Sanremo, com’è cambiata la “sagra canora” più amata dagli italiani

Da Nilla Pizza a Mahmood: il rito laico collettivo per eccellenza dai primordi radiofonici e ingessati all'era fluida del Covid

Sanremo, festival della canzone italiana. Que reste-t-il de ces beux jours?, si chiedeva l’io cantante di un vecchio, romantico ritornello di Charles Trenet. Me lo chiedo oggi – cosa resta di quei bei giorni? – quando mi passano davanti agli occhi alcuni dei fluviali, ripetuti servizi televisivi nei programmi d’informazione e/o intrattenimento erogati specie dalle emittenti pubbliche sulla manifestazione sanremese.

 

E’ tutto un tripudio di elogi, di complimenti, di esaltazioni per questo o quell’interprete, di cui si dà per scontata la chiara fama; ed è un succedersi di toilettes, di look, di tenute e acconciature, ormai ridotti ad espedienti per stupire il pubblico e calamitare la sua attenzione, a discapito del brano cantato.

 

Sagra canora, ma soprattutto rito laico collettivo, il festival ha trasformato, negli anni, le sue formule, ampliando l’offerta spettacolare: ospiti internazionali, intermezzi comici, spruzzate di sex appeal, perfino incursioni nella e dell’attualità più drammatica, con passerelle più o meno “predisposte” per star dello sport, disoccupati e, oggi, eroi della pandemia.

 

Certo, il raffronto con le prime edizioni radiofoniche e poi televisive in bianco e nero presenta un contrasto fortissimo in termini di testi, di gusti musicali, di caratteri dei protagonisti e, in definitiva, di costume collettivo e degli stessi artisti in gara: canonici abiti da sera – in lungo per le cantanti, giacca e papillon per i cantanti, posture ed espressioni un po’ rigide e come imbalsamate, nelle prime uscite televisive; conduttore unico (per anni, Nunzio Filogamo) e unico direttore d’orchestra (idem per Cinico Angelini), stile unico, sul melodico-popolare; e poi, invece delle cinque di oggi, due serate di selezione più quella finale, che avrebbe decretato i vincitori, con i motivetti da fischiettare nei momenti di distensione e i testi da imparare nei libretti appositamente distribuiti nelle edicole, in attesa di riascoltarle per radio (il giradischi non era ancora entrato in tutte le case).

 

Già, i testi. La lettura e l’apprendimento di quelle strofe sono stati immortalati nella sequenza che vede impegnati i due innamorati Nino Manfredi e Pamela Tiffin nel bel film di Dino Risi “Straziami ma di baci saziami”; ma il più macroscopico dei cambiamenti sta nel fatto che all’epoca erano soprattutto i bambini a voler imparare quelle canzoni (ma oggi i bambini cantano? E cosa cantano?). Era per questo che a Sanremo divi dell’epoca come Nilla Pizzi, Luciano Tajoli, Achille Togliani, Gino Latilla, Carla Boni, Natalino Otto, Flo Sandons, Tonina Torrielli, Giorgio Consolini cantavano anche motivetti puerili e ingenui come “Papaveri e papere” e “Casetta in Canada”, oppure brani nel mai sepolto solco del mammismo (“Tutte le mamme” e “La barca tornò sola”) e infatti ripreso lo scorso anno da Giordana Angi (“Come mia madre”).

 

Naturalmente, un filo conduttore esiste ed è rappresentato dai brani d’amore, e non è mancato qualche presagio “scandaloso” on bianco e nero di quello che sarebbe diventato un autentico filone: alludiamo all’interpretazione di “L’edera” fornita da una sensuale, scandalosa, appunto, Jula De Palma, antesignana dei vari “Je t’aime moi non plus”, sussurrata da Jane Birkin o de “L’importante è finire”, di Mina.

 

Sanremo

Nelle prime edizioni però, quelle ascoltate da intere famigliole riunite intorno all’apparecchio radio alla fioca luce di un abat-jour – o magari al buio, per accrescere le suggestioni e far balenare agli occhi della fantasia quel “salone delle feste” addobbato con fiori e broccati e luci sfolgoranti – non mancavano echi del recente passato o del frugale presente. Ed ecco “Vecchio scarpone” o “Tamburino del reggimento”, addirittura in odore di nostalgie patriottiche.

 

Va infine segnalato un altro segno dei tempi, lanciato dal palco sanremese: quello dei “nuovi” italiani, come Mahmood, Malika Ayane ed Ermal Meta. Insomma, Sanremo come spia dei tempi, anche nell’era del Covid: a differenza di altri anni, infatti, l’ultima serata non potrà essere seguita da “gruppi di ascolto” familiari e amicali, nel nome del distanziamento sociale e dell’isolamento cautelare.

Giuseppe Del Ninno

Giuseppe Del Ninno su Barbadillo.it

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