Marco Valle: “I prossimi banchi di prova per le destre (oltre gli elogi del Corsera): dalla svolta green alle comunali”

L'intellettuale e direttore di destra.it analizza gli scenari politici per i sovranisti italiani, con uno sguardo alle dinamiche internazionali in corso in Francia e Inghilterra

Marco Valle, direttore di destra.it

Marco Valle, scrittore e giornalista, studioso di geopolitica e amante dei viaggi. Ha iniziato l’impegno politico-culturale negli anni settanta al fianco di Almerigo Grilz

Dottor Marco Valle, direttore di destra.it, Ernesto Galli della Loggia sul Corsera riconosce una possibile centralità della destra italiana nei prossimi scenari di governo. Secondo che schema?

“Onestamente ho trovato l’articolo di Galli abbastanza banalotto. È una fotografia dell’esistente, una presa d’atto dei rapporti di forza (per ora solo virtuali) all’interno del centrodestra e poco più. Qualche consiglio, qualche apprezzamento e qualche stoccatina. Insomma, l’editoriale del Corriere è solo l’aggiornamento temporale del lungo (e ben più interessante) saggio di Galli sulla “Destra diversa” pubblicato nel 2012 sulla rivista “Il Mulino”. Nulla di veramente nuovo, dunque. Il professore, inoltre, tratteggia scenari “normali” in quello che Carl Schmitt definirebbe un “tempo d’eccezione”. Una svista non da poco poiché la pandemia è divenuta il pretesto per un esperimento sociale di portata planetaria che, oltre a distruggere interi settori produttivi, sta stravolgendo diritti, leggi, relazioni sociali, culture del lavoro. Una somma di fattori micidiali che hanno ristretto le libertà individuali, commissariato di fatto la politica e, vedi l’ascesa di Mario Draghi a Palazzo Chigi, sospeso la vita democratica.  Con buona pace di Galli, sono questi i veri temi su cui una “destra moderna” — e, magari, capace di ritrovare la sua vena libertaria — dovrebbe attrezzarsi e confrontarsi. Non basta vincere un’elezione (prima o poi ci verrà concesso di votare…) per poter governare la normalità, figuriamoci l’eccezionalità”.  

La destra appare sempre più schiacciata in Italia sull’industrialismo, scelta inevitabile per una potenza del G8. Ma è possibile recuperare temi legati all’ecologia e al green, per ora appannaggio anche lessicale delle sinistre e dei 5s?

“La transizione verde è l’altro grande tema. Non si tratta di un dato settoriale ma di un passaggio epocale che modificherà in profondità le nostre società. Lo ha ben compreso Marine Le Pen che ha imposto al suo Rassemblement national una radicale svolta verde, ruralista e fieramente “paysanne””.

Hervé Juvin

Per una destra verde…

“In Francia si tratta di una scelta meditata che ha come ispiratore l’eurodeputato Hervé Juvin, il teorico dell’”ecologia identitaria”. Un personaggio notevole che, come annotava su Destra.it Gennaro Malgieri, ha pubblicato saggi da Gallimard nella collana diretta da Marcel Gauchet e Pierre Nora, tra i quali “La grande separazione: per una ecologia di civiltà”, un testo in cui difende l’identità nazionale ed europea, e il volume “L’Occidente globalizzato: controversia sulla cultura planetaria” scritto in collaborazione con Gilles Lipovetsky. Ricordo che dal settembre 2017 Juvin collabora permanentemente con la rivista “Élemènts” di Alain de Benoist per la quale scrive una rubrica intitolata “L’ecologia delle civiltà””.

Nel Regno Unito? 

“Ancor più netta la scelta dei conservatori inglesi. Lo scorso dicembre Boris Johnson — non a caso grande ammiratore del filosofo Roger Scruton, il padre nobile dell’ambientalismo conservatore — ha annunciato “la rivoluzione industriale verde” del Regno Unito, con l’obiettivo di diventare il Paese leader al mondo per energia eolica, ridurre a zero le emissioni entro il 2050 e fermare la vendita di auto a benzina o diesel dal 2030. Insomma, un taglio netto con il passato paleo industriale per un nuovo modello di sviluppo come auspicato da tempo dal “Conservative Environment Network”, il laboratorio degli eco-conservatori britannici”.

In Italia?

“Al solito le destre italiane sono in ritardo. La questione ambientale, invece d’ispirare l’intero programma socio-economico dei partiti, è relegata nei soliti dipartimenti interni o affidata al mondo giovanile che talvolta tenta di riprendere le iniziative ormai lontane e superate dei Gruppi di ricerca ecologica o di Fare Verde; nelle amministrazioni di centrodestra (con l’eccezione lodevole dell’assessorato all’ambiente del Friuli Venezia Giulia di Fabio Scoccimarro e dell’assessore Balboni a Ferrara) le politiche ambientali si riducono ad un’ordinaria gestione delle prassi minime o in rappresentazioni estemporanee, semi museali. Peccato. Le potenzialità per un nuovo ambientalismo sono notevoli quanto inesplorate. Lo spiega bene Francesco Giubilei nel suo bel libro “Conservare la natura”, una proposta e una visione di sussidiarietà basata sul rapporto uomo-ambiente: una politica che parte dal locale, dal basso, per poi ampliarsi a cerchi concentrici nella società. Un messaggio nella bottiglia che, speriamo, qualcuno raccolga al più presto”.

Meloni e Salvini

La dialettica Lega-Fdi porterà più voti al centrodestra o ne segnerà una lacerazione difficile da ricucire?

“Francamente il tema non mi appassiona. Salvini e la Meloni si contendono la primazia su un segmento importante dell’elettorato cercando d’interpretarne i variabili umori e le contradditorie esigenze. Come conferma la cronaca i programmi sono secondari e il dibattito, la dialettica, il confronto si riducono ad una lotteria di emozioni e risentimenti, ad una giostra di accuse, like e tweet. Poca roba”.

Molto dipenderà dall’efficacia delle scelte del governo. 

“Ovviamente nel presente tutto si gioca sulla fortuna o meno dell’esecutivo Draghi. Se il governo in carica riuscirà a dare segni forti di discontinuità con la funesta esperienza giallo-rossa impostando una chiara time table per l’uscita dall’emergenza e prodromica alla ripresa economica, la Lega “governista” recupererà nuovamente consensi e la linea di Giorgetti, Zaia, Fedriga s’imporrà definitivamente su Matteo. In caso contrario, la crescita di FdI continuerà a spese del Carroccio e di Berlusconi con una ridefinizione degli equilibri del prossimo cartello elettorale. In ogni caso l’unico perdente sarà proprio Salvini, ormai appannato da troppe sconfitte e innumerevoli testacoda. Su tutto resta poi l’incognita delle prossime amministrative, un appuntamento per nulla semplice”.

In ottobre si vota nelle grandi città per le comunali, che governa pochi capoluoghi di provincia, e con l’eccezione dell’Aquila – dove governa con efficientismo il sindaco Pierluigi Biondi -, senza esprimere modelli amministrativi esportabili in tutta Italia. Come si avvicina la coalizione a questo passaggio politico?

“Le grandi città sono per l’intero centrodestra il banco di prova più arduo. Dopo una prima fortunata stagione (Albertini a Milano, Guazzaloca a Bologna etc.) il dialogo con i ceti metropolitani dinamici, con le categorie produttive, con i mondi del sapere si è sempre più affievolito. Un problema non solo italiano. Se si analizzano le geografie elettorali statunitensi ed europee si evince che l’unica vera metropoli a guida centrodestra è Madrid. Il resto, da Londra a New York, da Vienna a Parigi, è saldamente in mani progressiste. Il consenso destroso-conservatore rimane fissato nelle periferie, nella provincia profonda ma non si allarga nelle aree strategiche, vitali delle rispettive nazioni. Un tema di riflessione per le destre d’ogni latitudine e longitudine (sempre che sappiamo superare la narrazione autoconsolatoria della borghesia radical-chic e altre semplificazioni). 

La debolezza destrista nei grandi centri nostrani è poi ulteriormente acuita dalla mancanza strutturale di visioni innovative tanto più necessarie, urgenti in questo momento storico “eccezionale”.  Vi è, infatti, un futuro da progettare per superare gli effetti collaterali ma non transitori della pandemia.

Un esempio tra tanti: le ripetute ondate del virus hanno desertificato i centri urbani. In un anno Milano ha perso un milione di persone dei due e mezzo che ogni giorno si muovevano dentro i suoi confini. Risultato? Il 40 per cento di forza lavoro ha imparato ad organizzarsi da remoto e almeno il 20 di questo 40 non tornerà più in ufficio quotidianamente. Si pone un problema di nuovi, inediti vuoti — numerici, lavorativi, esistenziali — nel tessuto urbano che inevitabilmente dovranno essere riempiti, colmati”.

Come? 

“Ecco allora l’importanza di un approccio serio, di un pensiero solido su transizione verde e digitale, urbanistica, socialità e mobilità dolce. Altro esempio: in tutt’Europa si punta ormai sulle “città dei 15 minuti”, aree urbane autosufficienti dove tutto sia raggiungibile a piedi o in bici in tempi ridotti, una mappa policentrica e inclusiva. Le città tornano così ad essere laboratorio di sperimentazione economica e culturale, ma la politica post-missina, sovranista, populista, federalista, conservatrice (o come cavolo volete chiamarla…) lo ha compreso? E se sì come si pone, cosa suggerisce, cosa vorrebbe modificare, cancellare o migliorare? E ancora, come pensa di affrontare i nuovi standard di civiltà urbana? 

Domande che necessitano risposte convincenti. Pensieri lunghi. Idee solide. Prospettive. Ripiegarsi sulla solita fiera delle occasioni — fiamme e fiammette, ossessione securitaria, problemi dell’immigrazione, minimalismo amministrativo, liti toponomastiche, serenate ai grappoli di disperazione etc. — è il miglior viatico per le prossime (meritate) sconfitte”.

@barbadilloit 

Michele De Feudis

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