Dojo. Arco, lancia e bastone: alla scoperta di Kyudo, Jodo e Naginata

La formazione di guerrieri (e individui) attraverso l'uso delle armi nella storia (sintetica) di tre discipline degli antichi samurai

In Giappone le arti marziali hanno origini antichissime e sono profondamente radicate nella cultura tradizionale del Paese. Tra le discipline che, da questo punto di vista, sono temporalmente più remote, c’è sicuramente il tiro con l’arco, che veniva praticato a piedi o a cavallo. In quest’ultimo caso si parla di yabusame mentre nel primo di kyujutsu. Che è poi l’antenato del più moderno Kyudo.

Lo yabusame (diffuso principalmente nelle classi aristocratiche) nacque durante il periodo Kamakura (1185 – 1333) e ci sono ancora oggi alcuni luoghi in cui viene praticato (tra essi il Santuario Tsurugaoka Hachimangu di Kamakura, che si trova a un’ora di treno da Tokyo). Quanto poi al tiro con l’arco a piedi, ricordiamo che si sviluppò durante il periodo feudale come arte di combattimento. Una delle prime scuole formali di kyujutsu, che ha introdotto un approccio scientifico al tiro l’arco, è stata l’Ogasawara-Ryu, fondata nel 14° secolo e specializzata nel cerimoniale che accompagna la pratica. Altrettanto seguita la coeva scuola Heki, che si diceva invece privilegiasse le tecniche di tiro.

Si legge in proposito sul sito dell’Associazione italiana kyudo, che raccoglie i praticanti italiani della disciplina:

Sebbene coesistenti  le due scuole rimanevano ben distinte, ciascuna nel proprio ambito. In seguito però, con l’andar del tempo e in accordo con i cambiamenti nelle condizioni sociali, entrambe cercarono un modo per conciliare alcune delle rispettive differenze” e “arrivarono ben presto a convincersi che il cerimoniale separato dalla tecnica e dall’abilità non poteva veramente chiamarsi tiro con l’arco”, rappresentando i due elementi, insieme, l’essenza unica di una disciplina divenuta poi progressivamente anche spirituale.

In ogni caso a partire da quando, nel 1543, nel Sol Levante si cominciò ad usare il fucile a miccia, l’uso dell’arco cominciò a declinare e la relativa arte (kyujutsu), slegata da risvolti bellici, divenne una disciplina marziale (kyudo) che, mantenendo la tradizione, resta comunque finalizzata al percorso di miglioramento individuale di chi la pratica.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale inoltre, con la fondazione della All Nippon Kyudo Federation (1949) prima e dell’International Kyudo Federation poi (2006), l’arte del tiro con l’arco è stata codificata in standard di pratica uniformi elaborati da maestri appartenenti a scuole e stili antichi diversi in quanto legati alla provenienza regionale, al legame con un determinato orientamento filosofico-religioso e all’accento posto su alcuni aspetti del tiro.

Due parole sugli strumenti e sulla pratica del Kyudo: innanzitutto l’arco (yumi). E’ di grandi dimensioni (circa 2 metri) ed è composto di elementi di legno e bambù, fatto questo che lo rende elastico e resistente insieme. Le frecce erano e sono di forma e materiali diversi a seconda del loro uso e del luogo di fabbricazione. Quanto poi alle competizioni, di solito si lancia su un bersaglio posto a 28 o 60 metri ed il vincitore è decretato non solo in base al numero di frecce che vanno a segno (efficacia del tiro) ma anche a seconda della corretta esecuzione dei movimenti e delle posizioni di base. Questo perché il fine del Kyudo non è solo gareggiare ma coltivare la mente e il corpo come metodo per conseguire l’auto-perfezionamento mediante la ricerca della perfezione del tiro unita alla purezza dello spirito e all’armonia interiore ed esteriore.

Abbiamo visto come al centro della pratica del Kyudo ci sia l’arco giapponese. Per quanto riguarda invece il Jojutsu, altrettanto antica arte marziale nipponica, l’arma usata è il Jo, ovvero un bastone corto (il Bo, invece, è il bastone lungo) con cui colpire l’opponente servendosi di entrambe le estremità ed impiegandolo sia come una spada sia come una lancia. Si ritiene comunemente che il Jo-jutsu sia stato fondato nel 1600 da Muso Gonnosuke, che secondo la leggenda fu l’unico guerriero che abbia battuto in duello, usando appunto un bastone corto, il celebre samurai Miyamoto Musashi.

Nel 1940 il Jojutsu diventò il moderno Jodo. Tale evoluzione avvenne attraverso la codificazione, ad opera delle grandi scuole dell’epoca, di un programma ufficiale di dodici forme (kata) fondamentali di base, che consentirono tra l’altro di uniformare il metodo di trasmissione.

Imparate queste, si procede con altre serie di kata antichi e con l’approfondimento dei vari aspetti della disciplina, dando sempre maggiore importanza non solo alla precisione del gesto, ma anche alla qualità e quantità di energia impiegate nell’esecuzione, che incidono sull’efficacia della tecnica utilizzata.

I kata di jodo, divisi in sequenze di movimenti base (kihon), sono eseguiti tenendo conto di distanza, ritmo, velocità e forza, diversi a seconda dell’esperienza del praticante. Si eseguono sempre in coppia: uno dei praticanti – come è spiegato nella pagina della disciplina presente nel sito della Confederazione Italiana Kendo, che raccoglie anche i praticanti di iaido, naginata e appunto jodo – impugna un bastone (Jo), l’altro una spada (bokken o bokuto). Lo spadaccino (di solito l’insegnante o un allievo esperto) attacca e il Jodoka difende, applicando tecniche diverse a seconda del tipo di attacco sferrato. Tecniche che comprendono tagli della spada, movimenti di punta della lancia dritta (yari) e movimenti circolari della lancia curva (naginata).

A proposito di lancia. Nell’antichità in Giappone esistevano numerose scuole che studiavano i diversi modi di usare tale arma e le relative tecniche di combattimento. Innanzitutto va fatta una piccola precisazione quanto al termine “lancia”: quella propriamente detta era chiamata yari, mentre la naginata (letteralmente “lunga spada”) aveva al suo culmine la lama di una vera e propria spada.

Quest’arma – si legge nel sito del Kendo Roma, uno dei dojo della Capitale in cui si pratica anche Naginata-do – divenne famosa per la sua enorme versatilità e per il vastissimo numero di scuole che si dedicarono allo studio e alle applicazioni di questa arma nel combattimento e nella guerra”.

Apparsa nei campi di battaglia del Periodo Kamakura (1185-1333), durante l’Era Tokugawa, la naginata in seguito venne utilizzata sempre meno in guerra e sempre più nel combattimento individuale a difesa di edifici e dimore private. Sotto quest’ultimo aspetto, vale la pena ricordare che quando padri, mariti e/o figli erano assenti (ed accadeva spesso, soprattutto in epoca feudale), spettava alle donne il compito di amministrare e appunto di provvedere alla sicurezza delle loro case. Anche per questo, le giapponesi imparavano già in giovane età ad usare al meglio la naginata, che tra l’altro, essendo un’arma inastata che permette di tenere l’avversario ad una certa distanza, vanificava almeno parzialmente gli eventuali squilibri legati a peso, altezza e forza dei contendenti.

Quanto alla diffusione della relativa arte marziale (detta naginata-jutsu prima e naginata-do poi, quando all’aspetto guerriero si affiancò, come in molte arti marziali, anche quello spirituale e mentale), ricordiamo che in tempi moderni (per la precisione nel 1955) la naginata è stata codificata dalla Zen Nihon Naginata Renmei, che ne ha fissato le basi (kihon), i kata e le regole. Nel nostro Paese i praticanti di Naginata-do sono iscritti alla Confederazione Italiana Kendo, che sostiene e promulga anche questa disciplina marziale.

 

 

 

 

 

Cristina Di Giorgi

Cristina Di Giorgi su Barbadillo.it

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