il fatto che non c’è una legge elettorale utilizzabile e quella in cantiere porta il segno nefasto del proporzionale (oltretutto con il rafforzamento dei partiti – come abbiamo visto, loro sì delegittimati – e del loro consolidato potere di scelta dei candidati), era stato ben chiarito che l’eventuale taglio avrebbe riguardato il nuovo parlamento. E con l’imminente pioggia di denari dall’Unione Europea la prossima elezione del nuovo Capo dello Stato, figuriamoci se tutto l’establishment politico e istituzionale vuol rischiare di dare il pallino all’avversario (a proposito, ancora patetiche le invocazioni per essere ascoltati in materia di programmi per la spesa del “recovery fund” et similia: invocazioni che, se accolte, andrebbero comunque a merito della maggioranza di governo e, se respinte, confermerebbero l’impotenza delle opposizioni).

 

Insomma, per il centrodestra, si annuncia una vera e propria traversata del deserto. D’altronde, quando si commettono errori in serie (vedi la scelta di candidati come la Borgonzoni, Caldoro e Fitto, ma anche, alla luce dei fatti, l’uscita dal governo gialloblù e forse anche la mancata votazione per la Von der Leyen), non si può pensare di vincere sul serio. A meno che non abbia giocato, anche in questo campo, la paura: paura di misurarsi con una congiuntura difficilissima, che però si ripresenterà a breve, ad esempio con le candidatura da opporre alla Raggi, a Roma. Paura di vincere, perché poi devi dimostrare, più degli altri, non solo di saper governare, ma di saper tenere a bada i cosiddetti “poteri forti”, tutti contrari al centrodestra, dall’Europa alla magistratura, dalla finanza internazionale ai mass media, dai sindacati alla burocrazia. Ma, parafrasando Machiavelli, con la paura non si reggono li Stati.

 

 

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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