Il ricordo (di F.Cardini). In memoria di Massimo Anderson e di chi non riverisce il nuovo Redentore venuto da Bruxelles

L'amarcord dello storico fiorentino che ricorda il suo passato nel Msi e lo spirito non conformista che lo ha animato tutta la vita

Franco Cardini

Massimo Anderson

Lo so: molti si chiederanno chi fosse; molti altri stimeranno sia fuori luogo ricordare in una sede come questa un uomo politico che non è mai stato di primo piano, che ha militato in un settore della nostra vita politica sempre minoritario e spesso malvisto eccetera eccetera.
Ma ecco il
curriculum di un cittadino che ha fatto politica in una posizione scomoda e ne è uscito decorosamente; al giorno d’oggi, 86 anni non sono un record ma senza dubbio la sua non può essere stimata una dipartita prematura. Era un moderato: e la sua stessa uscita di scena lo dimostra. Il resto, in due parole, lo dirò quando avrete letto il “coccodrillo”.

Massimo Anderson (Roma, 1934 – Roma, 16 febbraio 2021) è stato un politico italiano, fu il primo segretario nazionale del Fronte della Gioventù.
Anderson divenne nel 1954 primo Segretario generale della Giovane Italia e lo fu fino al 1966. Nel 1960 venne eletto consigliere comunale di Roma per il Movimento Sociale Italiano e rimase in Campidoglio fino al 1971.
Nel 1967 fu nominato segretario nazionale giovanile del MSI, carica che tenne fino al 1970, quando fu eletto consigliere regionale del Lazio.
Nel 1971 insieme a Pietro Cerullo fu promotore della fusione dei due gruppi giovanili della destra, Giovane Italia e Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, per la fondazione del Fronte della Gioventù. Lo guiderà fino alle sue dimissioni nel gennaio 1977.
Nel 1972 Giorgio Almirante lo chiamò nella segreteria nazionale del MSI. Nel 1975 fu rieletto alla Regione Lazio.
Nel 1976 fu alla guida di una delle quattro correnti in cui si era diviso il MSI, quella di “Destra popolare”. Le altre erano quella almirantiana di Almirante e Romualdi, “Democrazia Nazionale” di De Marzio, Roberti e Nencioni e “Linea Futura” di Pino Rauti. Nel dicembre 1976 Democrazia Nazionale uscì dal partito, mentre Anderson partecipò al congresso del MSI nel gennaio 1977, dove la corrente ottenne il 13% dei voti dei delegati, in gran parte del movimento giovanile. Tra gli aderenti a Destra Popolare vi erano Giuseppe Tatarella, Ignazio La Russa, Luciano Laffranco, Ugo Martinat, Gennaro Ruggiero, Guido Virzì.
Con la conferma di Almirante alla segreteria, Anderson si dimise il 3 giugno 1977 dal MSI e aderì a Democrazia Nazionale-Costituente di Destra. Con la sconfitta elettorale del 1979 DN si sciolse. Anderson restò al consiglio regionale del Lazio fino al 1980.
Dal 2010 fu presidente della Federproprietà.
Tra le sue pubblicazioni: Lineamenti di una politica della gioventù (Roma, Effedigi, 1972); L’alternativa della destra giovanile (con Giorgio Almirante, Roma, Effedigi, 1973); I percorsi della destra (Napoli, Controcorrente, 2003).
(Fonte: Wikipedia)

AMARCORD
Ho conosciuto Massimo Anderson nel 1957 quand’egli, ventitreenne segretario nazionale della “Giovane Italia”, prese il coraggio a sedici mani e venne a visitare la federazione fiorentina del MSI, noto covo di sboccati e turpiloquianti refrattari, di neorepubblichini, di facinorosi picchiatori (che in realtà, data la loro esiguità numerica, erano di solito dei picchiati), di bertoricciani quasi fasciocomunisti – da nostalgici de “La Sassaiola fiorentina” e della Squadra “La Disperata” di Soffici a sostenitori del ribollente deputato missino di Pisa, il leggendario Beppe Niccolai –, i quali erano peraltro, stranamente e paradossalmente, spesso alleati a reazionari antimoderni in un cocktail strampalato dove c’era di tutto, dai martiri della Vandea a Julius Evola a Ezra Pound – noialtri lo leggevamo sul serio – a José Antonio a Nasser a Perón a Sorel a Bombacci… poi sarebbero arrivati anche Fidel Castro ed il “Che”, questo però più tardi (Zeev Sternhell non aveva ancora scritto i suoi noti
best seller, per cui noialtri certe cose non riuscivamo bene a capirle nemmeno se le stavamo vivendo). Faccio solo quattro nomi di altrettanti personaggi, nei pieni Anni Cinquanta – io ero appena adolescente, primi calzoni lunghi e primo amore – giovanissimi o molto giovani (il più anziano era dei primissimi Anni Venti, il più giovane del 1936-37) tutti ohimè presto e prematuramente scomparsi. In ordine di anzianità: Silvano Magni, volontario della RSI, etruscologo apprezzatissimo da studiosi come Caputo e Pallottino, consulente di antiquari e di mercanti d’arte che si arricchivano a sue spese perché non voleva mai esser pagato – diceva che vender il sapere era simonia –, gran tombeur de femmes quand’era sobrio (molto raramente dopo le 20 di quasi ogni giorno: ma andava a vino rosso, niente porcherie); Attilio Mordini, volontario della campagna di Russia e della RSI, germanista e teologo rigorosamente tomista ma terziario francescano (io gli rimproveravo di non stare con il neoplatonismo di san Bonaventura), germanista e lettore di lingua italiana all’università di Kiel, ammalato cronicamente per una tubercolosi contratta in alcuni mesi d’illegittima carcerazione tra ’45 e ’46 (fu liberato con tante scuse ma senza un soldo di risarcimento o di contributo alle cure mediche); Gabriele Truci, filosofo e pedagogista, sottotenente di aeronautica, caduto a metà degli Anni Sessanta durante un’esercitazione di volo; Giulio Schettini, avvocato di nobile stirpe partenopea, giornalista finissimo, classe 1938, che non sopravvisse purtroppo – ed era appena trentenne – a un intervento cardiaco molto delicato (poco più che ventenne era già stato operato, con successo, dal grande Dogliotti). A metà degli Anni Sessanta se ne andarono tutti, prematuramente, in silenzio. Nessuno di loro si era degnato di venire a conoscere Massimo Anderson.
A noi, ragazzacci fiorentini un po’ plebei, Anderson fece un’impressione curiosa. Era un giovane dai modi compiti ed eleganti, vestiva fin troppo correttamente per la sua età con camicia, cravatta e panciotto grigio sotto la giacca, era sbarbato e pettinato con cura. “Quello lì, la mattina prima d’uscire, la su’ mamma lo stira co ’i ’ferro”, fu il commento dell’usciere-custode-factotum della Federazione, Vittorio Sorbi, poliomielitico e volontario fiumano, vecchio squadrista della “Disperata”, amico del “sor” Ardengo Soffici, temuto squadrista ed alfiere della Federazione Fiorentina del PNF, noto per aver gridato a squarciagola – e a sfottimento – “o bravo Baffino!” in Piazza della Signoria l’8 maggio del ’38 (l’interiezione, che fece impallidire federali, viceconsoli della Milizia e consiglieri nazionali ma fece scappar da ridere a Pavolini, era diretta al
Führer und Kanzler in quel momento in visita di stato nella Città del Giglio). Vittorio Sorbi viveva poveramente con la moglie ammalata in un miniappartamento di “case popolari”, non aveva pensione e si portava decorosamente sulle spalle la sua dignità sottoproletaria senza mai nulla chiedere. Accettava solamente l’offerta di qualche caffè, ma lo beveva amaro e si metteva in tasca la bustina di zucchero per portarla a casa.
Anderson aveva uno di quei fisici eleganti e irreprensibili, per intenderci, alla Leonardo Di Caprio o alla Alessandro Barbero: uno di quelli che anche a ottant’anni, almeno a prima vista, continuano a dimostrarne venti. A causa della sua semiomonimia col noto scrittore danese di fiabe, noi lo ribattezzammo subito “il Favoloso”. Pare che, informato di ciò, andasse fiero dell’epiteto ma non avesse còlto il lato ironico di esso: quando glielo spiegarono, ci rimase un po’ male. Fortuna che non si chiamava Grimm: di questi tempi, lo avrebbero accusato di neonazismo.
La nostra piccola pattuglia non ebbe molte occasioni, in seguito, d’interloquire col Favoloso: anche perché noialtri quattro facinorosi gatti uscimmo tutti dal MSI a metà degli Anni Sessanta (sarà stato un caso, ma più o meno contemporaneamente alla dipartita di quei nostri quattro Evangelisti). Non so se la semigenerazione che ci seguì, quella dei ragazzi nati negli Anni Cinquanta e capitanati dall’allora giovanissimo ma già colto e puntiglioso Marco Tarchi, ebbe contatti maggiori con Anderson: comunque, un decennio più tardi anno più anno meno, se ne andò dal partito come avevamo fatto noi, in un clima – bisogna aggiungere – ben più pesante.
Ecco le ragioni di questo
Amarcord. Nessun pentimento, nessun rimpianto. Solo una punta di tenerezza per la mia sconsiderata adolescenza all’insegna del “fascismo immaginario”, tanto per dirla parafrasando un noto libro di Luciano Lanna e Filippo Rossi; e in fondo, ebbene sì, una testimonianza (resa addirittura con una punta d’orgoglio) di buona fede e d’ingenua pulizia morale in omaggio a una pattuglia di ragazzi di oltre mezzo secolo fa che forse, avesse scelto la DC o il PCI, avrebbe fatto magari carriera. Ma quando penso che in tal modo ci saremmo potuti trovare adesso, invecchiati, ad agitare rami di palma e d’olivo dinanzi al Nuovo Redentore disceso dal Cielo di Bruxelles e di Davos, ringrazio Iddio perché le cose sono andate come sono andate.

Franco Cardini

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