Governi Conte, dalla prima alla seconda crisi con lo stesso schema: traccheggiare

Per l'eterogenesi dei fini si potrebbe - per paradosso - "riabilitare" la strategia maldestra di Salvini dell'estate 2019

Certo che a osservare il timing della crisi in corso, verrebbe davvero voglia di riabilitare (si fa per dire) la strategia maldestra di Matteo Salvini che nell’agosto del 2019 portò alla fine prematura del Conte 1.Il Matteo protagonista è oggi un altro, quel Renzi che più di una volta ha dimostrato un certo gusto per le manovre spericolate. Il premio Oscar attuale spetta tuttavia al presidente del Consiglio, che in un modo o nell’altro – seppur in maniera assai accorta – ha esasperato entrambe le crisi facendoci rimpiangere le liturgie della prima Repubblica.  

La chiamata pericolosa «dei pieni poteri» del Papeete e la riapertura improvvisa di un parlamento in ferie estive, misero in secondo piano il vero stile di Giuseppe Conte. Prendere tempo, una schema a cui pare essere tanto affezionato e che non è detto però che non possa permettergli una sopravvivenza politica fuori, un tempo, dalle ricognizioni di qualunque bookmakers. 

Ebbene, Salvini le ha sbagliate tutte, ma su una cosa non gli si può dare torto: le primissime mosse (poi fu tutto un disastro) furono di una chiarezza disarmante. L’8 agosto 2019, a meno di ventiquattro ore dal voto che scongelò definitivamente la Tav e umiliò i Cinque stelle, arriva il tweet del leader leghista che sancisce la fine politica dell’esperimento gialloverde. 

Inutile ricordare che in passato i governi siano collassati per molto meno, tra le «liti delle comari» o i distinguo delle forze del pentapartito. Giuseppe Conte, fiutando il baratro, decide di conferire con il presidente della Repubblica (a quanto pare lo aveva fatto anche il giorno prima quando Salvini gli aveva preannunciato la fine della love story) e si sottrae al confronto. 

L’allora ministro dell’Interno comincia uno strano inseguimento. Il giorno dopo la Lega presenta la mozione di sfiducia, per poi cannoneggiare a favore dell’immediata calendarizzazione del voto a Palazzo Madama. Soltanto il 20, cioè 12 giorni dopo, arrivano il confronto in aula e le dimissioni nelle mani di Mattarella. In mezzo, il delirio (con tanto di ritiro della sfiducia in extremis da parte di Salvini).

Allora, fu la volontà di scongiurare il ritorno alle urne e la probabile vittoria del centrodestra a far chiudere gli occhi sul profilo di temporeggiatore  e sgrammaticato di Conte. Fu la rampognata al Senato ai danni di Salvini (roba che neanche Berlignuer si permise mai con Almirante) a farlo transitare nel campo avversario. Nel frattempo però Renzi aveva fatto la sua mossa (quella del cavallo) e reso possibile un’operazione politica fin troppo ardita: il ritorno del centrosinistra in sella, nonostante le sconfitte alle Politiche e alle Europee. 

Analogie con l’oggi? La decisione del senatore di Rignano di ritirare la pattuglia Iv dal governo è arrivata dopo un lungo gioco a nascondino. Sembra una vita fa, ma è stato soltanto nella tradizionale conferenza stampa di fine anno che Conte, replicando a Renzi, minacciava il confronto in Parlamento. Che poi non c’è stato. Già lì la crisi politica era più che palese, ma si è preferito prendere tempo. 

In ultimo, la scelta di far approdare la verifica in aula soltanto la prossima settimana, è l’ennesimo temporeggiamento utile a disegnare i nuovi perimetri della maggioranza. Ricorda Paolo Mieli: i “responsabili” sono nati con l’avvento del Regno d’Italia. Infatti lo scandalo non è lì (non tutto, almeno), perché il parlamentarismo riserva da sempre questo e altro. La questione è però che l’M5s, di cui Conte è espressione (ma lui è abile a non ricordarlo), ha vinto le scorse elezioni moralizzando contro qualsiasi «mercato delle vacche» e su altre questioni che strada facendo hanno pensato a correggere.

Elezioni, appunto. Repetita iuvant: Conte è premier senza essere mai passato da alcun voto popolare. Il suo estremo tatticismo (o attaccamento alla poltrona, per citare Osho), si spiega con la nuda realtà: l’atto nobile delle dimissioni, più di altri, esporrebbe il premier all’esclusione definitiva dalla vita di Palazzo.

Una diagnosi volgare, certo. Se andasse però in porto l’operazione dei responsabili, con il governo in carica destinato a trasformarsi in un cacofonico Conte 2/bis, avremmo raggiunto davvero un risultato assai improbabile: vivere l’emergenza più grave della recente storia mondiale, quella del Covid, guidati dall’esecutivo più pasticciato e debole della storia italiana. Amen (e Awoman). 

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Fernando Massimo Adonia

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