Volare sugli stadi, la bellezza dove (e quando) non te la aspetti

Al tempo delle tribune vuote risuona (dall'alto) lo splendore dei campi dove si celebra il rito sportivo del calcio

Toccare le nuvole, nuotare nella loro eterea consistenza e guardare il mondo e gli affanni della vita dall’alto: questo il desiderio più recondito del genere umano. Sin dai tempi di Icaro, infatti, si narra che ogni uomo, almeno una volta nella vita abbia sognato di volare e sentirsi libero nell’aria con il vento accarezzare la pelle e il sole baciare i muscoli rilassati.

Ultimamente grazie alle innovazioni tecnologiche, in parte, questo sogno si è realizzato, con l’avvento degli aerei, delle sonde spaziali, dei razzi, delle mongolfiere (se siamo un po’ più nostalgici e romantici). Onestamente, però, essere confinati in una scatola di metallo che si libra in aria, con altre 50-100 persone, si discosta notevolmente da quella idea epica, catartica ed archetipica di volo. Tuttavia, se recentemente, a qualcuno di voi lettori è capitato di volare su qualche areo di linea, non sarà passata inosservata la meraviglia delle città che si estende sotto lo sguardo, in prossimità di un decollo o di un atterraggio. Meraviglia che ci riconcilia con parte di quello stereotipo di volo sopra descritto.

Per via della pandemia e della limitazione dei voli, sono stato costretto, l’ultima volta che ho viaggiato, a sorvolare due metropoli come Roma e Parigi, e quello di cui ho potuto godere dall’oblò del mezzo è valso il prezzo del biglietto. Città sconfinate, che si diramano sinuose tra le anse dei fiumi, che si inerpicano, timidamente e prepotentemente allo stesso tempo, sui colli e che mostrano nella loro semplicità alcune delle opere più belle mai viste e prodotte dall’uomo.

In mezzo a cotanta bellezza, però mi ha colpito qualcosa cui non avevo mai fatto caso, perché assuefatto alla consuetudine: gli stadi. Abituato a vederli gremiti, a volte sporchi, in televisione, davo la loro presenza nell’organico cittadino, quasi per scontata, come se non ci fosse alcuna magia o bellezza in un posto deputato a fare da teatro ad uno sport che si gioca a metri dagli spalti.

Ma ora che anche in televisione vediamo queste cattedrali sportive deserte, in cui riecheggiano le voci dei team manager, degli allenatori e dei calciatori, beh, vedere dall’alto lo stadio vuoto ha rievocato in me immagini fortemente familiari. E solo quando qualcosa è familiare riesce a rimanere più impressa nella mente e a pizzicare il desiderio di appagamento estetico che spesso tende a restare sopito sotto veli di razionalità. Ecco che il Parco dei Principi, così come la miriade di campetti satelliti che si spargevano intorno per la città delle luci, mi sembrava di pari bellezza rispetto ai monumenti storici: era portatore di un fascino decadente, quasi come se Dorian Gray avesse ceduto la sua eterna giovinezza a questa costruzione, così grande e maestosa, che però priva di gente, di aggregazione, risultava essere un’opera incompiuta, bella, familiare, ma senza un’anima, quasi in cerca di un aiuto.

Lo stesso si può dire per l’Olimpico di Roma, ennesima meraviglia di una città le cui bellezze sono stratificate e date per scontate perché disseminate in maniera quasi totalizzante per le maglie urbane. Pensavo alla quantità di denaro investita per realizzare questi stadi, ai test di sicurezza per la stabilità statica e dinamica e per la fruizione ad un pubblico, ai progetti fatti, scartati e accantonati perché non confacenti con l’idea di sport che il finanziatore aveva, alla prima pietra posata e all’ultima, al momento in cui si accendono le luci per l’arrivo delle squadre e al momento in cui anche l’ultimo faro si spegne. In questa atmosfera ogni stadio ha la sua dignità, nonostante la diamo per scontata perché solo palcoscenico di qualcosa che reputiamo distante, ma che senza quel palco non esisterebbe.

Estadio municipal del Santos

Ma oltre la dignità c’è di più, alcuni stadi sono delle vere e proprie opere d’arte che i posteri potranno giudicare, così come noi oggi facciamo con l’arena dei Tori di Madrid o Valencia o con il Colosseo e l’Arena di Verona…

Perché da sempre, quello che ha un’utilità pubblica e ancor più ludica, crea spettacolo sia dentro che fuori. Esorto, quindi, la prossima volta che volerete sopra Torino, Monaco, Londra o dove sarà, e sarete alla ricerca di quel congiungimento ancestrale col vostro desiderio di volo, di cercare tra gli affanni della vita terrena il conforto non solo nelle conclamate meraviglie artistiche, ma di dare uno sguardo attento e innamorato anche agli stadi, vuoti o pieni che siano, perché ne varrà la pena.

Stefano Coropulis

Stefano Coropulis su Barbadillo.it

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