“La pioggia deve cadere”: le inquietudini di un aspirante scrittore raccontate da Knausgard

La quinta parte della saga esistenzialista dello scrittore scandinavo (considerato il novello Marcel Prous)

Karl Ove Knausgard

L’inquietudine è uno stato d’animo utilizzato a più riprese dal mondo dell’arte, quasi fosse un fertilizzante per la creatività. Tuttavia sembra essere il comune denominatore emotivo per l’opera di Karl Ove Knausgard, La pioggia deve cadere (ed. Feltrinelli, 2017).

E’ un romanzo diretto e contemporaneamente ricercato e struggente. La trama, infatti, non presenta particolare difficoltà o intrigo. Un titolo che pare un imperativo, rivolto ad un’immagine classica e ad un fatto naturale riguardante la meteorologia che però si interseca con la mitologia romantica della furia degli elementi. Una furia che l’autore conosce bene. Karl Ove Knausgard, norvegese, ex batterista, articolista per una vita aspirante scrittore e, dal 1998, scrittore a tutti gli effetti. Dopo due romanzi per scaldare i motori, mi si passi la metafora motoristica, lo scrittore norvegese dà vita ad un’epopea sull’educazione sentimentale, una saga incentrata sulle proprie origini e sullo sviluppo del proprio inconscio, la cui struttura è provocatoriamente anticipata dal titolo: La mia battaglia (di cui La pioggia deve cadere è la quinta parte).

Autobiografia spinta ed approfondita fatta anche di spogli emotivi. Autofiction, campo esplorato da diverso tempo. Succede per esempio che l’autofiction diventi un genere letterario a sé stante. In Europa le lezioni di Emmanuel Carrère hanno fatto sì che la quotidianità scardini i propri elementi primari e apparentemente piatti e routinari, per inserirsi totalmente all’interno di un romanzo, diventandone la materia primaria. Avere sé stessi come pietra di paragone, le proprie emozioni, il proprio percorso.

Senza alcun tipo di sconto o sintesi, Knausgard ripercorre e scandaglia, con cadenza quasi ossessiva, la propria esistenza, prendendo nel proprio laccio tutto il circostante che rientra nel campo della sua interiorità. Gli studi all’Università di Bergen, la voglia di trovare una propria voce come scrittore, la propria famiglia, vera o presunta, il rapporto con essa, difficile da archiviare, faticosa l’evoluzione. Non c’è oblio che tenga, l’autore squaderna, scandaglia e viviseziona tutto il comparto emotivo possibile e immaginabile. Un ring in cui avviene uno scontro all’ultimo sangue con sé stesso alle prese con i propri aneliti, progressi smorzati, fantasie obbligatorie da un contesto in cui si cerca di entrare per sentirsi a proprio agio. Knausgard lotta con le scorciatoie dell’esistenza, sembra infatti che, con sfrontatezza, le voglia evitare tutte quante.

Colonna portante nella comprensione e connessione emotiva con il testo è il comparto musicale. Gli album che hanno caratterizzato il gusto dell’autore diventano la sonorità portante della storia di vita, come Skylarking degli Xtc.

I piani di lettura si accavallano. Introspezione hardcore, diretta e cruda la concretezza del quotidiano si dissolve davanti alla tensione emotiva, un caleidoscopio che sposta le inquadrature dall’esterno all’interno. Quadretti famigliari intervallati e scolpiti nel dettaglio, che paiono interagire con l’interiorità dell’autore. L’autocensura sembra abolita.

Knausgard inaugura un originale esistenzialismo, in cui la propria autobiografia diventa struttura romanzesca, laddove un’iniziale mancanza di ispirazione e di voce è diventata la principale fonte di ispirazione. Servirsi dell’apparente vuoto e ricavarne qualcosa sembra l’aforisma maggiormente azzeccato nei periodi di letteratura (e non solo) in declino.

Stefano Sacchetti

Stefano Sacchetti su Barbadillo.it

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