Cinema (di P. Isotta). Alberto Sordi, la tragedia dentro una risata

Grande fustigatore dei vizi eterni degli italiani, per comprendere la sua figura non basta (solo) rivedere i suoi film

Alberto Sordi

L’Alberto Sordi uomo era, in fondo, un buono. Spendeva poco. “Che compro a fà, se ho già tutto?” Come vuoi contraddirgli? A parte le case fuori Roma, che progressivamente smise di frequentare, c’era la sua principesca, ma non volgare nel lusso, quella di via Druso. Ammetteva pochi ospiti perché, questo sì, era diffidente. Ma oggi è una Fondazione, e persino aperta al pubblico, nel centenario della sua nascita. Un libro, con pregevoli contributi e una silloge di ottime fotografie, celebra questo evento: Alberto Sordi. 1920-2020, a cura di Alessandro Nicosia, con Vincenzo Mollica e Gloria Satta, Milano, Skira, pp. 255, euro 35. La sua avarizia era proverbiale, ma pur essa una leggenda. Certo, amministrava oculatamente il suo. Ma compiva cospicui atti di generosità verso i bisognosi, oggi lo sappiamo per certo, in forma rigorosamente anonima.

Tanti personaggi creati da Sordi sono invece improntati a falsità, doppiezza e soprattutto vigliaccheria. Si veda Totò e i re di Roma, la sola volta che i due si siano affiancati. Sordi è insuperabile nel servilismo verso il potente e nella perfidia verso un povero disgraziato, Ercole Pappalardo, Totò. Questi dipende da trent’anni dal Ministero in qualità di archivista capo, e i superiori gli fanno sapere che se non conseguirà almeno la licenza elementare perderà il posto. In commissione Sordi, leccaculo del Direttore Generale, lo manda facilmente a gambe all’aria; al povero bocciato e licenziato non resta che il suicidio. Questo film ha per registi Monicelli e Steno. In tanti altri films Sordi è implacabile nello svelare quale possa essere la cattiveria dei poveri.

Povero, anzi poverissimo, era stato egli stesso agli esordî, come documenta il meraviglioso Polvere di stelle. È uno dei pochi films ben riusciti girati sotto la sua regia. Diffidente, ripeto, per natura, possedeva il complesso che i registi lo prevaricassero. Così tanti films mediocri, specie negli ultimi anni. Come paragonarli ai capolavori assoluti girati sotto Risi e Monicelli? Basterebbero i tre episodî de I nuovi mostri, sapientemente diversi a mostrare la latitudine delle espressioni del nostro genio, a garantirne l’immortalità.

Quanto fosse povero, al punto che la sussistenza quotidiana si limitava a un cappuccino e una brioche – e doveva lavorare come un negro, i tempi del cinema non erano ancor giunti – lo documenta un altro ottimo libro or uscito, Alberto Sordi, di Alberto Anile (Centro Sperimentale di Cinematografia, Edizioni Sabinae, pp. 303, euro 30). Anile, catanese di origine, è uno dei nostri migliori storici del cinema: in particolare gli si deve una serie di volumi su Totò, dei quali due corposissimi, che si situano fra i migliori della bibliografia sul Sommo. Questo libro, ricchissimo di documenti, oltre che d’immagini ben selezionate, è una sorta di biografia scientifica di Albertone che sfata tutte le leggende e aggiunge notizie sconosciute e dimenticate; ed è una preziosa silloge d’immagini. Irresistibile il racconto degli scherzi, anche crudeli, da Alberto sugli amici esercitati. L’Autore, peraltro, non rinuncia affatto alla sua funzione critico-estetica: e dà un giudizio equanime, talvolta giustamente severo, di uno dei più grandi attori del secolo. In lui, a grado che gli anni passavano, si faceva strada subdolamente quell’ipocondria propria di tutti gli attori comici; fino a quella degli ultimi anni, presente la malattia.

Ché poi, Sordi solo attore comico non era per nulla. Il film che gli aprì la strada del successo, dopo Lo sceicco bianco, pure di Fellini, che andò malissimo, I vitelloni, manifesta di lui un vero personaggio tragico, un giovane votato irrimediabilmente al fallimento. Così Una vita difficile, di Risi, nel quale da ridere c’è ben poco. Anche Il vedovo, sempre di Risi, fa ridere: ma è un riso amaro, anche qui presentandosi la tragedia del fallimento di un uomo che, umiliato, vorrebbe ma non può: finché il destino glielo certifica nel modo più aperto. (Che dire poi, in questo capolavoro, dell’interpretazione di Franca Valeri?). E Un borghese piccolo piccolo, di Monicelli? Nella prima parte, quella dedicata alla vita quotidiana di un Ministero, si ride a nostro malgrado, tanto meschino e squallido è l’ambiente. Nella seconda il film acquista una tensione tragica, incentrata sull’insondabilità dell’interrogativo metafisico sul Male, e tutto parte dall’interpretazione di Albertone, non più tale, quasi irriconoscibile quale uomo distrutto che diviene.

“Che c’entra, Charlie Chaplin è stato un grandissimo attore, ma Totò era un genio!”. Basterebbe questa frase rubata a un’intervista televisiva per capire l’intelligenza e il livello artistico di questo grande artista. Quando morì, nel 2003, per due giorni una folla immensa sfilò nella sua camera ardente; e alle sue esequie parteciparono 250.000 persone, quasi quanto a quelle napoletane di Totò. E non parliamo di altre tragedie, come La grande guerra di Monicelli e Detenuto in attesa di giudizio, di Loy. A bilanciare tanto orrore, c’è il Nando Moriconi de Un americano a Roma, di Stenio, dove si ride tanto che dobbiamo essergli grati come lo si è verso un Santo.

Sordi non è stato solo uno dei più grandi attori. È un fustigatore di quel che noi Italiani siamo nel peggio; del meglio, pare che vogliamo dimenticarci. Per questo non dobbiamo limitarci a vedere e rivedere i suoi films, ma anche a leggere i libri buoni a lui dedicati.

www.paoloisotta.it

*Da Libero del 15.10.2020

Paolo Isotta*

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