Giornale di Bordo. Ma ce lo siamo davvero meritato, un grande attore come Alberto Sordi?

Il commento di Enrico Nistri: "Sordi è stato tutto, anche il malato immaginario (ma quello di Molière), anche l’eroico aviatore dei Tre aquilotti, anche il tenentino di Giarabub e di Tutti a casa, anche l’Americano di Roma e l’anglofilo impenitente di Fumo di Londra (non un suo capolavoro)"

Alberto Sordi ne I Vitelloni

Alberto Sordi

La pubblicazione del sontuoso articolo che Riccardo Rosati ha dedicato alla Villa Museo di Alberto Sordi è curiosamente coincisa con la riproposta, su Cine34, un’emittente che ha il merito di mandare in onda pellicole un po’ vintage,ma sempre valide, di uno degli ultimi film del grande attore e regista: Nestore, l’ultima corsa. Avevo sempre diffidato della tesi secondo cui gli anni d’oro di questo gigante del cinema italiano siano finiti col 1963, una tesi cara ai soliti nostalgici dell’impegno, affetti dal virus del nannimorettismo. Capolavori come Il medico della mutua, Gastone, Polvere di stelle, Un borghese piccolo piccolo, Il marchese del Grillo bastebbero a smentirlo.

Se tali dubbi li avessi nutriti, comunque, la visione di Nestore me li avrebbe fatti sparire. La vicenda crudele del vetturino Gaetano Bernardini, che, costretto dall’ingratitudine delle figlie a ritirarsi in una casa di riposo, tenta invano di salvare il suo cavallo Nestore dal mattatoio, è l’ennesima conferma della capacità del Sordi attore e regista di non fossilizzarsi in un ruolo e di non aver paura di sfidare i gusti del suo pubblico, evitando la tentazione del lieto fine (se lieto fine non si vuol considerare il finale un po’ onirico, alla Zavattini di Miracolo a Milano, che fa da pendant alla scena truce e iper-realistica del mattatoio). Era una sfida non indolore, di fronte ai suoi spettatori abituali, anime semplici che si recavano al cinema per vedere un film comico; me ne ero reso conto tanti anni fa ascoltando lo sfogo di un sergente maggiore cui non era andata giù proprio una delle sue interpretazioni più riuscite, il Giovanni Vivaldi di Un borghese piccolo piccolo, tanto esilarante nella prima parte quanto truce nella seconda. “Un film così Sordi non lo doveva fare”, mi diceva quel sottufficiale come se si fosse trattato di una violata consegna, di un tradimento, di un vero e proprio spregio personale. Ma allora avevo vent’anni o poco più, e non potevo capire.

Il fatto era che Sordi non era prigioniero di un ruolo perché era un vero attore, non un caratterista. Non rimase incollato a nessun cliché, anche se sapeva benissimo che accondiscendere ai gusti del pubblico gli avrebbe garantito maggiori soddisfazioni al botteghino. Era insomma tutto il contrario della maggior parte dei nuovi comici (oggi sempre meno nuovi, e anche meno comici), prigionieri dei loro personaggi: lo sfigato che alla fine riesce a imbroccare la strafiga (o magari ne viene imbroccato), l’ipocondriaco cronico, il nevrotico che ha fatto la bassa di sussistenza dallo psicanalista, il puttaniere pasticcione.

Sordi è stato tutto, anche il malato immaginario (ma quello di Molière), anche l’eroico aviatore dei Tre aquilotti, anche il tenentino di Giarabub e di Tutti a casa, anche l’Americano di Roma e l’anglofilo impenitente di Fumo di Londra (non un suo capolavoro), anche il partigiano deluso di Una vita difficile, anche l’aspirante imboscato capace di morire da eroe della Grande guerra. Lo è stato anche perché era capace di interpretare tutti, perché veniva dal vero cinema (e anche dalla dura scuola dell’avanspettacolo) non dal cabaret. E pazienza se, come sosteneva Pasolini, i suoi film facevano ridere solo noi italiani, non i francesi o gli inglesi: non eravamo noi a mancare di gusto, erano loro a essere privi di senso dell’humour.

Nella vita privata, Sordi può essere rimasto più o meno simpatico. Sergio Jacquier, uno dei più grandi dialogisti italiani, mi confessò di non averlo mai potuto sopportare. Altri ricordano la sua generosità e la sua cordialità. Ma come attore è stato forse l’ultimo dei nostri classici, come Montale definì Guido Gozzano, e, ribaltando la celebre invettiva di Nanni Moretti in Ecce Bombo (film per altro eccellente del regista romano: uno dei pochi), sarebbe doveroso domandarsi: “Ma ce lo siamo davvero meritato, un grande attore come Sordi?”

p.s. a proposito della scena di Nestore l’ultima corsa che si svolge ai macelli: se è arduo restare antisemiti dopo essere stati ad Auschwitz, è difficile rimanere carnivori dopo aver visto un mattatoio.

 

Enrico Nistri

Enrico Nistri su Barbadillo.it

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