Segnalibro. Ezra Pound alla sbarra fra idee, fascismo, prigionia, Dante e la poesia

In libreria "È inutile che io parli" (De Piante ed.): interviste e incontri italiani col poeta statunitense a cura dell'anglista Luca Gallesi

Ezra Pound
Ezra Pound

Uno spirito inquieto, quello di Ezra Pound, un’anima ardente, con un incedere tranquillo, posato, una capigliatura ampia e tesa verso il cielo, lo sguardo azzurro, il volto istoriato da rughe che gli anni di una vita difficile gli avevano segnato; l’umiliazione del manicomio criminale che lo aveva indotto a un silenzio ostinato.

Anni tristi, bui, quelli della segregazione nel manicomio di Saint Elizabeths’ di Washington (District of Columbia, Usa) da dove uscì “silente verso il mondo”, come disse Lisetta Carmi, formidabile fotografa conosciuta più di vent’anni fa in una libreria della mia città. Carmi lasciò una testimonianza forte, dicendo che lui aveva “uno sguardo indefinibile che andava oltre noi, rimirava l’infinito. Pound era lontano e a tratti sembrava fargli paura, quasi una apparizione, come se uscisse da un mondo chiuso, dove nessuno poteva entrare. Pound non disse una parola, in quell’incontro a Rapallo, l’anno prima che morisse. Un incontro di tre minuti, non parlammo, ci guardammo soltanto e io scattai alcune foto”. Foto sublimi che testimoniano benissimo lo stato d’animo del poeta.

Il 3 maggio 1945, dei partigiani si presentarono a casa sua e lo sequestrarono sotto la minaccia delle armi. Fu consegnato ai militari Usa che lo trasportarono nel campo di concentramento statunitense di Coltano, vicino Pisa, dove venne chiuso in una gabbia, come un animale pericoloso, esposto al sole e alla pioggia che lo inondavano nella sua solitudine. Un amico, che ormai non c’è più, militare della RSI, rinchiuso anche lui a Coltano in quei giorni, conobbe lo scrittore statunitense nel recinto 337 W, e mi parlò di questo strano, “difficile individuo”, tanto per citare Eustace Mullins (Pound, this difficult individual, Liberty Bell publications, Usa, 1961). Uno statunitense fra i fascisti irriducibili, che regalò all’allora giovane milite repubblicano un oggetto.

Nel novembre di quell’anno fu trasferito in Usa dove fu rinchiuso nel manicomio Saint Elizabeths’ Hospital. L’anno dopo, nel 1946 fu ritenuto “insano di mente” e non rinviabile a processo. Nel 1948 la sua raccolta Cantos pisani, parte centrale dei famosi Cantos, ottenne il premio Bollingen, importante riconoscimento alla statura della sua arte. Nello stesso tempo questo fatto imbarazzò i politici Usa che volevano semplicemente farlo passare per un fascista pazzo o forse pazzo perché fascista. Dopo dodici anni di internamento, anni difficili e fecondi per la sua produzione letteraria, nel 1958 fu rilasciato. La diagnosi parlava di “disturbo narcisistico della personalità permanente e incurabile”. Raggiunse via nave l’Italia e andò a vivere a Merano, nel castello de Rachewiltz, dove viveva sua figlia Mary (autrice di un libro di memorie sul padre, Discrezioni, Rusconi, Milano 1973) col marito Boris de Rachewiltz. Presto tornò a Rapallo, dove si era trasferito fin dal 1925, all’età di 40 anni, dopo circa dodici anni trascorsi a Londra e Parigi. Il motivo per il quale la sua meta fu l’amatissima Italia, dove visse in totale poco più di vent’anni? “Londra è morta, Parigi è stanca, qui c’è la vita. L’Italia è viva, ardente, piena di agitazione e di sano fermento. E’ quel che ci vuole per noi…” disse al giornalista del “Corsera”, Carlo Linati, nella sua casa rapalliana che si affacciava sul golfo del Tigullio.

Pound amava la letteratura italiana, specie quella del Medioevo e del Rinascimento, con particolare conoscenza di Dante, e scrisse i Cantos avendo in mente il Dolce stil novo e l’impianto dantesco. Ma lì c’era tutto il pensiero di Pound: la letteratura ma anche la critica sociale, la critica al sistema capitalistico che vive di usura e vi tratteggiò la sua visione del mondo spirituale, accennando all’antica cultura cinese. Temi in parte presenti nei discorsi che tenne alla radio della RSI negli ultimi mesi di guerra. Ravvide nel fascismo l’ultima battaglia per la civiltà e la possibilità di combattere il capitalismo anche riferendosi a teorie economiche come il corporativismo e le teorie anticapitalistiche di Gesell e Douglas (Accame, Ezra Pound economista, Passaggio al bosco ed., pagg. 318). Questo figlio di Omero, come fu definito dallo scultore Lekakis, questo uomo silente e antico allo stesso tempo, faceva propria la cultura europea.

E’ inutile che parli io, di Ezra Pound, edito da De Piante

Ma come era visto dalla cultura italiana questo gigante della poesia? Il maggior esperto italiano di Pound, l’anglista e giornalista Luca Gallesi, ha raccolto tutte le interviste fatte in 47 anni (1925-1972) allo scrittore e intellettuale statunitense (È inutile che io parli, De Piante editore, pagg. 243, euro 20,00), ed emerge in presa diretta il pensiero di Pound ma anche come la sua opera era recepita in Italia. Da Porzio a Pellizzi, da Maffei a Bilenchi a Siciliano, da Livi a Linati, da Nelson Page a Piovene, a Pasolini a Montanelli. Molto espressivo il ritratto che Indro Montanelli fece nel 1971 su “Corriere della Sera”: “Avevo visto, di Pound, tante fotografie; ma ora mi accorgevo che nessuna riesce a rendere la pura, marmorea, assoluta bellezza al di fuori di qualsiasi corrente archetipo. Di volti come il suo, tra il profeta biblico e l’eroe omerico, ne sono usciti solo dalle mani di Michelangelo. Era la prima volta che vedevo un poeta somigliare alla sua poesia e recarne anche nel fisico la predestinazione e la stampiglia. Solo sul registro dell’anagrafe Pound è un nostro contemporaneo. Appartiene ad altre età”.

E il silenzio che caratterizzò l’ultimo periodo di vita di Pound fu sottolineato proprio al suo arrivo in Italia, quando disse ai giornalisti che volevano intervistarlo: “Scrivete ciò che volete tanto è perfettamente inutile che io parli: le mie parole verrebbero riferite in maniera imprecisa”.

Un libro importante, questo curato da Gallesi, per comprendere le idee dello scrittore statunitense tuttora attuali (si veda Scianca, Ezra fa surf, Altaforte ed., pagg. 326) ma anche per conoscere la recezione dell’opera di questo genio della poesia in Italia. Non sempre compreso, non sempre amato nonostante l’alta statura di intellettuale e scrittore.

Pound, È inutile che io parli. Interviste e incontri italiani 1925-1972 (De Piante ed., pagg. 243, 20 euro)

Manlio Triggiani

Manlio Triggiani su Barbadillo.it

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