“Il grande Maradona è morto”, così se ne va l’ultimo dio del calcio

L'annuncio che scuote il mondo, non solo il calcio. Amato, odiato: l'ultima divinità pagana se ne va a sessant'anni. Non l'avrà la vecchiaia

La voce, misteriosa e ferale, ha attraversato il mondo con la stessa, feroce, potenza di quella che – secoli fa – straziò il cuore della romanità a lutto per Pan. “Il grande Maradona è morto”.

Tante, troppe volte ci era andato vicino. Solo qualche settimana fa, subito dopo il suo 60esimo compleanno, era stato sottoposto a una delicatissima operazione. Oggi, nella sua casa di Tigres, in Argentina, il cuore di Diego Armando Maradona ha smesso di battere. L’ultimo uomo capace di trasfigurarsi in una divinità da vivente ha lasciato il mondo.

L’emozione ha tradito tanti. Che lo abbiano visto dal vero o solo su Youtube, nelle vecchie trasmissioni, nelle hit parade dei momenti più importanti che hanno segnato la storia del calcio. E non solo di quella. Diego Armando Maradona ha giocato e vinto senza mai nascondersi di fronte ai potenti né agli avversari. Masaniello con la maglia azzurra del Napoli, condottiero con la camiseta albiceleste dell’Argentina. Una sola cosa l’animava in campo: lottare fino all’ultimo spasmo, vincere con ogni mezzo lecito e meno (ricordi la mano de Dios?). Un talento pari solo alla sregolatezza, ma quella attiene a un capo che, nonostante salti gli allenamenti, riesce a farsi amare da tutti i compagni di squadra. Pronti a tutto, per lui. Persino a cedergli la fascia di capitano, come fece Beppe Bruscolotti. Perché palo ‘e fierro sapeva che la promessa, prima o poi, Diego l’avrebbe compiuta: vincere quello scudetto che a Napoli sembrava non voleva venirci mai.

Sempre dalla parte sbagliata, Maradona. Piccolo e sgusciante, di certo non bellissimo. Eppure carismatico come nessuno prima di lui in mezzo (e fuori) da un campo.  Incuteva il panico negli avversari, con quel talento ultraterreno unito alla voglia indomabile di non mollare mai. Le grandi gesta di lui si narrano di fronte ai grandi avversari di sempre: alla Juventus, all’Inghilterra o al River. Trionfi e dolori, lacrime e gioie immense: un numero dieci che non ha mai vissuto, né giocato, nell’aurea mediocritas.

Carico di eccessi e pieno di vizi, Maradona non è stato certo l’inno apollineo che può essere stato Pelé, né l’elegiaco Crujiff. La sua poesia fu ancora più sublime, forse un compedio omerico: il cuore grande e ribelle di Achille, l’astuzia di Ulisse, la potenza irriguardosa di Diomede. Capace di assumere le sembianze di un dio e, contemporaneamente, di un incubo, di un mostro. Un satiro che balla la pirrica e si trasfigura, invincibile condottiero, che rianima i suoi e sconfigge chiunque osi parargli contro.  Non si induce per caso un’intera generazione di ragazzini nati negli anni ’80 a sforzarsi a calciare di sinistro, sempre e comunque, anche se la natura implora di lasciar perdere.

Ora, con el Diez, il grande Pan è morto, di nuovo. Il mondo ne piange l’ultima superba e potentissima incarnazione. L’ultima icona popolare raggiungerà gli altari pagani che resistono a ogni fariseismo.

 

 

 

 

Giovanni Vasso

Giovanni Vasso su Barbadillo.it

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