Il pensiero controrivoluzionario da De Maistre a Gómez Dávila

Intervista a Diego Panetta, autore del saggio “Il pensiero controrivoluzionario. Onore, fedeltà e bellezza al servizio di Dio” (Historica Edizioni)

Nicolas Gomez Davila

Ad agosto 2020 è uscito in libreria il libro: “Il pensiero controrivoluzionario. Onore, fedeltà e bellezza al servizio di Dio” (Historica Edizioni), scritto da Diego Benedetto Panetta, con la prefazione a cura del prof. Giovanni Turco (Università di Udine). Abbiamo deciso di intervistarlo, ritenendo interessante il punto di vista dell’autore su di un tema inedito come quello affrontato nel suo saggio.

Cosa l’ha spinta a scrivere nel 2020 un libro sul pensiero contro-rivoluzionario?

“Innanzitutto ringrazio voi de Il Maccabeo per aver deciso di farmi questa intervista e Barbadillo per lo spazio concessoci. Per venire alla vostra domanda: mi ha spinto innanzitutto il “vuoto” editoriale che in Italia (ed anche oltre confine, a dir la verità) vi è su tale filone di pensiero. Non vi è un’opera che trattasse del pensiero controrivoluzionario o, almeno, tentasse di farlo in maniera quanto più organica (con i limiti che contraddistingue ogni persona intellettualmente onesta) partendo da alcuni degli autori più rappresentativi della stessa scuola. Nel mio libro dò voce a nove personalità (Edmund Burke, Joseph De Maistre, Antonio Capece Minutolo, Monaldo Leopardi, Donoso Cortés, Gustave Thibon, Francisco Elías de Tejada, Plinio Corrêa de Oliveira e Nicolás Gómez Dávila) che attraversano due secoli di storia. Due di loro non sono definibili come contro-rivoluzionari (Edmund Burke, Nicolás Gómez Dávila) ma li reputo comunque importanti poiché essi hanno avuto un certo ruolo di cui nel libro fornisco la spiegazione. A mo’ di appendice finale, infine, vi è un capitoletto inerente “Le Rivelazioni private e i loro risvolti sociali”.

Ho trattato tale tematica soprattutto perché vi è un’assoluta necessità di porsi alcune domande in merito alla traiettoria che da almeno due secoli ha preso l’occidente. La morte di Dio, il superamento della trascendenza come dimensione prospettica che appartiene all’uomo intrinsecamente e metafisicamente, ha marchiato a fuoco l’intera esperienza umana e la proiezione che tale esperienza offre alla corretta visione della politica, dell’etica e del diritto. 

L’obnubilamento della realtà è ciò che caratterizza, in estrema sintesi, la modernità (assiologicamente intesa) e che costituisce il dato metafisico più tragico e allarmante. La realtà, che esige un riconoscimento ontologico e teleologico (sulla scorta di ciò che era patrimonio comune già nella classicità: Platone ed Aristotele), è divenuta un mero “prodotto” umano. 

Di rimando, la politica è divenuta “mero esercizio del potere”, il quale per affermarsi non necessita che di “imporsi”, ovvero di rendere effettiva la propria volontà. La politica, al contrario, è qualcosa che va ben oltre l’esercizio del potere. Il fine della politica lo possiamo apprendere dalla concezione classica, leggendo l’Etica Nicomachea e la Politica di Aristotele, per esempio. La politica si definisce a partire dal suo oggetto: la cura del bene comune. Per bene comune non si intende semplicisticamente la riduzione della disparità sociale e la promozione del benessere materiale. La “vita buona” (eu zen) a cui fa riferimento Aristotele è lo sviluppo di ciò che l’uomo naturalmente, costitutivamente, intrinsecamente è. Essendo egli un “animale razionale”, la “bontà” della sua persona si attuerà nella misura in cui perseguirà la perfezione inscritta nella propria natura razionale: ecco allora che la “vita buona” si apre ad una prospettiva che abbraccia l’etica saldamente. Nella stessa razionalità, dunque, sono indicati i criteri secondo i quali deve essere ordinata la comunità politica. 

Il diritto segue la medesima impostazione errata che la modernità le ha impresso: una legge sarà giusta non perché conforme all’ordine e al diritto naturale ricavabile dall’esperienza, ma perché esiste, perché “legale”, perché “effettiva” (promanante dalla volontà del legislatore), essendo quindi del tutto indifferente al contenuto del provvedimento stesso. La legge, d’altra parte, è figlia di un ordinamento che si proclama neutrale dinanzi a qualsivoglia valore.

L’etica, infine, quando non è ostracizzata e messa al bando, viene in ultimo a dipendere dal costume. Oggi, per esempio, l’autenticità è ritenuta uno dei valori, se non “il valore” più importante. Ne deriva che è considerato “morale” ciò che è autentico. A sua volta, è autentico ciò che è istintivo, cioè qualsiasi aspetto che non è mediato da una problematizzazione alle sue spalle, che richiede l’esercizio dell’intelligenza. La spontaneità dunque è il criterio per essere “morali”, stante l’odierno antropocentrismo. È il costume dunque a fondare l’etica”.

Quale ritiene essere la scuola contro-rivoluzionaria che ha, attualmente, conservato una forza tale da renderla in grado di sfidare la modernità?

Oggi il pensiero contro-rivoluzionario continua a vivere, in modo particolare, nel mondo ispanico, e questo non è certamente un caso. Esso vive grazie al lascito intellettuale e morale di due pensatori, di due professori universitari che considero i più importanti, e cioè: Plinio Corrêa de Oliveira e Francisco Elías de Tejada.

 In Brasile, il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, grazie alla pubblicazione della sua opera magistrale Rivoluzione e Contro-Rivoluzione nel 1959, impresse un forte slancio alla scuola contro-rivoluzionaria, fondando una rete internazionale di associazioni: le TFP (Tradizione, Famiglia, Proprietà), ispirate alla sua opera. 

Nel libro citato, il prof. Plinio riattualizza questo filone di pensiero, diffondendolo ed esportandolo in tutto il mondo. Egli mostra l’evoluzione del processo rivoluzionario (la quarta rivoluzione del 1968) e ne svela l’offensiva nel campo delle tendenze: contributo, quest’ultimo, importantissimo. La Rivoluzione pervade ambienti, stili, simbologie, persino posture. Nel XX e nel XXI secolo il campo di battaglia della Contro-Rivoluzione non può che passare anche dai simboli, dalla bellezza, dallo “stile”, immediatamente percepibile all’uomo contemporaneo.

Il contributo e l’attualità del pensatore brasiliano, forse non ancora del tutto esplorato, attiene dunque anche al campo epistemico. L’uomo è un “animale simbolico” disse Ernst Cassirer, Plinio Corrêa de Oliveira ce lo dimostra chiaramente nella rubrica: Ambienti, Costumi e Civiltà da lui curata, sulla rivista Catolicismo. La bellezza sprigionante dai simboli o dal creato, infine, apre alla “contemplazione sacrale dell’universo”, adatta a tutti, in particolar modo a chi ha una vocazione laicale. Quest’ultimo punto mostra il lascito pliniano anche dal punto di vista spirituale, avendo egli fondato una vera e propria scuola in tal senso. Infine, come non ricordare l’appello accorato che lui rivolge alla nobiltà affinché si reimpossessi del proprio ruolo, riscoprendone l’intima natura ministeriale, in difesa e al servizio della Chiesa, della società e dei poveri. Questa deve educare con il proprio stile e con l’esempio, al fine di far rinascere delle élite, le quali – seppur non titolate – si pongano alla testa della società con i medesimi doveri sociali.

Se in Brasile Plinio Corrêa de Oliveira fondò un’associazione dal nulla, diverso è il caso delle Spagne. Qui, il professor Francisco Elías de Tejada, filosofo della politica e del diritto, diede un contributo inestimabile alla conoscenza della identità ispanica e del movimento che ne raccolse l’eredita sin dal secolo XIX: il Carlismo. Quest’ultimo si contraddistingue per essere, nello stesso tempo: una bandiera dinastica (quella legittimista), una continuità storica (quella delle Spagne), una dottrina giuridico-politica (quella tradizionalista).

Francisco Elías de Tejada ha dedicato la propria vita a riscoprire e a far rifluire nella società moderna, per mezzo del suo amore per le Spagne (di cui fa parte integrale Napoli, terra dei suoi avi), la dottrina carlista, la quale pone in Dio il centro dell’essere e dell’agire. Il Carlismo esprime un unicum nel nostro tempo, poiché è da considerarsi l’ultima “comunione” contro-rivoluzionaria mai eclissatasi nei secoli, con un corpus dottrinale scevro da alcune limiti che il pensiero controrivoluzionario di area francese, per esempio, dimostrò di avere. Alla passione, infatti, Elias de Tejada affiancò la propria competenza di studioso e accademico, mostrando in campo giuridico e politico l’origine di errori tipicamente moderni quali l’assolutismo, il positivismo giuridico, il nazionalismo, il totalitarismo…”-

Quanti e quali spazi contro-rivoluzionari ritiene siano possibili in Italia?

“La situazione non è particolarmente agevole, proprio perché l’ottica odierna favorisce l’immediatezza alla complessità. Tuttavia ritengo che la sete di Assoluto vi sia, come vi è l’interesse di venire a capo di alcune anomalie che la modernità e la post-modernità hanno come tratto saliente. Questo è un aspetto da non sottovalutare ed è uno spazio su cui investire. Oggi si registra un benessere diffuso soltanto apparente: la logica del consumismo, e la civiltà dell’immagine che le fa da sfondo, ha lacerato economie, distrutto legami, ri-mappato abitudini e desideri di generazioni di persone. Individualismo, costante insoddisfazione e stati depressivi latenti sono la cifra costante della società odierna. La cura della persona è assegnata allo psicofarmaco, simbolo di un’epoca che si è illusa di crocifiggere il dolore, scegliendo la morte, giacché ha perso la dimensione “redentiva” del sacrificio e della sofferenza accettata virilmente e serenamente. Come dicevo poc’anzi, credo che la cura più adatta sia un “ritorno al reale”, come diceva Gustave Thibon. È da uno sguardo che si diriga a chi è al proprio fianco (famiglia), alle bellezze che circondano la vita dell’uomo (animali e natura) che l’essere umano è portato inevitabilmente a dirigere la propria testa in alto e ad offrire un grazie. È dal riconoscimento di un debito che nasce un contro-rivoluzionario, o meglio, un cattolico”.

Rifacendoci alla domanda precedente, ritiene utile e fattibile la costruzione di una rete tra differenti personalità e realtà contro-rivoluzionarie?

Sicuramente è utile e auspicabile. Oggi in Italia e all’estero operano alcune personalità, quasi tutte provenienti dall’ambiente universitario, che conducono ricerche e portano avanti tematiche sia in campo storico-filosofico che filosofico-giuridico, di impronta “realista”, che è ciò che connota – prima ancora che il pensiero contro-rivoluzionario – l’approccio razionale (classico) e cattolico autentico. È assai carente in Italia il livello militante e quello intermedio, quello cioè che si pone a metà strada fra i due livelli (accademico e militante) e tenta di far circolare e sviluppare tesi, pensieri in modo da permettere una diffusione quanto più efficace di tali tematiche. A tal proposito, la nascita della vostra piccola ma orgogliosa comunità de Il Maccabeo costituisce sicuramente una lodevolissima iniziativa. Nel vostro blog trovano spazio analisi storico-filosofiche attente e puntuali, adatte alla divulgazione e all’approfondimento”. 

Quale autore tra quelli presentati nel saggio ritiene più vicino alla sua personale sensibilità?

“È una domanda a cui è difficile rispondere. Ho tentato nelle pagine del libro di scegliere alcune tra le personalità più rappresentative di questa scuola di pensiero. Tutti loro – ciascuno nella propria specificità – hanno dato qualcosa a questo filone intellettuale. Credo che le figure che ho presentato prima, cioè quelle di Plinio Corrêa de Oliveira e di Francisco Elías de Tejada siano tra le più ricche ed attuali. Non vanno sottovalutati, d’altra parte, pensatori come Monaldo Leopardi e Gustave Thibon”. (da Il Maccabeo blog controrivoluzionario)

@barbadilloit

Francesco Di Ciano e Manuel Berardinucci

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