“L’enigma dei crochi” della Latorre e il mistero della vita

La recensione di Sandro Marano sul volume con venature autobiografiche edito da Tabula Fati

L’enigma dei crochi della Latorre

Ciascuno di noi è impegnato nella propria vita a costruire un castello. Ahinoi!, di sabbia. Ma come scrive Borges nei suoi Frammenti di un vangelo apocrifo: «Niente viene edificato sopra la pietra, tutto sopra la sabbia, ma il nostro dovere è di edificare come se fosse pietra la sabbia». Resteranno allora delle impronte sulla sabbia, che né le onde del mare né il vento cancelleranno? È forse in questo interrogativo e in questa speranza il segreto della scrittura. Da quella autobiografica a quella poetica. Questa riflessione sorge dopo la lettura del bel libro di Maria Pia Latorre L’enigma dei crochi edito da Tabula fati e da poco in libreria.

Insegnante nella scuola primaria, Maria Pia Latorre ha già al suo attivo numerose pubblicazioni per ragazzi e un libro di poesie Gli occhi di Giotto. L’enigma dei crochi unisce pagine di diario e pagine di poesia e, sebbene diviso in due parti, una narrativa e una in versi, si avverte che la poesia circola al di là della partizione. La prima parte a sua volta si divide in due sezioni: «Quarant’anni ferma al rosso» e «Maree».

«Quarant’anni ferma al rosso» è un’autobiografia inframmezzata da aforismi. «Sono nata sotto la stella del sessantotto, cresciuta a pane e canzoni d’autore… Quando ci si incontrava ci presentavamo con il personale biglietto da visita: “io… De Gregori, piacere, io De Andrè” […]. Le canzoni d’autore per noi sono state una bandiera, un modo di vivere e comunicare ideali, passioni, amore»,  scrive la Latorre. E prosegue ricordando la povertà e insieme la felicità dell’infanzia, il rapporto luminoso con la madre, gli affetti perduti, gli avvenimenti salienti che si sono impressi nella sua mente e infine prende atto, con riferimento alle proprie figlie, dei cambiamenti generazionali intervenuti. È come se l’autrice ci prendesse per mano per introdurci con delicatezza al suo mondo interiore. «Maree» ci presenta una dozzina di aforismi tutti tratti dalla propria esperienza di vita. Uno per tutti: «Talvolta non si riesce a sostenere lo sguardo della luna». Sotto la bella metafora si cela forse il riserbo dell’autrice, quasi il timore di mettere a nudo la propria femminilità. La seconda parte comprende Poesie prime, otto poesie scritte tra gli anni ’80 e gli anni ’90, e  L’enigma dei crochi, che dà il titolo al volume e raccoglie ventotto brevi liriche composte tra il 2018 e il 2020. A cosa allude il titolo? Per i Greci antichi il croco è simbolo di amore passionale e coniugale insieme. Crocus era infatti un giovane che si innamorò della ninfa Smiliace, che era la favorita del dio Ermes, il quale per gelosia lo tramutò in fiore. Una latente simbologia sessuale che non sfuggì al grande Ezra Pound, che in una delle sue poesie di Lustra del 2016 cantava: «I falli dorati dei crochi / cozzano contro l’aria primaverile». D’altra parte presso i Romani antichi il croco era simbolo della speranza in una vita ultraterrena serena e con i suoi fiori si adornavano i sepolcri.

L’enigma del croco è dunque l’enigma stesso della vita, dell’amore declinato in tutte le sue sfumature, dal passionale al religioso. E nei versi della Latorre si colgono tutte queste sfumature. L’amore per la natura viene espresso mirabilmente in Mare che t’ingioielli:

«Mare / che t’ingioielli / di sassi e conchiglie / spruzzi profumi d’alghe / sonora schiuma / e vaporosi flutti / Oh Mare! / che danzi / che danzi / col vento».

La dimensione religiosa s’insinua nella varia umanità fenomenologicamente descritta nella lirica Alla fermata con la domanda finale «Dio dove sei?» che interrompe le frasi legate alla banalità quotidiana. La magia dell’amplesso, velato dal timore del domani, viene cantato delicatamente in Esotica:

«Nel silenzio della pelle / morbido / richiamo / la tua mano / un reclinare del capo / ed è danza di tamburi / su dune di sabbia sconfinata / afrore e incenso intrecciati nella notte / s’inseguono nel respiro / irrequieto / Ci sazierà ancora l’ambrosia / quando il sole sarà alto?». 

La domanda sul senso della vita rivolta da un bambino è di quelle che non trovano risposte, eppure la poetessa non si tira indietro:

«Cosa posso dirti, bimbo… / percorrila  / la tua vita / fino in fondo […] / Posso dirti di provare / e vivere il sogno» (Domanda di bimbo). E questa risposta ci riporta alla mente la famosa frase di Con un nastro rosa, l’ultima canzone composta dal sodalizio Battisti/ Mogol: «Chissà che sarà di noi / lo sapremo solo vivendo».

Concludiamo notando che la cifra di questa scrittura, sia essa autobiografica o poetica, sta senz’altro nella sua «delicatezza espressiva» (Anna Santoliquido), nel «bel ritmo omogeneo, determinato principalmente dall’uso di parisillabi» (Cosimo Rodia), nella sua leggerezza tutta femminile.

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Sandro Marano

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