Cultura (di. G. Del Ninno). Michel Marmin, ultimo cantore del declino del cinema

Nella sua ultima opera "Cinéphilie vagabonde" , un viaggio all'interno della settima arte al tempo della pandemia Covid

Ogni epoca crepuscolare ha i suoi cantori e i suoi storici. Se è vero che il cinema nelle sale è ormai a questo punto della sua parabola, con un’accelerazione del declino dovuta alla pandemia da Covid, Michel Marmin ne è appunto il suo poeta e il suo testimone, da ultimo nella sua opera appena uscita in Francia, “Cinéphilie vagabonde” (‘Editions Pierre-Guillaume de Roux, pag.294, Euro 18).
Michel Marmin è molto noto in patria, soprattutto per essere stato nell’arco di un trentennio – dal 1971 al 1980 – un critico aspramente controverso, ma anche un intransigente difensore del cinema d’autore, su testate prestigiose quali “Valeurs actuelles” e “Le Figaro”. Nel suo vagabondare da una cinematografia all’altra, Marmin ci racconta del Technicolor e del Cinemascope, delle scene di massa e delle sequenze claustrofobiche, insomma spazia dal cinema muto agli studios californiani alla Hollywood sul Tevere, ovviamente passando per la cinematografia della sua terra. Un occhio di riguardo Marmin riserva al nostro cinema, di cui ammira soprattutto Dino Risi e Mario Monicelli. Insomma, queste pagine ci trasportano in un’altra epoca, rispetto alla nostra, fatta di piattaforme digitali, di artifici tecnologici e di sale chiuse e/o deserte.
In particolare, in questo libro Marmin dà conto delle sue scoperte e delle sue riscoperte nell’arco di un ventennio, senza trascurare “il cinema televisivo” e, ad esempio, le pellicole italiane di cappa e spada, sul filo di un radicalismo estetico e di un eclettismo sorprendente (anche gli amanti della letteratura troveranno in queste pagine considerazioni interessanti sugli scrittori più legati alla “settima arte”).
Ma Michel Marmin è stato molto più che un colto e sottile critico cinematografico: figura infatti fra gli animatori del “GRECE (Groupement de Recherche et ‘Etudes pour la Civilisation Européenne) e della “Nouvelle Droite”, insieme con Alain de Benoist, Jean-Claude Valla, Giorgio Locchi, Guillaume Faye e Pierre Vial; a lungo redattore capo della rivista “’Eléments”, punto di riferimento della cultura anticonformista in Europa e in Italia (dove ebbe una sua versione indipendente) è stato un saggista e un “pamphlettista”.
Convinto assertore di una visione del mondo aldilà delle categorie “destra” e “sinistra” nonché di una teoria e di una prassi realmente anticonformiste, è alla continua ricerca di nuove sintesi, anche fra opposti difficilmente conciliabili. Così, pur essendo fortemente radicato nella “terra di Asterix”, ama la Roma dei Re, dei consoli e dei Cesari (lo dimostra, a proposito di cinema, il suo apprezzamento per “Il primo Re”, di Matteo Rovere); si avvicina al gollismo dopo il tramonto del Generale e intrattiene un rapporto non privo di contraddizioni verso l’America. Su quest’ultimo fronte, mentre condivide le considerazioni negative svolte da Alain de Benoist e Giorgio Locchi in quello che fu un “best seller di nicchia” (“Il male americano”), non nasconde la sua ammirazione e comunque il suo interesse per certi cineasti d’oltreoceano, quali Billy Wilder e Robert Wise, e certe pellicole, dal western alle “gangster stories”.
Anche in tema di difesa delle identità, mentre scrive un saggio su “Destin du français”, è co-sceneggiatore con l’amico Gérard Blain – che fu noto anche da noi per la magistrale interpretazione del “gobbo del Quarticciolo”, filmato da Carlo Lizzani nel 1960 – di “Pierre et Djemila”, una sorta di rivisitazione della storia tragica di “Romeo e Giulietta”, stavolta in chiave di critica dei pregiudizi razziali e degli estremismi religiosi.
Ma non basta: Marmin è anche poeta insieme delicato e forte. Di una sua raccolta di versi – “Chemins d’ailleurs et de Damas” – ho avuto il privilegio, su sua richiesta, di elaborare una versione italiana, purtroppo rimasta inedita da noi. Aspettiamo ora che qualche editore coraggioso manifesti interesse per far conoscere anche al nostro pubblico questi “vagabondaggi cinematografici”, dai quali ciascuno di noi potrà imboccare i sentieri che più gli sono congeniali.
Quanto a me, questi sentieri mi riportano alle passeggiate romane con Michel sul Campidoglio all’imbrunire, alle randonnées lungo i tornanti della montagna di Sainte Victoire o ancora alle cene lungo le rive dell’Arc, a Ventabren, e alle soirées nel castello di Roquefavour, allietate dalla musica celtica.

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

Exit mobile version