In ricordo di Vittorio Savini, giornalista e pellerossa: “Mai fare torto alla memoria”

Il ritratto dell'irregolare bolognese scomparso il 16 gennaio scorso: le testimonianze della figlia Federica e di due cari amici

Vittorio Savini durante un viaggio negli Usa

“Si allontanarono alla spicciolata…”; “Indagini in ogni direzione”, “Amici a quattro zampe” sono locuzioni dell’altro ieri e di ieri, ma tanto giornalismo viveva e vive di frasi fatte. Oggi tutto dovrebbe essere breve, mezzo in inglese (smart), mezzo in acronimi (Dad). Ma se di mezzo c’è l’ideologia trionfa l’eufemismo prolisso: aborto si diluisce in “interruzione di gravidanza”, morire in “fine vita”. 

Non troverete locuzioni del genere negli articoli o nei libri di Vittorio Savini. Ma lui si divertiva a citarle. Ce le scambiavamo nei dialoghi tra un bolognese di Bologna (lui) e un bolognese di Genova dal 1978 in trasferta a Milano. Vittorio è morto lo scorso 16 gennaio. Se ne sono accorti a Bologna, la sua città e QN , dove lui aveva lavorato, lo ha ricordato con commozione sincera, fenomeno raro in ambiente dove le necrologie si chiamano “coccodrilli” proprio per la falsità delle lacrime. Ma in tempi di pandemie le notizie circolano più lentamente e poi morire diventa perfino banale Lo ricordiamo quindi solo ora, nel doppio trigesimo.  Vittorio, del resto, non si sarebbe aspettato tanta tenace memoria nemmeno in una fase di ottimismo, perché ne aveva. E ti faceva divertire. 

Vittorio Savini

Un altro dei nostri tormentoni erano le articolesse dette “coccodrilli”. Incipit: “E’ stato sempre discreto, fino alla fine…”. O: “Se ne è andato in silenzio, come aveva vissuto…”. E poi, per età, noi conoscevamo dalla gioventù un proverbio: “Il peggio che ti può capitare dopo esser morto è un ‘coccodrillo’ di Montanelli”. Ovvero un peana, all’inizio, che si risolve alla fine in un “ben gli sta”.

Va solo aggiunto che – come modello esistenziale e bellico – Vittorio aveva non Montanelli, ma i pellerossa; che – come modello erotico – non aveva Sofia Loren, Claudia Cardinale e Rosanna Schiaffino, ma Lia Zoppelli, Gisella Sofio e Rossella Como; che – nato nel 1953, involontario cittadino della Repubblica Italiana – per Repubblica (per eccellenza) intendeva lo Stato insurrezionale nato nel 1943, non il quotidiano fondato nel 1976. 

Questo è il link del dialogo su Barbadillo.it che offre un’immagine di Vittorio da vivo. Non è un coccodrillo, quindi è  fedele.   

                                                                            ***

La testimonianza della figlia Federica

Vittorio Savini amava il tiro con l’arco

Federica, che è una Savini, racconta Barbadillo.it : “Mio padre ha condiviso con me e mia sorella i suoi interessi più noti: squali e indiani, al punto da insegnarci il linguaggio dei gesti di una tribù. Io imparavo in fretta, ma controvoglia, a muovere mani e polsi sopra o sotto al naso o per creare croci più o meno basse che indicavano quanti branchi di bisonti ci fossero e a quanti giorni a cavallo di distanza dall’accampamento. Eppure lui, anche sapendo che – quando stavamo li – lo facevamo alzando gli occhi al cielo, per insofferenza, ci ha dedicato C’era una volta l’indiano: ‘A Federica e Claudia, per la pazienza con cui hanno sempre ascoltato queste storie di Indiani’.

“Anche il suo metodo educativo – continua Federica – si basava sulla passione per i pellerossa. Ci ripeteva: ‘In tutta la vita nessuno mi aveva mai messo una mano addosso, se non per farmi una carezza’. Nel suo amore per noi, aveva dimenticato che eravamo state bambine normali, che hanno fatto capricci e scenate. Passava molto tempo coi miei figli, ma ogni volta che loro piantavano una grana, lui mi diceva: ‘Non ricordo che né tu, né tua sorella abbiate mai fatto un capriccio. Solo una volta, da tua nonna, l’hai fatto, e io ti ho alzata per la giacca contro al muro’. Ho dimenticato l’evento nello specifico, ma ho perfettamente chiaro quale può essere stato il suo sguardo. I suoi occhi potevano essere ferro o essere piuma: capitava che si commuovesse nel raccontarci un aneddoto di quando eravamo piccole”.

Savini con le amate figlie Federica e Claudia

Yves de Saint-Germain è un sociologo, eppure è una persona perbene. E si sente: “Una volta ero seduto accanto a Vittorio a un tavolino di un bar. La conversazione si avviava con un piccolo grande mantra: ‘Che bel libro, mamma mia, che gran libro’. Le identità, le storie dei pellerossa, degli indiani d’America riempivano le pagine di C’era una volta l’indiano (Macro Edizioni, a cura di Eduardo Zarelli). Dalla copertina alla retro-copertina quel libro ha sempre rappresentato per me una certa idea di stile e d’interpretazione del reale, che sarebbe limitante leggere esclusivamente in chiave anti-omologante o, più semplicemente, anticonformista”. 

Vittorio Savini

Qui il sociologo cede all’antropologo: “Nei pellerossa Vittorio intuiva l’antitesi della facile furbizia, dell’arrivismo che tutto avrebbe rasato al suolo negli anni a venire. Sacrosanto che di questo mio entusiasmo monocorde, non proprio da accademico, un po’ Vittorio ridesse, un po’ contro-replicasse all’ennesimo elenco delle tribù. Cose che s’addicono a un gentiluomo, anzi, un grande gentiluomo, intelligente e di qualità: tutte armi essenziali per sopravvivere all’ovvio e all’ottuso, cioè mentalità antitetiche, tipiche de ‘Gli insopportabili’, come da titolo della rubrica che per anni firmò sul Resto del Carlino. Ergo: ‘Wakan Tanka! Hoka Hey!’. Gridato quando ti portava con sé sullo scooterone. Mai fare torto alla memoria”.

@barbadilloit

Barbadillo

Barbadillo su Barbadillo.it

Exit mobile version