Ripensare il patriottismo politico archiviando Trump e la stagione populista

Consegnare al passato la stagione dei "caudilli" e dei tycoon e riprendere la sfida dell'egemonia

Trump versione fumetto

Le correnti politiche patriottiche potrebbero avere un imprevedibile vantaggio dal tramonto dei caudilli populisti, le cui gesta sono caratterizzate troppo spesso da pressappochismo e improvvisazione. L’opzione Trump, del resto, non rientra certo nel novero delle elaborazioni politiciste di quel filone nazionale che tende a dare rappresentanza agli esclusi dal gran ballo della globalizzazione: troppo le distanze di stile e di contenuti, senza però non riconoscere che l’elezione del tycoon sia stata accompagnata anche da maggiore spazio per temi identitari o valoriali (non sempre declinati in maniera vincente). Il mood del presidente uscente Usa – che in politica estera ha avuto il merito di porre fine ad un interventismo spesso scriteriato – è stato cadenzato da irritualità e strappi che mal si conciliano con la costruzione di egemonie culturali e la sfida eterna tra politiche e deep state. In molti casi ha sostenuto battaglie condivisibili con le formule meno efficaci, prestando il fianco alla propaganda avversaria.

Da tempo sosteniamo che non si governa con i social e più dei like conta la capacità di consolidare una classe dirigente colta, preparata, politicamente capace, con percorsi che consentano la valorizzazione di un capitale umano patriottico da sempre destinato all’esclusione dai luoghi dove si può incidere nella politica e nell’immaginario nazionale: senza economisti, manager, giornalisti con coscienza pluralista, cineasti, scrittori, uomini di diritto, esperti di Difesa o di geopolitica non si potrà mai produrre una offerta politica compiuta. In questi settori della società o si investe nella ricerca e nel consolidamento di personalità di rilievo e spessore (costruite su anni di studio e applicazione) o si ricorre all’ingaggio di quadri che prima militavano altrove (il modello tatarelliano: acquisire tutti quelli che non erano di sinistra, pur estranei alle destre).

Ripensare il patriottismo politico

Il patriottismo, dopo il momento populista che rimesso al centro dell’agenda politica temi come identità, lavoro e lotta all’immigrazione selvaggia, deve ripensare la sua presenza politica e organizzativa: il successo social può diventare effimero senza attrezzare think tank e spazi dove coinvolgere la migliore espressione delle categorie con sensibilità comunitarie e nazionali. Divenuta desueta l’iscrizione ai partiti, essendo mutevole l’adesione alle piattaforme social, è venuto il tempo di elaborare opzioni dialettiche che saldino web e presenza, rifuggendo l’evanescenza dei seminari, per dare vita a luoghi dove discutere, condividere e lanciare campagne di opinione e temi programmatici concreti, dove la forza delle idee superi una volta per tutte il calore effimero delle sparate populiste. Qualche ciuffo rosso in meno sulla scena politica potrebbe non essere poi un cattivo affare per i patrioti.

Gerardo Adami

Gerardo Adami su Barbadillo.it

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