La Bandiera di Genova: festa di un’identità millenaria

La croce di San Giorgio, l’Union Jack e la memoria di Colombo: il 23 aprile è per scelta del sindaco Marco Bucci  la giornata della bandiera cittadina 

La Bandiera di Genova

La Bandiera di Genova

Il 23 aprile e’ per Genova, per scelta del sindaco Marco Bucci, la giornata della bandiera cittadina, detta “della Croce di San Giorgio”, risalente alle Crociate. Di più antico la città ha solo un simbolo: il Grifone, che nel 1893 trovò un revival sportivo nel Genoa, fondato dal console britannico, James Spensley (1867 – 1915), londinese, medico, erudito (sapeva di greco e di sanscrito), filantropo, corrispondente del Daily Mail, calciatore, combattente caduto per il re e per la patria: la Gran Bretagna. Come lui, per il re e per la patria (in questo caso Vittorio Emanuele III e l’Italia), combatté e cadde Luigi Ferraris (1887-1915), ingegnere, calciatore del Genoa campione d’Italia 1914-15, allenato dall’inglese William Garbutt (1883 – 1964). A Ferraris è dedicato dal 1931 lo stadio cittadino.  

James Spensley, fondatore, difensore, portiere, allenatore del Genoa

Dal 2019 anche il vessillo medievale genovese è tornato agli onori delle cronache. In uso dal 1113, la bandiera con la croce rossa in campo bianco procedeva di pari passo col valore delle armi genovesi in Terra Santa. Le navi che la inalberavano ne traevano la deterrenza: quella bandiera riduceva il rischio di essere attaccate, quindi offriva un vantaggio mercantile e poi assicurativo tale che le potenze navali non mediterranee, una volta superata la rocca di Gibilterra, giudicavano opportuno noleggiarla. A fini fiscali qualcosa del genere accadrà  secoli dopo con le “bandiere ombra”…

il calciatore (e poi allenatore) del genoa William Garbutt col figlioletto Stuart a Genova

Ma torniamo a Genova. Nel 1421, esattamente sei secoli fa, il doge Tommaso Campofregoso concedeva il diritto perpetuo di usare la bandiera di San Giorgio agli inglesi, che fin dal 1190 la noleggiavano. Essa diverrà poi bandiera della municipalità di Londra e infine dell’Inghilterra, fino a essere incorporata nell’Union Jack. Lo ricordò il Duca di Kent nel 1992, giunto a Genova per le celebrazioni colombiane.

Quando proprio la memoria di Cristoforo Colombo è sotto attacco, specie negli Stati Uniti e in Canada; quando gli studi colombiani e quelli sulla talassocrazia genovese (Fernand Braudel e Jacques Heers, Samuel Morrison e Paolo Emilio Taviani…) sono aggrediti dal revisionismo “politicamente corretto”, riaffermare la storia genovese non è una trovata turistica. Friedrich Nietzsche, che a Genova scrisse libri importanti, constatò che “il futuro appartiene a chi ha la memoria più lunga”. Si è infatti ciò che si ricorda di essere.

Alcuni storici sottolineano che un vessillo simile era apparso in Inghilterra già al tempo della battaglia di Hastings (1066). Fu però solo successivamente, grazie a Genova, che esso divenne anche inglese. E non solo: nel 1247 lo aveva voluto anche Milano, in virtù di un’alleanza militare con Genova e dei 500 balestrieri che ne erano il fulcro.

Riscoprire e valorizzare le tradizioni municipali è opportuno per l’Italia. Nell’Ottocento, dal Romanticismo in poi, riaffiorarono le tradizioni popolari e il folclore, ma non in senso anti-nazionale. Anzi. 

Dal nord alla Sicilia gli studiosi di folclore sono stati artefici dell’unità nazionale: il trentino Nepomuceno Bolognini (1823 – 1900) raccolse per primo le leggende della sua terra; il piemontese Costantino Nigra (1828 – 1907), diplomatico presso Napoleone III, raccolse i canti popolari piemontesi e ne studiò il dialetto; il ligure Emanuele Celesia (1821 – 1889), combattente risorgimentale, fu pioniere del moderno studio del folclore; il siciliano Giuseppe Pitrè (1841 – 1916) si arruolò nella Marina garibaldina e in seguito pubblicò i 25 volumi della “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”.

In Italia manca – altrove esiste, specie in Germania – una ricerca complessiva sui rapporti tra studio del folclore e lotta per l’unità. Se qualcuno la pubblicherà, emergeranno sorprese, in contrasto con l’enfasi etnica che, negli ultimi decenni, si oppone all’identità nazionale. Enfasi etnica utile solo a rinverdire miti solo in apparenza innocui, in realtà strumenti di ambizioni straniere. Per fare un solo esempio, si pensi al 1797-1815, quando, a rimorchio delle idee egualitarie impostesi a Parigi, la Liguria fu prima occupata dal còrso generale Napoleone Buonaparte e poi da lui, diventato sovrano, annessa all’Impero Francese.

Il sindaco di Genova Marco Bucci

In un mondo che riduce i cittadini a consumatori, la festa della bandiera di Genova è dunque anche l’intuizione di un soft power. Essere meta di interesse storico, anziché balneare, significa rappresentare un modello culturale italiano. Buon compleanno, bandiera di Genova.

Achille Ragazzoni

Achille Ragazzoni su Barbadillo.it

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