L’opzione Letta e il tentativo di rianimare il Pd (senza vocazione maggioritaria)

Scelta di compromesso o punto d'equilibrio, l'ex premier guiderà un partito in crisi d'identità

L’ex premier Enrico Letta ha deciso che sarà lui il prossimo capo della segreteria del Partito democratico. Una scelta che era in dirittura d’arrivo già dalla giornata di ieri e che oggi è stata ufficializzata con un video via Twitter. A questo punto, la prossima tappa sarà il discorso all’assemblea nazionale dem; dopodiché, il politico toscano, che negli ultimi sette anni aveva scelto una vita di studi a Parigi, incasserà non un mandato di transizione, ma pieno.  

Personaggio rispettato e rispettabile a livello nazionale e internazionale, Letta è chiamato a ridare linfa a un partito nato già in piena crisi d’identità. La drammatica uscita di scena di Nicola Zingaretti segna l’ennesima tappa della «maledizione del leader» che da sempre attanaglia la formazione nata dalle ceneri di Ds e Margherita, partiti – a loro volta – venuti fuori dalla decomposizione rispettivamente di Pci e Dc.

A Letta tocca dunque un’impresa difficilissima: sopravvivere ai propri compagni d’avventura e fornire al Nazareno una narrazione che vada oltre la litania del «partito responsabile». Del partito, cioè, sempre al governo perché c’è un pericolo da scongiurare, un immagginario arco costituzionale da difendere un tanto al chilo. Una declinazione che va in direzione esattamente contraria rispetto all’idea proposta da Walter Veltroni ben 14 anni fa, quando sognava un partito progressista di massa all’interno di un sistema sostanzialmente bipartitico.

La nascita del Pdl fu allora la risposta da destra a una visione sistemica franata non tanto a seguito dell’affermarsi del Cinque stelle, ma dalle resistenze di quanti nei due poli hanno vissuto con insofferenza l’ipotesi di agganciare l’esperienza governativa all’esclusivo termometro elettorale. Da qui l’immagine di un partito che presidia Palazzo Chigi anche quando non vince le elezioni. O, se le vince, le vince male. 

Enrico Letta, figura competente e a modo. Sarà davvero lui l’uomo giusto a guidare il Pd? Partito che invece avrebbe bisogno di una leadership che in prima battuta piaccia agli elettori, prima ancora che ai colonnelli,  e che sappia conquistare preferenze sia nel campo dei Cinque stelle (al netto di Giuseppe Conte) che in quello moderato. Un leader cioè che sappia scaldare i cuori, che sappia vincere, ma anche perdere e costruire dai banchi dell’opposizione. Un leader cioè che sia capace di uscire dalle liturgie di segreteria e di Palazzo. 

La segreteria Zingaretti, in fondo, era nata già stanca appunto perché rappresentativa di quelle anime che Matteo Renzi non era riuscito a rottamare perché nel frattempo aveva deciso di rottamare se stesso per eccesso di hybris. Una segreteria nata male, malissimo, che come unica progettualità aveva (senza neanche troppa convinzione) quella di attivare il Mes.

Finita l’era Draghi, farebbe assai bene all’Italia se prendesse il via un sistema di chiara alternanza tra le forze politiche. La fine del Conte 2 ha messo tra parentesi, almeno per ora, il progetto di tornare alla prima repubblica attraverso la legge elettorale proporzionale. Qualora Letta riuscisse a ridare una vocazione maggioritaria a un partito che dalla sua fondazione ha dimezzato i consensi, l’Italia tutta lo ringrazierebbe.  

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Fernando Massimo Adonia

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