“Il teatro al tempo della peste. Modelli di rinascita” di Oliva e l’eclissi culturale italiana

Un intervento del saggista Oliva sull'abbandono del mondo della cultura da parte del governo

Alberto Oliva

Arriva in questi giorni in libreria Il teatro al tempo della peste. Modelli di rinascita, di Alberto Oliva (pp. 224, Jaca Book, euro 18), regista teatrale. Il libro affronta il tema da una prospettiva storica, che sfocia nella cronaca, per valorizzare il passato come strumento per affrontare il presente. Pubblichiamo di seguito un suo intervento scritto per barbadillo.it sul ruolo subordinato che la cultura ha per il governo italiano, a differenza quello francese e quello tedesco.  

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Assembramenti vietati, teatri chiusi e tutti a casa. I primi mesi del 2020 hanno sconvolto il mondo e in particolare hanno fermato spettacoli artisti tra la fine di febbraio in Lombardia e la metà di marzo 2020 in tutta Italia e, a ruota, quasi ovunque, nasce dal fatto che i teatri d’Occidente non erano stati chiusi a memoria d’uomo, che è corta: un secolo al massimo, mentre la storia del teatro millenaria, attraversa epoche in cui le epidemie colpivano con più spesso e incontravano popoli più preparati – dal punto di vista psicologico – a periodi di quarantena. Non sempre e non ovunque la scelta è stata serrare i teatri. Ma tutte le epidemie hanno sconvolto il mondo che hanno trovato.

“Che cosa credete che sia un artista? Un imbecille che ha solo occhi se è pittore, solo orecchie se è musicista e se poeta una lira a tutti i piani del suo cuore? Al contrario, egli è nello stesso tempo un essere politico, costantemente vigile davanti ai laceranti, ardenti o dolci accadimenti del mondo, modellandosi completamente alla loro immagine. Come sarebbe possibile disinteressarsi degli altri uomini? E in virtù di quale eburnea indifferenza ci si distaccherebbe da una vita che gli stessi uomini donano così generosamente? No, l’arte non è fatta per decorare gli appartamenti, è uno strumento di guerra offensivo e difensivo contro il nemico”. Parole di Pablo Picasso, pittore ma anche scenografo, costumista, scultore e visionario.

Nella conferenza stampa del 13 maggio 2020 il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato il Maxi piano rilancio, quindi liquidità anche per la cultura in quantità senza precedenti. Così Conte quella sera: “La cultura: non dimentichiamo neppure questo settore. Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare”. A stonare è il “neppure”, con cui si sottintende che vale la pena di aiutare la cultura solo dopo che si siano aiutati gli altri settori. Che ciò sia detto in Italia dovrebbe indignare, se non fosse che da troppo tempo l’Italia ha smesso di considerare i suoi Beni Culturali – e quelli “dal vivo” in particolare – come punte di diamante della sua industria e della sua attrattività. Ciò che rivelano le parole di Giuseppe Conte è la considerazione puramente accessoria e ludica riservata agli “artisti”.

Vale la pena confrontare le parole di Conte con quelle dei suoi omologhi in Germania e Francia. La cancelliera tedesca Angela Merkel, nel videomessaggio di sabato 9 maggio 2020, si è espressa così: “Gli eventi culturali hanno importanza massima per la nostra vita. Questo vale anche per questo periodo di pandemia da coronavirus. E forse è solo in questo momento che ci rendiamo conto di cosa ci manca. Perché nell’interazione degli artisti con il loro pubblico si aprono prospettive completamente nuove per guardare alla nostra vita”. Date queste premesse, che l’hanno spinta a usare due volte in poche righe la parola “vita” associata all’arte, la Cancelliera ha potuto concludere affermando che il sostegno alla Cultura è “una priorità assoluta per il governo tedesco”.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha presentato in prima persona un piano per la cultura, che segnava il ritorno in forza dello Stato in un settore economico considerato cruciale. Il motto da cui è partito è stato “cavalcare e addomesticare la tigre, dando prova di buon senso e di creatività”, mettendo l’accento sulla necessità di pensare in modo diverso, con idee innovative e libere: “L’idea di fondo non è un piano che mettiamo sul tavolo, ma un’idea molto concreta di consolidare quello che è formidabile e già dà prova di energia, di reinventare le cose che non funzionavano più, di inventarne delle nuove. Si tratta di arrivare ad una vera rifondazione dell’ambizione culturale per il Paese. […] Inventare, migliorare ancora questa capacità a riflettere, a far vivere la cultura nella nostra nazione. […] Dobbiamo incoraggiare, rafforzare e rilanciare le nostre co-produzioni europee. Abbiamo bisogno di un’Europa della cultura ancora più forte. Abbiamo bisogno di difendere la creatività europea. In questa fase ci saranno grandi predatori cinesi, americani, altri modelli e altre sensibilità4.

Fondamentale l’idea che questo sia il momento per “reinventare le cose che non funzionavano più, di inventarne delle nuove, con l’obiettivo di mettere in atto “una vera rifondazione dell’ambizione culturale”. A parole Macron ha mostrato una visione di ben più lungo respiro dell’assistenzialismo italiano. La proposta di trasformare la crisi in occasione di profondo ripensamento dell’intero settore è potente e responsabilizzante, perché chiama gli addetti ai lavori a rivoluzionare il settore dall’interno, potendosi avvalere di nuovi fondi speciali. 

Nel coro di voci autorevoli si è inserito perfino Papa Francesco che, nella messa del 26 aprile, ha voluto rivolgere il suo pensiero agli artisti: “Preghiamo oggi per gli artisti, che hanno questa capacità di creatività molto grande e, per mezzo della strada della bellezza, ci indicano la strada da seguire. Che il Signore dia a tutti noi la grazia della creatività in questo momento. Ha poi rilanciato ancora chiedendo “al Signore che li benedica perché gli artisti ci fanno capire cosa è la bellezza, e senza il bello il Vangelo non si può capire”.

Queste voci del presente compongono un coro non sempre intonato, da cui emerge la consapevolezza che nel tempo il senso del teatro si è profondamente trasformato, con differenze anche significative tra un Paese e l’altro. Il libro di Alberto Oliva affronta il tema da una prospettiva storica che non tarda a sfociare nella cronaca, proprio per cercare di valorizzare il passato come strumento efficace per affrontare il presente. La cultura, dunque, come progetto, visione, bellezza e forma. Attraverso esempi tratti dal passato, che fanno scoprire aneddoti e curiosità illuminanti sui grandi personaggi della storia e su come nel passato si affrontavano e superavano crisi simili alla nostra. 

 

Alberto Oliva

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