Enrico Nistri: “L’Italia non si salva mettendo gli anziani agli arresti domiciliari”

Il dialogo con lo scrittore fiorentino autore del recente "L'anno del pipistrello" (Pagliai)

L’anno del pipistrello, il diario della pandemia di Enrico Nistri

Prof. Enrico Nistri, dopo il primo lockdown, siamo alle prese con la seconda ondata. Nonostante i protocolli per operare in sicurezza, si chiudono scuole e attività. Chi doveva evitare questo blocco?

“L’aumento dei contagi c’è, anche se andrebbe comunque verificato con criteri più rigorosi…”.

Non sarà mica un negazionista?

“Detesto questo termine, uno dei tanti con cui la sinistra ha vinto da mezzo secolo a questa parte la battaglia delle parole, circondando di un alone sulfureo chi osa mettere in discussione i suoi dogmi. Voglio soltanto vederci chiaro. Questo sparare sui titoli dei quotidiani, sugli “strilli” dei Tg, cifre allarmanti, mi lascia perplesso. Si rischia di creare un allarmismo che intasa i pronto soccorso e peggiora la situazione invece di migliorarla. Tanto per fare un esempio, secondo me non andrebbe dichiarato il numero lordo, ma la percentuale di positivi al virus fra quanti sono stati sottoposti a tampone; in questo modo ci si potrebbe fare un’idea più chiara. Ovviamente, bisognerebbe anche sapere con quali criteri sono stati effettuati i tamponi, se tra fasce a rischio o più o meno casualmente. Sarei anche curioso di sapere, a fine anno, se la cifra globale dei deceduti in Italia è stata superiore a quella del 2019, e di quanto. Oltre tutto, i pareri dei medici e degli scienziati non sono univoci e poco sappiamo di questo virus venuto dall’Oriente che sta destabilizzando l’Occidente, delle sue evoluzioni, della sua pericolosità attenuata o accresciuta, della effettiva possibilità di realizzare un vaccino efficace e duraturo, visto che persone che hanno avuto il Covid si sono riammalate dopo pochi mesi. Non nascondo, inoltre, la mia paura che la pandemia costituisca l’occasione per allargare anche nella sfera della salute il controllo dei pubblici poteri sulla vita privata delle persone, con tecniche sottili e nemmeno tanto. Le proposte di consegnare in casa le persone che hanno superato una soglia d’età (ma quale? Per tutti noi gli anziani sono “gli altri”) e non sono per questo utili al ciclo produttivo mi lasciano agghiacciato.

Comunque seri motivi d’allarme ci sono: sarebbe inutile negarlo. Non sono un don Ferrante, né un epigono di quel personaggio della pochade francese Knock o il trionfo della medicina che dichiarava: “Crederò ai virus solo quando li avrò visti a occhio nudo”. Però dai virologi aspetterei risposte chiare, non baruffe chiozzotte televisive cui ci hanno abituato da mesi”.

Ma, tornando alla recrudescenza dei contagi, secondo lei la colpa di chi è?

“L’aumento dei positivi è in parte conseguenza della incapacità del governo a fare rispettare, dopo il periodo di confinamento, le misure di prevenzione e distanziamento, in parte di una storica riluttanza degli italiani a obbedire alle leggi. Si è passati dal “tutti a casa”, con la Polizia che multava anche la vecchietta che prendeva il sole isolata su una panchina e i parchi e le spiagge chiusi, a un eccesso di lassismo. Basti pensare alla movida incontrollata nelle piazze estive, alle distanze fra i tavoli dei ristoranti che si accorciavano col passare dei giorni, per tacere dell’impunità di fatto per i migranti che evadevano dall’obbligo della quarantena, o dei vucumprà che stendevano se stessi e le loro mercanzie sotto gli ombrelloni “sanificati” ogni mattina dai bagnini, senza che nessuno osasse cacciarli per timore di passare per razzista. È vero, il sole è un grande “sanificatore”, ma è meglio non approfittarne troppo. Oggi baristi e ristoratori piangono miseria e chiedono sussidi, o meglio ristori, dal governo, ma molti di loro dovrebbero fare un sereno esame di coscienza. La voglia di rifarsi del mancato guadagno nei mesi del confinamento ha giocato molti brutti scherzi. Certo chi – ristoratore o titolare di palestra o esercente di sala cinematografica – ha applicato onestamente le direttive del governo e si è visto poi chiudere l’esercizio è stato ingiustamente penalizzato e bisogna fare qualcosa per lui, prima che i cinesi si comprino la sua licenza a prezzi di saldo”.

Enrico Nistri

Conte non ha colpe, allora?

“Tutt’altro. Sono poco disposto ad annacquare le responsabilità in una generico mea culpa. Chi governa e detiene i privilegi del governo è giusto che renda conto del suo operato, senza scaricare tutte le responsabilità sui governati, specie quando ha agito per conto suo, a forza di DPCM, senza coinvolgere le opposizioni. Ci sono casi in cui l’inadeguatezza della compagine ministeriale è evidente”.

Un esempio?

“La scuola. In un primo tempo ero incline a solidarizzare con la ministra Azzolina, quando veniva criticata perché a giugno non sapeva dire quando e come si sarebbero riaperte le scuole. Come se gli sviluppi del virus fossero prevedibili”.

Ma poi…

“Ha commesso gravi errori di merito e di metodo. Intanto, ha presentato l’apertura delle scuole a metà settembre come una dimostrazione di efficienza, una sorta di Quota Novanta dalla quale non si poteva derogare. Una scelta discutibile, per due motivi. Il primo è che in molte Regioni e Comuni pochi giorni dopo ci sarebbero state le elezioni, per cui la riapertura sarebbe stata effimera. Il secondo è che fino al 1978 le scuole riaprivano i battenti il primo ottobre, senza che nessuno facesse drammi, e il livello culturale dei diplomati era senz’altro maggiore. Meglio riaprire dopo, ma con un piano rigoroso anche sotto il profilo logistico”.

Cosa intende dire?

“È inutile spendere milioni di euro per discutibili banchi monoposto, scomodi per tutti e soprattutto per quanti scrivono con la sinistra, sempre più numerosi perché non viene più corretto il mancinismo, e non preoccuparsi dei collegamenti con cui fare arrivare i ragazzi nelle aule. Per le elementari e le medie (uso le vecchie dizioni, per comodità) i problemi sono relativi, perché gli scolari vengono di solito accompagnati dai genitori o portati dagli scuolabus, ma alle superiori il sovraffollamento dei mezzi pubblici è stato deleterio”.

E cosa si sarebbe potuto fare?

“Io avrei utilizzato i pullman turistici e i loro conducenti, rimasti disoccupati per mancanza di turisti, per integrare i trasporti pubblici rendendo possibile un maggior distanziamento, e magari avrei chiesto aiuto alle Forze Armate. Gli ufficiali e i sottufficiali che vivono fuori caserma vengono accompagnati al lavoro dagli autobus militari e poi riaccompagnati a casa; fuori di quegli orari credo che i pullman rimangano sottoutilizzati. Mi ricordo che una volta, quando c’era lo sciopero generale, l’Esercito metteva a disposizione della popolazione civile i famosi CM, al posto degli autobus.

E invece si è lasciato che gli studenti affollassero treni pendolari, bus, metropolitane, con i risultati che sappiamo.

Di conseguenza alle superiori si è tornati alla didattica a distanza, e mi sembra una decisione dolorosa ma necessaria: meglio un asino vivo che un dottore morto. È inutile avere aule (si spera) perfettamente sanificate, e poi far viaggiare studenti e personale su mezzi pubblici sovraffollati”.

Tutti qui, gli errori della ministra Azzolina?

“No, ci sono almeno due aspetti del suo operato che mi lasciano perplesso. Uno è la folle pretesa che gli insegnanti facciano lezioni “da remoto” in classi vuote, con gli alunni a casa. Perché obbligare magari un sessantenne, più a rischio, a recarsi a scuola in autobus o treni sovraffollati, mentre gli alunni, meno vulnerabili dal contagio, restano a casa? Se un professore è in grado, con i propri mezzi, magari a proprie spese, di avere un buon collegamento internet, perché obbligarlo a questa pericolosa corvée? L’altro riguarda il concorso riservato. Il ministero non ha previsto una sessione suppletiva per i docenti in quarantena o malati. E dire che è prevista anche per gli alunni che sono o si danno malati alla maturità, magari adducendo una “crisi di panico”. C’è da meravigliarsi se i precari non accettano supplenze, per paura di perdere, se contagiati, la grande occasione per passare in ruolo?”.

Il governo si difende ricordando che si chiude anche in Germania o Francia. Mal comune…

“Senza dubbio, il problema è generale. Ma noi, colpiti per primi, avremmo potuto e dovuto difenderci una volta migliorata la nostra condizione chiudendo le frontiere in entrata, ma anche in uscita. Pensi ai tanti giovani e meno giovani che sono andati in vacanza in Spagna o in Grecia, quando abbiamo tante splendide spiagge. Chi l’ha detto che per imbroccare o farsi imbroccare occorra andare a Ibiza o a Mykonos? Questa poteva essere una splendida estate italiana un po’ anni Sessanta, con la gente che riscopriva la seconda casa o l’appartamento preso in affitto, la poesia dei tramonti o, sull’Adriatico, delle albe sul mare, le cene in famiglia. E invece… Ma forse sono io un vecchio illuso. Chi si accontenta più di pizza fredda e birra calda sulla battigia?”.

Sulle chiusure nel mondo dell’arte abbiamo pubblicato la proposta dello scrittore Francesco Palmieri, un invito a fare arte e cultura nelle case private, in sicurezza e con le protezioni. Che ne pensa?

“Ho letto con interesse il suo intervento. Può essere una buona idea, oserei dire suggestiva, un po’ un ritorno all’epoca dei salotti nobiliari, che precedette quella dei caffè letterari. Il problema è che gli artisti, come i letterati, hanno bisogno di lavorare per vivere. Il deprecato regime li sussidiava, e faceva bene: nel mio pamphlet Anni Trenta pubblicai l’elenco dei beneficiari dei contributi del Ministero della cultura popolare a scrittori e artisti, fra cui c’erano molti futuri antifascisti. Questo governo, chiudendo i teatri, li mette alla fame. Oltre tutto, è il caso di dire che “cane morde cane”, visto che la maggior parte degli artisti è di sinistra…”.

Le opposizioni di destra che ruolo stanno svolgendo?

“Mi faccia la domanda di riserva. Ho sentito molti begli interventi (la Meloni è molto “cresciuta”; ho seguito con piacere la sua ultima intervista al Tg2), però manca per ora una riflessione seria e organica sui pericoli della globalizzazione e sulle responsabilità della Cina. Bisogna avere il coraggio di dire che se per millenni nel mondo ci sono state frontiere, dogane e quarantene, qualche motivo doveva pur esserci. Come dicono i francesi, “il faut se défendre”. È giunto il tempo di un vero patriottismo europeo, perché altrimenti, con gli Stati Uniti sempre meno uniti, la Cina che si compra l’Africa, la Turchia che si riprende la Libia e minaccia la Francia, ci attende un futuro da schiavi. Altro che mettersi o togliersi la mascherina e dire a seconda dei presunti umori dell’elettorato aprire o chiudere tutto, o magari mettere ai domiciliari gli ultrasettantenni…  Il centrodestra dovrebbe meditare su questo aforisma di Churchill, politico che da qualche mese, chi sa perché, mi è diventato molto simpatico: “Si può fare cultura senza fare politica, ma non si può fare politica senza cultura.””.

Le piazze ribollono. Che impressione le ha fatto la manifestazione di Firenze?

“Mi alzo la mattina alle sei, porto a spasso il mio bassotto, poi faccio una lunga passeggiata solitaria sulle colline di Fiesole oppure all’Albereta o alle Cascine, “ov’Arno è più deserto”, “irato a’ patri numi”, come (perdonatemi l’immodestia della similitudine) Vittorio Alfieri secondo Foscolo. Alle undici di sera crollo dal sonno, e non è un gran male, vista la qualità dei programmi televisivi. Per questo so di quanto è avvenuto a Firenze quello che ho letto sui giornali. La manifestazione prima che avvenisse era già stata bollata come fascista, ma denunciati e arrestati a quanto finora è emerso appartengono alla galassia dei centri sociali. Anche a Torino si parlava di fascisti, e poi si è scoperto che a saccheggiare i negozi erano extracomunitari. Cercavano i “fa”, hanno trovato gli “antifà”. Indipendentemente dal colore, politico o della pelle, credo comunque che manifestazioni come questa, che magari cercano di speculare su un disagio reale, siano da condannare senza riserve mentali. Delle cose che ribollono a Firenze, ce n’è una sola che mi piace: la ribollita”.

Nella prima clausura ha scritto un diario pubblicato da Pagliai, “L’anno del pipistrello”. Ha progetti letterari per questa seconda stagione di restrizioni?

“Sì, è vero: mea culpa, ho pubblicato un diario dei giorni della prima clausura. Sono grato all’editore Pagliai, del gruppo fiorentino Polistampa, che ha riposto fiducia in me. Gli sono molto grato, anche perché pubblicare un libro, sia pure di piccole dimensioni, in tempi di crisi come questi, per un editore è un vero rischio. Il mio era un diario in pubblico nei mesi della clausura (dal 1987 ne tengo uno, privato, su vecchie agende, fedele alla vecchia massima nulla dies sine linea), ma era soprattutto una riflessione sul tramonto dell’Occidente, che la crisi derivante dalla pandemia non ha fatto che accentuare. Non sono stato capito, nel senso che non sono stato quasi recensito, neanche dagli amici. Solo quel galantuomo di Gennaro Sangiuliano mi ha fatto intervistare l’agosto scorso dal Tg2. Comunque non mi dispiace nemmeno più di tanto: come diceva Nietzsche, il grande rischio dei veri pensatori non è di essere incompresi, ma di essere capiti sino in fondo…”.

Sempre modesto. Ma ora ha qualche progetto letterario?

“Altri diari no, anche se non mi pento di quel peccato d’immodestia, che ha avuto un proprio significato. Non sono uno dei fratelli Goncourt, e nemmeno un Paul Léautaud, che quando aveva bisogno di soldi per sfamare i suoi venti o trenta cani e gatti vendeva qualche pagina del suo Journal a un editore. Ho invece da molti anni nel cassetto un romanzo storico, dedicato agli anni dell’ultima guerra riletti attraverso le vicende di una famiglia, con una trama che si dipana fra la Versilia, l’Egitto, la Sardegna e vari fronti bellici. Ma questo è un altro discorso”.

@barbadilloit

Michele De Feudis

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