Segnalibro. Ritratto dello scrittore inglese Evelyn Waugh da giovane

Esce da Bompiani "Autobiografia di un perdigiorno" sulla sua giovinezza. Tipo dal cattivo carattere: conservatore, cattolico tradizionalista, reazionario, fustigatore dell'aristocrazia british perché non abbastanza aristocratica, simpatizzante dell'Impero britannico e del Fascismo

“Solo quando hai perso ogni curiosità sul futuro arriva il momento di scrivere un’autobiografia”: con il suo tono ironico e ammiccante Evelyn Waugh (1903-1966) apre il primo volume della propria biografia che avrebbe dovuto essere in tre tomi. Ma il 10 aprile del 1966, giorno di Pasqua, un infarto mise fine alla sua vita. Da poco aveva cominciato a scrivere il secondo volume.

Waugh, forse il maggior scrittore satirico britannico, erede di Swift e Chaucer, si trasferì in una pensione a Mentone, città italiana in territorio francese e, nell’autunno-inverno fra il 1962 e 1963 scrisse il primo volume. Ce ne volle per iniziare a scrivere poiché aveva ripensamenti, timori di dover fare nomi e rivelare circostanze da lui vissuti con compagni di college, amici dell’alta aristocrazia ancora viventi che occupavano posti di rilievo nella società britannica.

Del resto, una cosa era parlare di fatti vissuti e piegarli alla propria fantasia e immaginazione come faceva in quasi tutti i suoi romanzi, altro era parlare della propria vita senza scantonare da quella che, senza tante mediazioni, era la realtà. La biografia è la successione di fatti realmente accaduti. Eppure quando aveva scritto delle biografie (di altri) gli erano riuscite benissimo e avevano riscosso successo. Ma non erano racconti della propria esistenza. Così, lasciò perdere l’autobiografia, scrisse un romanzo di successo, Basil Seal ancora in sella e, subito dopo, nella sua casa nel Somerset dove si era trasferito da Londra, scrisse nel giro di pochi mesi la sua autobiografia intitolata A little learning (titolo ispirato dal verso di Alexander Pope “A little learning is a dangerous thing” più o meno “sapere poco è pericoloso”). Adesso, per la prima volta, viene tradotta in italiano da Bompiani e offre un’altra importante tessera della produzione letteraria di questo interessante autore.

Evelyn Waugh

Viene fuori un’autobiografia davvero spassosa di questo autore che visse contro il politicamente corretto e le convenzioni dell’epoca. Comincia a narrare della famiglia fi dai propri ascendenti elencando tipi strambi e con caratteri difficili, le loro professioni, poi descrive suo padre, alto dirigente di una casa editrice, contrario a ogni iniziativa di Evelyn e la mamma fin troppo protettiva. Poi enumera le proprie insicurezze e gli anni spassosi a Oxford, in compagnia di cari amici, in seguito, come detto, personalità importanti della società britannica, come Nancy Mitford, Arold Acton, Anthony Powell. Una vera “Bright young things”, “brillante gioventù”, raccontata in una serie di divertenti vicende, situazioni ridicole, circostanze improbabili, ricreando il clima di spensierata incoscienza dell’adolescenza. Ma tutti ben mascherati con pseudonimi. Anni scapestrati per Evelyn, che conobbe in quel periodo la passione per l’alcol, che lo accompagnerà per tutta la vita insieme a quella per il fumo. Da giovane amava molto disegnare. Ma proprio nel periodo fra i 15 e i 26 anni comprese, dopo aver distrutto il primo romanzo da lui concepito, che la scrittura era il suo destino.

Un segno della sua insicurezza ma anche di scarso amore per se stesso. Waugh veniva da una famiglia benestante, ben conosciuta nei salotti importanti, ed era abbastanza critico verso la società aristocratica, dalla quale si sentiva attratto ma non la riteneva sempre abbastanza aristocratica.

Conservatore nell’animo, cambiò religione, abbandonando il protestantesimo e divenendo cattolico, cattolico tradizionalista che amava il latino, era asociale, un po’ razzista e antisemita e molto stravagante, contro le convenzioni sempre a fare i conti con il suo carattere difficile… “Com’è che a tutti riesce di essere così gentili eccetto che a me?” dice un suo personaggio, Gilbert Pinfold, alter ego dell’autore nel romanzo omonimo. È una domanda che interiormente rivolge spesso a se stesso, lui che nelle difficoltà del primo matrimonio finito male e nel secondo finito bene vede anche riflessi delle convenzioni e una serie di complicazioni nei rapporti con gli altri in genere.

Waugh aveva stile, lui snob che criticava gli snob, assumeva i manierismi degli aristocratici accentuandoli, sforzandosi sempre di sfiorare la perfezione. Soprattutto nella scrittura. Per Waugh le persone appartenenti alle classi inferiori quasi non esistevano, vero e proprio atteggiamento reazionario, incrinato solo dalla grande simpatia che mostrò per Mussolini e per il Fascismo, movimento popolare, pur restando lui profondamente british e simpatizzante dell’Impero britannico (e della colonia italiana dell’Etiopia, alla quale, dopo un viaggio, dedicò un romanzo, In Abissinia). Un’autobiografia divertente, scritta benissimo, che dice molto sugli anni Venti, sull’ambiente di Waugh, sulla sua stessa psicologia. Peccato che un ritratto ampio di questo interessante autore non c’è nella prefazione. Trattandosi di un’autobiografia, genere molto particolare, il curatore avrebbe dovuto illustrare Waugh nei suoi vari aspetti per consentire al lettore di mettere a fuoco il personaggio e non parlare di lui solo per un episodio di omosessualità in gioventù e della grandezza del suo stile letterario, costretto da un senso di “reticenza” che sbocca in un eventuale moralismo.

Evelyn Waugh, Autobiografia di un perdigiorno (Bompiani ed., pagg. 365, euro 28,00)

Manlio Triggiani

Manlio Triggiani su Barbadillo.it

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